D – Penso che al di là del fatto che questo tipo di delitto sia stato portato alla ribalta della cronaca, in modo forse anche eccessivo, in questo periodo (magari anche in modo strumentale per non parlare d’altro), non significa necessariamente che il fenomeno sia in crescita. La storia insegna che salvo qualche rara eccezione il ruolo femminile è sempre stato subalterno a quello maschile, e basta pensare anche a certe culture odierne dove una capra vale più di una donna, tanto che la donna è oggetto di scambio e soggetto di schiavitù. Quando sento certe storie di donne, penso che in quella situazione forse preferirei essere uccisa, la morte almeno libera dalla sofferenza fisica …
La storia insegna, solitamente, quello che l’epoca la condiziona ad insegnare: in realtà, nei secoli sono esistite società in cui le donne erano le figure predominanti e il loro potere era addirittura maggiore di quello esercitato dagli uomini.
Il condizionamento che state subendo dai mezzi di comunicazione (uno dei principali imputati, secondo noi, della confusione e del travisamento attuale della realtà) non è cosa da poco: attualmente, per esempio, fioriscono in continuazione associazioni “benefiche” ad ogni piè sospinto, anche se incomincia a farsi strada l’idea che, in fondo, non siano così benefiche come sembrano e che risultino essere un’ennesima macchina per ottenere profitti travestendo l’interesse in carità e altruismo.
Mi sembra che, in generale, ci si stia dimenticando che è difficile giudicare quello che riguarda altre forme sociali adoperando i modelli consueti della propria società: certo, esistono ancora ambiti sociali in cui una donna può venire scambiata con una capra, ma siamo davvero sicuri che per la donna in questione ciò sia un problema?
Per la mentalità delle società cosiddette civili dell’occidente lo scambio donna-capra può sembrare un oltraggio ma, magari, per la donna oggetto di scambio tale consuetudine finisce con l’essere motivo di orgoglio perché evidenzia e sancisce il suo valore all’interno della società di appartenenza.
Mi ha colpito, nell’osservazione che faccio delle vostre vite, il filmato di un’associazione “benefica” che presenta una bambina come vittima degli adulti perché costretta a lavorare e a prendersi cura dei fratellini. Questa, secondo me, è un’interpretazione faziosa della vita e delle abitudini sociali di popolazioni diverse dalle vostre.
Nelle piccole società, infatti, – e specialmente in quelle dedite alla pastorizia e all’agricoltura – tutti gli appartenenti a una famiglia sono chiamati a dare il loro contributo per la sopravvivenza della famiglia stessa, siano essi uomini, donne o bambini.
E chi ci dice che la bambina non sia comunque – perché abituata a quel tipo di responsabilità e di vita – felice di aiutare la propria famiglia e non riesca comunque, come riescono a fare tutti i bambini grazie alla loro enorme capacità di adattamento, a trovare la maniera di giocare e di vivere in maniera soddisfacente per le sue necessità di crescere? Magari, anche se non ve ne rendete conto, sono più infelici i vostri figli attaccati tutto il giorno ai cellulari o al computer, disinteressandosi delle persone che stanno loro attorno per immergersi in una fantasiosa realtà virtuale!
Quello che viene a mancare, secondo me, è la prospettiva di ciò che è importante e che non è il lavoro che il bambino può fare o il tempo che deve dedicare alla cura e all’assistenza dei fratelli più piccoli, bensì il fatto che egli riceva la giusta quantità di affetto e di amore dalle persone che lo circondano.
E l’amore e l’affetto non sono indicati dall’acquisto dell’ultimo tipo di cellulare come i modelli presentati dalla società occidentale sembrano voler stigmatizzare come giusto comportamento di buoni genitori, bensì dall’attenzione, dalla sollecitudine, dalla partecipazione, dalla presenza costante, dall’affetto che essi pongono nei confronti dei figli. E questa prospettiva, nelle società occidentali cosiddette “civili”, sembra veramente aver perso importanza a favore di una genitorialità più concentrata sul bene materiale che su quello spirituale.
Per carità, con questo non voglio dire che in quelle società come quella della piccola Sarita si viva bene e non si possa fare nulla per migliorare tale modo di vivere! Tuttavia mi intristisce il fatto che, per scopi non proprio etici, venga adoperato un bambino e ciò che lo riguarda per provocare del buonismo su ciò che gli accade e che per lui è normale nell’ambito della sua esperienza di vita, al fine di far aprire il portafoglio alle persone.
Sarebbe stato più accettabile, secondo me, se si fosse parlato di quello che si potrebbe fare per quelle società per migliorare le loro condizioni di esistenza senza, per questo, voler interferire oltre il lecito sulle loro abitudini sociali trasformandole forzatamente nei modelli propri di altre civiltà, magari anche solo nella speranza di arrivare a dare vita alla nascita di nuove fette di mercato sulle quali poter lucrare.
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