La sofferenza e l’intenzione

D – A proposito delle somatizzazioni, in effetti, queste sono il mezzo per comprendere determinate cose e che comunque l’uomo avrebbe altri mezzi, oltre alla sofferenza, perché l’Assoluto ricorre solo in ultima istanza alla sofferenza per far comprendere un individuo

Vedi, forse c’è un’errata interpretazione o un’errata supposizione di questo discorso, perché non è che l’Assoluto faccia comprendere attraverso la sofferenza, è che l’Assoluto ha posto nella vostra realtà la sofferenza e la gioia, oppure l’equilibrio tra le due cose e quindi la tranquillità; poi, a quel punto, vi mette davanti le situazioni, le possibilità di comprendere; in quel momento siete voi che scegliete la strada per gioire per la comprensione, per soffrire per la non comprensione, oppure per cristallizzarvi.

D –  Puoi farmi un esempio?

Qualsiasi situazione che vi si presenti, è una situazione messa, creata, formatasi per farvi acquisire una comprensione di qualche tipo; ad esempio – torniamo al classico! – il “non rubare”.
Supponiamo che ti trovi nella famosissima stanza con i diamanti davanti a te, e magari tu sei disperatamente bisognosa di soldi e, quindi, i diamanti – tutto sommato – ti farebbero comodo; e tu sei lì, per tua esigenza evolutiva, perché nella vita precedente avevi già sperimentato il “non rubare”, avevi o non avevi rubato e tratto le tue conclusioni e pensi – come corpo akasico, naturalmente –  di aver capito che non devi rubare.

Ora, tu sei in quella situazione lì e ti si pongono davanti le due possibilità: o rubi o non rubi; quindi in quel momento devi mettere in atto la tua acquisizione di comprensione. Se hai compreso che non devi rubare, che non è giusto (e questa comprensione è acquisita), tu prendi e vai via dalla stanza e i diamanti restano lì.

Se ciò che pensavi di aver compreso, non lo hai ancora compreso, cosa fai? Prendi i diamanti, te li metti in tasca e te ne vai. Nel primo caso sarai contenta di te stessa, perché vorrà dire che veramente hai compreso…

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D –  Ecco, in questo caso qui, se tu però ci hai pensato che ti farebbero proprio comodo quei diamanti, però fai un atto di volontà e dici: “No, non li prendo perché non si deve”, come sei messo? Così te ne vai senza diamanti.

Dipende dal perché l’hai fatto: se l’hai fatto soltanto perché avevi paura che qualcuno ti vedesse o proprio perché sai che non si deve fare.

D –  No, perché sai che non si deve fare. No, sentirlo no, perché non ti sarebbe neanche venuto l’impulso!

Beh, questo non è detto! Uno potrebbe essere in ristrettezze tali per cui il pensiero può anche venirgli. D’altra parte, ricorda che nessuno manifesta il proprio sentire in modo completo, all’interno della vita; perché altrimenti, se manifestasse tutto il suo sentire, molte volte nel corso della giornata non farebbe praticamente nulla, ignorerebbe tutto ciò che accade, tutto ciò che ha compreso non lo sfiorerebbe neppure.

D –  Quindi è una prova.

Una specie di prova, sì. Se invece questi diamanti li prendi, te li metti in tasca e te ne vai, succede che poi entreranno in gioco i fattori interiori per cui ci sarà la sofferenza per aver rubato, per la mancata comprensione.

D –  Se invece te li metti in tasca e te ne vai felice e contento?
D –  Ti “pescano” dopo e soffri!

Non puoi andartene felice e contento! Puoi andartene “mentalmente” felice e contento, ma akasicamente certamente no. Potrebbe esserci un’ulteriore soluzione: chiudi gli occhi ed esci. Questo equivale ad un cristallizzarti, a non affrontare la situazione e quindi – ancora una volta – ad andare incontro alla sofferenza interiore.
Certamente, alla fine dei conti, sono due possibilità di sofferenza contro una di gioia; ma, in realtà, poi le possibilità sono sempre due: o soffri o sei felice.

D –  E il grado di necessità per cui prendi quei diamanti? Quando una necessità è proprio determinata e allora io li prendo, so benissimo che non lo devo fare, però la necessità è preponderante rispetto a…

Dipende, mio caro, da qual è la necessità.

D –  La fame, la fame di un figlio… non so… proprio la fame… “sono entrata nella disperazione, ho una fame spaventosa e soffro tremendamente”.

Ma guarda, cara, l’individuo veramente evoluto va in un prato e si mangia un po’ d’erba! L’individuo che, invece, deve scegliere tra il rubare dei diamanti e il salvare la vita di un fratello, questo è un altro discorso…

D –  E’ un discorso terribile!

Ah, non è un discorso terribile: l’individuo deve prendere i diamanti. Solo in quel modo dimostra, in realtà, la propria evoluzione, perché mette in gioco qualcosa di se stesso per aiutare un altro.

D –  Quindi è sempre l’intenzione…

Certamente! Su questo non vi è nessuna possibilità di errore. Anzi se voi non volete mai sbagliarvi, quando vi chiedono qualcosa, dite: “l’intenzione!Scifo


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7 commenti su “La sofferenza e l’intenzione”

  1. Sempre molto interessante ribadire che non esiste una legge uguale per tutti ma, che bisogna sempre guardare le mille sfaccettature che creano la scena e su tutte l’intenzione!

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  2. Essere in grado di assecondare e portare a manifestazione l’intenzione non permette il sorgere della sofferenza.

    Per far si che ciò accada, occorre un costante e continuo monitoraggio.
    Vigilare senza sosta…

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  3. La sofferenza non è l’unico modo di apprendere, forse a volte ci si dimentica di ciò. D’altra parte, come in altri post ribadito, noi non ci incarniamo per “godere” della vita, ma per imparare, non perché sia fatta la volontà della mia piccola soggettività egoica, bensì sia fatto ciò di abbisogno per evolvere. Questo può generare, inevitabilmente, sofferenza. Anche se, più fluisce l’intenzione onesta e meno sarà il tasso di dolore da me sperimentato.
    Grazie.

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  4. Ogni volta che ho somatizzato non ho mai capito quale doveva essere la comprensione da acquisire, solo in seguito ho notato che alcune resistenze erano scomparse.
    Per quanto concerne una azione, certo è la intenzione con cui la si fa che può o meno generare sofferenza.

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