Il tempo per se stessi

Nei momenti in cui uno si sente che ha bisogno di spazio, che ha bisogno di tempo per se stesso, che si deve realizzare, che è insofferente perché sente questa spinta a fare qualche cosa di diverso per se stesso… Zifed

Vedi, mia cara, di solito, quando vi sono queste situazioni interiori (cioè, non di solito, diciamo «sempre»), è perché l’individuo avverte la mancanza di qualche cosa.
Ora, quello che è bene comprendere è che ogni volta che l’individuo avverte la mancanza di qualche cosa è il suo «Io» che l’avverte, sempre e comunque; e tutto quello che poi l’individuo ci crea sopra: «ho bisogno di tempo, ho bisogno di spazio, ho bisogno di solitudine» e via e via e via, sono sempre delle scusanti per giustificare ciò che uno farà o ciò che uno magari vorrebbe fare e poi non farà; un mettere un po’ le mani avanti per giustificare se stesso.

Io dico: «Se l’individuo vuole trovare il tempo per se stesso non c’è nessuno che glielo possa togliere!». Lo spazio per se stesso esiste sempre, e comunque ce l’ha interiormente, è uno spazio talmente enorme che non riuscirebbe mai comunque a riempirlo anche se si mettesse di buzzo buono! 

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Se uno vuole avere tempo per pensare a se stesso, quindi a cercare di comprendere se stesso, lo può fare in qualsiasi momento, nessuno gli può rubare quella possibilità.
Mette una forchetta e pensa a un errore fatto, mette un cucchiaio e pensa in che altro modo poteva agire, mette un coltello e sceglie uno dei tanti modi a cui ha pensato, mette un cucchiaino e finalmente ha trovato una possibilità a cui non aveva pensato. 

Questo non l’ha distolto da ciò che doveva fare, non ha fatto sì che qualcuno gli potesse portare via dello spazio, non gli è stata negata alcuna libertà interiore, non ha tolto niente a nessuno, anzi ha dato qualcosa a se stesso.

D – Però questa persona ha messo la forchetta, il cucchiaio, il coltello mentre pensava e, quindi, li ha messi in modo sbagliato!

Bene, vorrà dire che, per rimetterli in modo giusto, avrà tempo per pensare ancora!
E poi, a coloro tra voi – e anche non tra voi – che dicono e pensano: «Io sono un tipo portato alla spiritualità; io, Dio mio, ho bisogno di meditare, io ho bisogno di essere meditativo per poter avanzare nella mia evoluzione», a costui, chiunque sia, io non posso che rispondere: «Figlio caro, l’unica vera meditazione che esiste è la tua vita! Vivila e avrai meditato tanto quanto basta per comprendere ciò di cui tu hai bisogno, ora e sempre; e questo è valido per chiunque!». Creature, serenità a voi! Scifo


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7 commenti su “Il tempo per se stessi”

  1. Penso che il tempo per sé stessi si possa intendere non solo come soddisfacimento di un bisogno dell ‘io, ma come una pausa tra due azioni, cosa a mio avviso indispensabile come lo è la pausa tra inspiro ed espiro.
    Per quanto riguarda la meditazione posso trasformare la vita in meditazione solo se so cosa significa meditare vale a dire se ricavo un tempo/pausa per sedere il silenzio durante la giornata.
    A proposito di pensare a qualche errore fatto od altro, mentre fai una azione, mettere una forchetta, come nell’esempio, significa non stare nella cosa che fai, ma essere da un’altra parte, con la mente. Credevo così non dovessero essere.

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  2. Questo post mi lascia qualche dubbio e ne vorrei esporre solo alcuni per non dilungarmi troppo.

    “Quello che è bene comprendere è che ogni volta che l’individuo avverte la mancanza di qualche cosa è il suo «Io» che l’avverte, sempre e comunque”

    Posso convenire sul fatto che è l’io che avverte il senso di mancanza, ma mi sembra che dietro quello che viene avvertito come senso di mancanza ci sia una spinta della coscienza.
    La coscienza è stimolata a sua volta dai piani superiori e ciò che sul piano dell’identità viene decodificato come mancanza mi sembra che in maniera più o meno consapevole possa essere l’anelito all’unificazione interiore. Di qui il bisogno di prendersi del tempo, di lasciare spazio al raccoglimento. Non riesco a vedere ciò come pretesto per giustificare il proprio fare o non fare, questo può avvenire ma non sempre e inevitabilmente.

    Altra frase che mi lascia perplessa:
    “Figlio caro, l’unica vera meditazione che esiste è la tua vita! Vivila e avrai meditato tanto quanto basta per comprendere ciò di cui tu hai bisogno, ora e sempre.”

    Mi pare sacrosanto, ma il problema è che fino a un certo punto del cammino dell’individualità il vivere è un atto meccanico, in larga parte soggetto a condizionamenti emotivi e mentali, non certo un atto meditativo. L’apprendimento avviene di necessità attraverso la sofferenza inferta dai contraccolpi causati dall’agire inconsapevole.
    La meditazione come pratica entra nella vita dell’individuo quando egli avverte forte la spinta ad uscire da questa meccanicità e vivere consapevolmente. Quando, ad uno stadio evoluto del cammino, la vita viene vissuta costantemente in uno stato meditativo, allora la pratica ha esaurito il suo ruolo.

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  3. Utile per me leggere i commenti al post.
    Mi rendo conto che fatico a mettere in discussione quanto detto dalle guide.
    Ma le perplessità di alcuni, mi chiariscono ulteriormente i concetti.
    Grazie

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  4. L’interpretazione di questo post è che si voglia sottolineare l’importanza del porsi domande, di interrogarsi di fronte ai fatti che accadono. Questo come avvio del dialogo interiore.
    La consapevolezza e la presenza sono condizioni successive.

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