I fenomeni migratori [A228]

I fenomeni di tipo migratorio non sono certamente una novità nella storia del pianeta, sia a livello animale che a livello umano: ogni volta che le condizioni di vita e di sopravvivenza di una specie (o di una sua parte) di tipo stanziale – cioè tale da avere una storia di sviluppo all’interno di un’area ben precisa del territorio – diventano insostenibili e ingestibili non solo per il singolo individuo ma per l’intera popolazione, ecco che si innesca il processo che spinge verso il trasferimento in altre zone del pianeta, ritenute, più o meno a ragione, più favorevoli.

Si tratta, insomma, di una risposta naturale e, se vogliamo, anche logica dato che risponde a precise esigenze di conservazione della specie e della vita dell’individuo.
Osservando tale fenomeno dal punto di vista filosofico relativamente al concetto di evoluzione è abbastanza facile comprendere che esso ha il fine di dare nuovi stimoli alla razza incarnata, aiutando quell’omogeneizzazione delle culture, sia a livello genetico che a livello sociale, che, solo, può favorire il percorso verso l’acquisizione e la comprensione quanto meno dell’archetipo della fratellanza universale.

Ma non mi sento del tutto in grado di esaminare la questione da questa prospettiva, e preferisco, invece, fare alcune considerazioni inerenti al momento attuale, più che al suo logico sviluppo futuro, e riferite, in maniera particolare, al bacino del Mediterraneo in cui state compiendo il vostro cammino reincarnativo attuale.

È innegabile che la migrazione dai paesi sia dell’Africa che del Medio Oriente ha degli elementi peculiari che la rendono in qualche aspetto diversa dalle migrazioni succedutesi nei secoli scorsi: mentre allora avvenivano principalmente sotto la spinta della ricerca di una vita migliore di quella che potevano avere in patria, attualmente si sovrappone a questo aspetto anche la fuga da situazioni violente e di guerra che aumentano e sostengono con forza il desiderio di migrare da parte delle masse.

L’intera Europa, con la cecità tipica di un Paese costruito da più etnie e tenuto insieme da concetti economici più che da comuni idee sociali e legislative, ha indirizzato la sua risposta al fenomeno migratorio – che, inevitabilmente, provoca tensioni e reazioni tra le popolazioni dei singoli stati – verso il contenimento, se non addirittura l’annullamento di tale fenomeno, senza arrivare a rendersi conto che si trova davanti a un fenomeno incontenibile e, certamente, non annullabile.

Dal punto di vista etico è facilmente intuibile che, in realtà, la responsabilità dell’innesco del fenomeno migratorio è attribuibile in buona porzione proprio all’Europa e alle civiltà occidentali: le condizioni di vita difficili in quei paesi da cui principalmente proviene la migrazione sono in gran parte conseguenza dello sfruttamento economico che è stato attuato, nei secoli, su quei territori, così come le tensioni sociali e le guerre che martoriano quelle zone del pianeta sono state la logica deriva del controllo politico ed economico di quelle zone, alimentate dall’aver attivamente contribuito ad armare l’uno o l’altra fazione in lotta (quando non addirittura entrambe) per perseguire vantaggi sia politici che economici.

In quest’ottica è ovvio che, sulla scorta dell’insegnamento portato dalle Guide, tale situazione indica il verificarsi un una risposta karmica a livello collettivo, ma non vorrei addentrarmi nell’esame di questo aspetto puramente filosofico che non rientra nel mio orientamento di interessi.

Al di là, quindi, di queste considerazioni fin qui esposte per inquadrare la situazione, la domanda che viene spontanea farsi è “cosa fare?”.
Se il fenomeno migratorio ha presupposti che indicano come non sia possibile né controllarlo né annullarlo, non resta che cambiare la prospettiva di osservazione e cercare, invece, di inglobarlo nella realtà dei paesi dell’Europa, cercando di favorire l’integrazione penalizzando nel modo minore possibile i naturali abitanti dell’Unione Europea, e questo credo che sia possibile farlo considerando le caratteristiche delle popolazioni che stanno migrando.

Nell’Unione Europea è avvenuta, negli ultimi secoli, una forte concentrazione della popolazione nell’ambito urbano cittadino, con la conseguenza di svuotare diverse zone interne ai vari stati in favore della costituzione di aree metropolitane sempre più vaste e popolate: nella stessa Italia, per esempio, esiste una gran quantità di paesi montani o rurali praticamente deserti e abbandonati.

Considerato che le popolazioni che stanno migrando provengono da civiltà in cui l’agricoltura e l’allevamento sono spesso l’unica possibilità di sopravvivere, perché non provare a studiare una maniera per inserirle nel tessuto sociale all’interno delle zone abbandonate per renderle non un peso sociale che ricade sulla popolazione europea ma un elemento di produttività proprio sfruttando le loro capacità ed esperienze in tali ambiti?

Questa, a parer mio, può essere una possibilità d’azione concreta e credo che sia possibile trovarne anche altre, tutte, comunque, tali da necessitare un radicale cambio di prospettiva da parte di chi è preposto a governare, senza bisogno di arrivare – come mi sembra invece che si sia cercato di fare – a creare nuove forme di schiavismo attraverso al conferimento di possibilità di lavoro sottopagato.

È evidente che un tale cambiamento di prospettiva porta con molti problemi da risolvere a livello sociale, oltre che strettamente economico: da quello della sicurezza – perché si deve riuscire a non creare contrapposizioni negative tra migranti e popolazione residente – a quello del mantenimento della legalità – in quanto diventerebbe estremamente necessario gestire in maniera equa le diversità di cultura, religione, usi e costumi e il loro relazionarsi -, all’estensione dei diritti sociali senza abbassare il livello preesistente – per non far sorgere tensioni e rappresaglie -, e via dicendo.

Ma io credo che con il tempo e con la buona volontà si tratti comunque di questioni che possono venire risolte col raggiungimento di benefici per tutti.

Certo, ci sarà da lottare contro i grandi interessi economici, inducendoli a spostare la concezione dell’economia verso concetti più etici, così come le varie classi politiche dovranno a loro volta ritrovare la concezione del governo come gestione del bene pubblico e non di quello personale, ma l’evoluzione non può che andare in quella direzione ed è sempre meglio assecondare i processi evolutivi piuttosto che cercare di impedirli, dal momento che l’opposizione non può fare altro che creare difficoltà, contrasti accentuati, dolore e sommovimenti cruenti dai quali nessuno delle parti in causa, alla fin fine, ne uscirà veramente vincitore. Max

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