L’Io e l’aggiornamento senza fine dell’immagine di sé

A cosa serve l’immagine di ? Serve all’Io per illudersi di esistere.
Se l’Io non creasse questa immagine con cui rappresentare se stesso, non avrebbe nessun elemento – secondo lui “palpabile” – per poter affermare che egli è reale, che egli appartiene al mondo della realtà fisica.
Ecco quindi che questa è la necessità prima dell’esistenza dell’immagine che l’individuo ha di se stesso.
Come abbiamo sempre detto, l’Io ha in se stesso le armi per la propria distruzione; ecco che, infatti, questa immagine, pur essendo necessaria all’Io per rafforzarsi e per convincersi di esistere, è anche quel fattore che induce l’individuo con un minimo di consapevolezza e di attenzione, a guardare questa immagine e a essere poco convinto di quello che vede; quindi a notare questa discrepanza tra ciò che il suo Io crede, e ciò che è la realtà.
Da qui l’esigenza, la spinta a cercare di comprendere di più e tutto quello che ne consegue, come l’avvicinarsi al Cerchio Ifior, o l’interessarsi di filosofia, o di altro, ovvero tutti quei percorsi che possono portare a trovare una maggiore comprensione di quella che è la propria realtà.
Come fa l’individuo ad accorgersi che è un’immagine, come fa a contestarla, come fa a modificarla? Non è facile farlo, su questo non c’è ombra di dubbio, sennò tutti in un paio di vite ce la caveremmo, e invece ce ne vogliono molte di più!
Quello che si deve ricordare è che l’uomo non è un individuo limitato, settoriale, ma è costituito da varie componenti.
Certamente c’è la componente che dà questa fittizia vita all’Io – che è costituita dai corpi inferiori, quelli cosiddetti “transitori” – ma c’è anche la componente che dura sempre e che accompagna costantemente il percorso evolutivo dell’individualità, ovvero il suo corpo akasico, il suo corpo del sentire; ed è proprio dalla coscienza che viene l’impulso a comprendere, ad essere messo in atto quel meccanismo che tende ad osservare l’immagine che di se stesso si crea l’Io, mettendo il tarlo del dubbio in chi osserva in modo neutrale e non dal punto di vista dell’Io stesso.
Quando l’individuo non riesce a seguire tale percorso e l’Io la fa da padrone, ecco che vengono in aiuto i processi del Cosmo che favoriscono l’evoluzione: tutto nella Realtà è una specie di perfetto orologio svizzero in cui tutti i meccanismi sono interagenti tra di loro e tutto si muove; attraverso un piccolo movimento di una rotellina tutto l’universo si muove di conseguenza.
L’immagine che avete di voi stessi è l’immagine che ha il vostro Io di voi stessi; difficilmente avete un’immagine di voi stessi che discordi da quella che ha il vostro Io, a meno che non siate così capaci di osservare voi stessi da rendervi conto che quell’immagine è falsa.
Però, quello di cui non vi rendete conto, è che voi questo discorso dell’immagine non lo applicate solo all’individuo – “l’immagine che io ho di me stesso” – ma ad ogni aspetto della realtà: il vostro Io si fa un’immagine della vostra realtà personale, si fa un’immagine, che ne so, della politica in America, di come si comporta l’amica G., di come sono i rapporti tra di voi.
L’Io è un continuo formarsi di immagini, e le immagini che si forma sono quelle che, solitamente, più vanno d’accordo con i suoi scopi.
E quali sono i suoi scopi? Espandersi.
L’espansione dell’Io – che, da un certo punto di vista, concettualmente, è molto utile perché dà l’idea di un tentativo di fagocitare tutta la realtà – può però anche indurre in un errore grossolano, perché “espandersi” porta in sé l’idea del movimento, quando, in realtà, lo scopo dell’Io è quello di mantenere tutto immobile.
Esso non vuole espandersi e conquistare la realtà: vuole che la realtà si fermi e riconosca che lui è il centro, il perno stabile di tutta la realtà.
È questo il punto: non è che l’Io voglia praticamente combattere con la realtà, ma semplicemente vuole che la realtà si fermi perché in quel momento a lui sta bene che le cose siano così e, quindi, per la sua grandezza, per il suo desiderio, per i suoi bisogni la realtà deve piegarsi, fermarsi in quella situazione, in quell’immagine che, secondo lui, è ottimale per se stesso.
Dicendo “immagine ottimale per se stesso” intendo l’immagine che ha di se stesso, l’immagine che ha degli altri, l’immagine che ha della realtà strettamente collegata alla sua percezione soggettiva.
È un po’ come se l’Io, sentendosi un dio onnipotente, tendesse a crearsi un “eterno presente relativo”: la realtà deve essere adatta a lui, non può essere altrimenti. È lui il centro dell’universo, no?
È un po’ come secoli fa, quando si pensava che fosse la Terra al centro dell’universo; è ancora un passettino più avanti: lui è, addirittura, il centro dell’universo, tutto ruota intorno a lui, è lì per lui, per far piacere a lui; e non sa poi – ironia della cosa – quanto in realtà sia tutto vero questo; perché, in realtà, tutta la Realtà esiste “anche” per lui, però certamente la prospettiva è un’altra.
Non dimentichiamo il fatto che all’Io interessa la supremazia! Dire “Io sono superiore all’altro, non gli controbatto perché tanto lui è inferiore a me, è inutile che stia a perdere tempo” gli dà illusoriamente la priorità su ciò che lo circonda, così non gli importa quello che pensa l’altro, gli importa quello che pensa lui stesso; l’altro è lì per lui, non è lui che è lì per l’altro.
Dunque, l’Io si crea questa immagine e cerca di fermare la realtà: un fermo-immagine del proiettore dell’esistenza, in modo tale da fermare l’immagine sul momento che più gli sembra ottimale per se stesso.
Dove sta il problema? Perché non ci riesce? In quest’ottica dovreste essere tutti autistici, crogiolati nell’ammirazione di voi stessi – e non soltanto per qualche momento, come fate di solito, ma sempre – e, quindi, nella vostra vita non dovreste avere più la spinta, né il senso per andare avanti e modificarla, giusto?
La spinta invece avviene naturalmente, un po’ per i movimenti dall’esterno, perché gli altri non sono lì per il vostro benestare, ma sono lì per vivere e anche loro cercano, a loro volta, di fare di voi quello che voi volete fare di loro, cosicché, da questo confronto, molte volte nasce qualcosa di utile.
E la spinta può provenire anche dal fatto che vi rendiate conto, con uno sforzo di consapevolezza, che l’immagine vostra a cui siete così attaccati, muta e non rimane sempre la stessa. Ma non è sempre la stessa non per sfumature piccole, ma perché nel giro di una settimana, di un mese, è completamente diversa; e allora, a quel punto, la terra incomincia un po’ a tremare sotto i piedi dell’Io, perché incomincia ad avere dei dubbi sulla propria onnipotenza.
I dubbi non fanno altro che alimentare il meccanismo di difesa dell’Io, che si vede costretto ad aggiornare la sua immagine per ritrovare l’autostima includendo la nuova realtà individuata, favorendo così, a sua insaputa, il continuo processo evolutivo dell’individuo incarnato. Scifo


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7 commenti su “L’Io e l’aggiornamento senza fine dell’immagine di sé”

  1. Mi era sfuggito questo post.
    Sarebbe stato un vero peccato perché è molto chiaro e spiega molto bene questa dinamica dell’Io.

    Rispondi

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