Il complesso edipico come spinta a indagare l’altro [IF12a]

D –  Quando parlavo degli animali mi riferivo ad un comportamento – come in etologia si legge – che certi tratti sono comuni alla specie, quindi anche all’essere umano. Pensavo agli archetipi, a qualcosa cioè che è un tratto comune alla specie nel comportamento innato o istintivo.

Volevo arrivare anche a questo. È evidente che il bambino, a questo punto, per lo meno fino a quando non entra in gioco il corpo akasico, va considerato praticamente come un animale. Non vorrei essere frainteso e che gli metteste il collarino e lo portaste a fare due passi… come consapevolezza o come capacità dei corpi inferiori, ha la stessa consapevolezza e capacità di un animale, in quanto sono in moto gli stessi corpi inferiori che sono in moto nell’animale.

È soltanto allorché svilupperà la sua capacità di parlare ed entrerà in gioco la sua componente akasica, che egli si differenzierà dall’animale e, quindi, il suo modo di essere diventerà diverso; e allora anche i suoi problemi, la sua istintualità, i suoi gesti, la sua personalità si andrà formando in quel modo peculiare proprio dell’essere umano. Qualcosa da chiedere su questo, prima di andare avanti?

D –  Direi che già la situazione mentale, che si crea, lo differenzia, comincia a staccarlo dall’animale.

Senz’altro, senza dubbio.

D –  Cioè senza arrivare all’akasico, ma già prima…

Diciamo – proprio volendo sottilizzare – che certi generi di animali, particolarmente vicini all’ultima incarnazione da animale, sono molto vicini, come capacità mentale, come situazione mentale, al bambino.

D –  Ciò che condiziona il bambino, però, è la mancanza d’affetto. Quello lo cambia, anche quando è piccolino.

Beh, senza dubbio la mancanza d’affetto lo cambia; prima di tutto perché con la mancanza d’affetto il suo corpo astrale non riceve più piacere e, quindi, già questo provoca degli indirizzi particolari allo sviluppo della personalità del bambino.

Quando poi entra in gioco il corpo mentale, la mancanza d’affetto gli fa elaborare questa mancanza d’affetto, questo “perché l’affetto manca”; e qua può essere il punto in cui si identifica la nascita di molti problemi che avrà poi il bambino da grande, in quanto nelle sue fantasie cerca una giustificazione a questa mancanza d’affetto e, essendo bambino e con tutte le capacità sviluppate, troverà magari le soluzioni più strane per giustificare questa mancanza d’affetto, che magari vede (o crede di vedere) per gli altri bambini, ma che lui non possiede.

È soltanto allorché entra in gioco – come dicevo prima – il corpo akasico (qui parla dell’allacciamento più rilevante del corpo akasico, quello che avviene all’incirca attorno al ventunesimo anno di età, ndr), che tutte le fila di questo discorso verranno in qualche modo tirate. E voi potreste pensare che questo è il momento più drammatico, no?
Ed effettivamente, in un certo senso lo è, perché è in quel momento che l’individuo (ho detto in quel momento ma, naturalmente, non si tratta di un attimo) darà la svolta definitiva al suo modo di essere, in quanto sarà sulla spinta del suo corpo akasico (e, quindi, dell’evoluzione che egli già possiede) che tratterrà ciò che ha preso in certi punti e invece rifiuterà, eliminerà, o soprassederà o non terrà più in considerazione, superandoli, quegli elementi che ha preso dai genitori e che non gli sono più necessari per andare avanti nella sua evoluzione.

È questo passaggio importante, il punto critico dell’individuo, della nascita della sua personalità e, quindi, della sua vita successiva, della sua vita nel futuro dei suoi giorni.
È un periodo non di un attimo, come dicevo, ma un periodo che in realtà incomincia subito alla fine dell’adolescenza e va avanti poi, dopo, fino a quando l’individuo non riesce a trovare un suo modo d’essere più o meno equilibrato con se stesso.

In realtà, quel periodo dura fino alla fine della vita che sta conducendo, poiché è da quell’analisi del corpo akasico sulle pulsioni interne dell’individuo che si svolgerà poi tutta la sua vita, che egli muoverà tutta la sua comprensione e cercherà, grazie a questi elementi, di acquisire nuovi fattori per arrivare a comprendere.

D –  In gran parte avviene inconsapevolmente tutto questo lavoro?

Inconsapevolmente per la mente, per il cervello?

D –  Sì.

Sì certamente!

D –  Nei primissimi anni del bambino, che in preponderanza sono fatti di sensazione riguardo al corpo astrale, in che misura è inserito il corpo mentale? In pratica, non è che entro i sette anni lavora soltanto astralmente e basta.

No, certamente! Io direi che praticamente il primo anno di vita è quasi totalmente astrale, perché cominciano a mettersi in moto solo le prime meccaniche di ragionamento, più che un vero e proprio ragionamento.
Il corpo mentale poi comincerà dal terzo anno in poi a funzionare in qualche piccolo elemento, in modo un po’ più complesso, un po’ meno primitivo di quella che può essere la mentalità di un animale (visto quello che abbiamo detto prima).

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D –  Quando nell’adolescente c’è il corpo akasico che fa una cernita degli aspetti positivi, questo dipende dal suo livello evolutivo, cioè riconosce l’aspetto positivo perché corrisponde al suo livello evolutivo, oppure anche la figura dei genitori può dargli una spinta?

La figura del genitore – come avevamo detto in uno degli ultimi incontri – è soltanto un siparietto in cui vengono messe davanti all’individuo le varie possibilità di scelta, gli elementi da scegliere, che egli possiede.

Scelti questi elementi, che cosa accade? Accade che il corpo akasico, quando sarà il momento giusto, invierà gli impulsi all’individuo affinché quelli che sono inutili – nei vari elementi che ha preso – vengano scartati, ignorati, quindi non abbiano nessuna influenza sull’individuo stesso; quelli che ormai sono stati compresi dal corpo akasico (che non hanno più alcun valore in quanto la comprensione di questi elementi è già stata raggiunta) verranno in qualche modo eliminati o, quanto meno, non tenuti in considerazione e resteranno soltanto quegli elementi che garantiscono, all’interno dell’individualità una dinamica che porti, poi, ad una comprensione diversa non ancora raggiunta. Sono stato chiaro?

Il complesso edipico, alla fin fine, abbiamo detto che non è necessario, né indispensabile alla crescita dell’individuo; ma allora, se – come più spesso ultimamente ho detto – nulla è sprecato nella Realtà, ma tutto ciò che esiste ha un suo perché e quindi una sua funzione, a cosa accidenti serve?

D –  Scifo, l’hai detto anche tu la volta scorsa, che è proprio attraverso questi conflitti sessuali, questi conflitti di ruoli, che l’individuo comunque evolve, capisce delle cose e si trova di fronte a delle realtà da affrontare che, probabilmente, sono funzionali alla sua crescita.

D –  Per rendersi conto della scissione e tendere all’unità.

Vedete, creature, perché l’individuo cresca, faccia la sua vita, si evolva, acquisisca elementi, metta assieme tutto quell’insieme che gli serve per crescere, ha bisogno di fare un certo tipo di cammino, ha bisogno di smuoversi, di andare avanti; e uno degli elementi principali (che è quello poi, tutto sommato, in piccolo, che può essere rapportato ai suoi bisogni evolutivi) è quello, nel corso della vita dell’individuo, di spostare la propria attenzione da se stesso all’esterno, sempre più all’esterno; così come, nel corso dell’evoluzione, ha bisogno di passare dal proprio “Io” ad una fusione con gli altri “Io”, fino ad arrivare all’Assoluto.
“Così in alto, così in basso”, ricordate?

Ora, il complesso edipico, così come si struttura sotto le spinte della vostra società, assolve anche a questo compito, in quanto vi è una spinta non indifferente a far sì che il bambino, nella ricerca degli elementi che gli servono per crescere, sposti l’attenzione all’esterno di se stesso e, quindi, non si focalizzi più soltanto sul proprio Io ma cerchi di proiettarsi sui genitori, per captare da loro ciò che gli serve.

Allorché i genitori non avranno più nulla da dargli,  ecco che il suo bisogno di ottenere elementi lo farà spostare al di fuori dei genitori, ai parenti, agli amici, a un affetto, a un amore e via e via e via; cosicché questa ricerca finirà per portarlo ad entrare in contatto ed in relazione con gli altri individui.

Questo è uno dei compiti che assolve nella vostra società il complesso edipico; è, insomma, niente altro che un insieme di più stimoli, di più spinte che collaborano tra loro per formare l’individuo e che è stato chiamato “Complesso Edipico”, ma che in realtà è soltanto, veramente, una selezione di spinte diverse che cooperano tra di loro.

D –  Gli crea una base di comportamento per il futuro.

Certamente! E non soltanto, ma gli dà proprio la spinta a cercare questa base: se non vi fosse questa spinta, l’individuo resterebbe su se stesso, ben difficilmente cercherebbe un compagno, una compagna, o farebbe dei figli e via e via e via; sarebbe felice di se stesso e in se stesso resterebbe.

D –  Comunque questo rapporto con gli altri, nell’età adulta, è condizionato poi da come ha vissuto questo rapporto con i genitori, o comunque con quelli che aveva nell’infanzia?

Certamente! E voi direte: “Ma perché deve essere così?”. Ma è semplice: perché deve essere così! Infatti bisogna ricordare che l’individuo nasce in una certa famiglia in quanto è “quella famiglia” che gli potrà fornire gli stimoli giusti a comprendere. 

D –  Ma i genitori non danno anche un patrimonio soltanto dopo, ma anche prima che nasca, a livello biologico, per cui è già conformato a recepire questi stimoli dai genitori?

Qua ci addentriamo in un altro campo minato! Se ricordate, tempo fa, avevo posto la domanda se è vero – come sembrano scoprire adesso i genetisti – che tutto quanto fa parte dell’individuo, non soltanto l’aspetto fisico, ma addirittura le tendenze emotive, il modo di comportarsi, la personalità, siano già stabiliti a livello genetico. Se è così, bisogna rivedere tutto quanto, no?

D –  Avevi detto, mi pare, che l’aspetto genetico è solo un effetto di cause che stanno prima.

Sì, però avevamo anche detto che effettivamente le cose geneticamente stanno in quel modo; ovvero che già all’interno della catena genetica dell’individuo è scritto, in qualche modo, come l’individuo deve essere, non soltanto fisiologicamente, ma anche caratterialmente.

D –  Il fatto che sia scritto, non necessariamente porta alla sua manifestazione… 

D –  E’ stato anche detto che l’individuo si va a scegliere il “come”; come deve nascere, quindi si cercherà il DNA appropriato all’esperienza che deve effettuare.

Noi non l’abbiamo mai detto… ma lasciamolo come compito per l’estate!

D –  Scusa, ma è l’akasico che sceglie?

No! Pensateci: sarà un argomento interessante, no? Scifo


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1 commento su “Il complesso edipico come spinta a indagare l’altro [IF12a]”

  1. Tutta la realtà della rappresentazione è conformata affinché si passi attraverso gradi di consapevolezza sempre più ampi. Ma il passaggio da un grado all’altro, nella dimensione del Divenire, avviene attraverso la logica del conflitto, che altro non è che la logica della relazione.
    Mi sembra ragionevole collocare all’interno di questa dinamica il complesso di Edipo.
    Grazie.

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