La capacità di apprezzare e benedire ciò che si ha

La vita che state vivendo quotidianamente è già irta di difficoltà e di ostacoli ma, malgrado questo, che cosa fate, voi, in verità, per impedire che essa si inasprisca ancora di più, per aiutarla a fluire in modo più pacato e, per questo, più facile da affrontare?
Se voi davvero riusciste ad apprezzare quello che possedete – non solo a parole ma proprio per intima convinzione – riuscireste ad essere molto più felici e ad affrontare con serenità molto maggiore ciò che, inevitabilmente, le esigenze della vostra vita evolutiva vi conducono a sperimentare.
Fra i molti insegnamenti che provengono dalle culture orientali più avanzate ve n’è uno che è perfettamente attuabile e comprensibile a qualsiasi uomo di qualsiasi tempo, luogo ed estrazione sociale. Esso dice:

«Sappiate essere semplici, perché è solo riuscendo in questo che riuscirete a rendere semplici le difficoltà che vi verranno incontro, e sappiate anche essere umili, perché all’umile nulla è impossibile ottenere».

Voi sapete, figli miei, che io non sono solita fare discorsi molto complicati, tanto che spesso essi vengono giudicati anche troppo semplici, tuttavia questa volta vorrei parlarvi, attraverso la mia analisi non dotta, ma sentita, di una frase del Maestro Gesù la quale, così spesso citata, non è quasi mai, altrettanto spesso, compresa e messa in atto.

«Beati i poveri, perché loro è il Regno dei cieli!».

Quante volte avete sentito questa frase, ma quante volte avete veramente cercato di capirla fino in fondo? Vi prego miei cari, non rispondete che la frase è semplice da comprendere e che, infatti, voi la comprendete perfettamente!
Vi prego col cuore di non dirlo, perché sarebbe troppo facile per chiunque – e quindi anche per me – dimostrarvi che non state dicendo la verità né a me, né a voi stessi!
Se, infatti, voi avete compreso davvero quelle parole, come mai vi ascolto così spesso, nel corso delle vostre giornate, fare conti su conti, tormentarvi per cose che dovete pagare e comperare, criticare più o meno velatamente chi già possiede queste cose senza, magari, avere fatto nulla di evidente per meritarsele?
Fratelli, sorelle, beato il povero che riesce a non desiderare più del poco che possiede perché davvero, allora, il regno dei cieli sta per essere suo! E voi – che, pure, poveri non siete – quante cose desiderate ottenere, cose che, quasi sempre, una volta ottenute non diventano altro che trampolini di lancio per altri desideri più o meno irraggiungibili?
Beato è il povero che riesce a non provare invidia per ciò che gli altri posseggono perché, davvero allora, le porte del regno dei cieli sono spalancate davanti a lui! Ma come non desiderare, come riuscire a non restare condizionati da ciò che, in continuazione, la cultura in cui vivete vi pone come mete desiderabili da conquistare a qualunque prezzo?
Sarebbe così semplice, miei cari, riuscire in ciò, se voi solo voleste farlo: basterebbe che ogni giorno guardaste ciò che già possedete e cercaste di gustarlo fino all’ultima goccia.
Purtroppo, invece, vi lasciate sovrastare dai vostri affanni e non ponete soverchia attenzione a ciò che avete e che, dentro di voi, deprezzate, sotto la spinta del vostro egoismo che vi vuole vedere in competizione con i vostri fratelli, in continua, silenziosa lotta per cercare di avere quello che loro hanno e, possibilmente, anche qualcosa in più, in modo da valorizzare voi stessi.
«Beati i poveri, perché loro è il regno dei cieli!» disse Gesù, ed è stato facile a chi ne aveva l’interesse, usare questa frase a scopi politici o propagandistici, ben lontani da ciò che il Cristo intendeva dire, perché egli non intendeva esaltare la miseria, non intendeva dire ai suoi fratelli di diventare come San Francesco che tutto si levò per seguire il suo ideale di povertà: egli intendeva dire, miei cari, che il regno dei cieli, il culmine dell’evoluzione spirituale dell’uomo, sta nella comprensione che la felicità non risiede nel possedere beni materiali, nel guadagnare, nell’essere avidi.

Egli intendeva dire che proprio chi meno possiede, se semplice e umile nel suo poco possedere, più ha la possibilità di accorgersi di quanto, in realtà, possiede; più ha la possibilità di accorgersi che non solo lui, ma tutti gli uomini possiedono immensi patrimoni ed immense ricchezze che non usano e non sanno sfruttare nel modo più utile, perché neppure si accorgono di possederli.

Se credete in Dio, ed io non ne dubito perché, altrimenti, non stareste ad ascoltare i discorsi di chi, come noi, non cessa mai di parlare di Lui e di dichiararsi una Sua creatura, se percepite il nostro amore per voi e ricordate che – essendo noi Suoi figli – non possediamo che un atomo di quello che è il Suo amore, allora non potete non comprendere che in Lui non vi può essere ingiustizia, che Lui ha dato ad ognuno di voi tutto ciò di cui avete bisogno veramente e che, se sentite la mancanza di qualche cosa, ciò accade solamente perché vi siete posti delle mete e dei traguardi che non sono vere mete e veri traguardi, ma solo pretesti per non osservare voi stessi con animo critico ed attento!

Alcuni di voi potranno affermare di avere molto poco, di non togliersi nessuna soddisfazione, di dover lottare in continuazione con i conti per far quadrare il bilancio della famiglia e condurre un’esistenza decente, arrivando al punto di giustificarsi con la responsabilità che dà loro l’avere dei figli.
Certo, miei cari, proprio noi abbiamo sempre affermato che i figli hanno il diritto di avere dai genitori tutto ciò che questi possono loro dare, ma noi parlavamo dell’affetto, della comprensione, dell’educazione, dell’insegnamento, del rispetto degli altri, oltre che di se stessi.
Quante volte, invece, sento qualcuno affermare: «I miei figli devono avere tutto quello che io non ho mai avuto!» e, quasi sempre, questa frase riguarda un vestito in più, un divertimento in più, quel sovrappiù del sovrappiù che la maggior parte di voi considera essere sinonimo di felicità.
Fratelli miei, sorelle mie, considerate le vostre giornate spassionatamente! Ognuno di voi provi a guardarsi attorno e ad elencare su di un pezzo di carta tutte le cose che lo circondano e di cui, in realtà, potrebbe tranquillamente e senza alcun danno fare a meno! Fatelo, e poi vedremo se avrete ancora l’animo di lamentarvi per qualcosa che non avete o per i «quattrini» che, temporaneamente, vi difettano.
Considerate che, per quante cose voi abbiate segnate in sovrappiù sul vostro foglio di carta, con tutta certezza ve ne sono altrettante che non avete segnate, e che pure sono parimenti in sovrabbondanza.
Quanti di voi hanno, non dico una, ma due televisioni, o registratori in casa? Quanti di voi non hanno da parte parecchie paia di scarpe che, il più delle volte, restano negli scaffali perché soppiantate per le esigenze del vostro Io – per il quale essere alla moda significa valorizzarsi – da altre scarpe?
Quanti di voi hanno in casa libri che non leggeranno mai, acquistati sotto l’impulso di un momento e poi trascurati? Quanti di voi non mangiano il cibo essenziale al buon mantenimento del corpo, oppure si nutrono con foga e ingordigia di cibi notoriamente dannosi alla salute e, forse proprio per questo, più costosi degli altri?
Compilate la lista che vi ho suggerito, miei cari, e resterete voi stessi meravigliati di quante cose inutili e superflue possedete, e capirete da voi stessi quanto la vostra mancanza di soldi, così spesso lamentata e causa di affanni, sia dovuta in gran parte anche a queste cose; e capirete che i vostri pensieri, le vostre preoccupazioni, i vostri dolori, così come le vostre effimere gioie, sono dovute in massima parte proprio a queste cose in più che avete desiderato possedere, e che quindi non dovete maledire il destino o la vita o Dio stesso per tutto, ma capire che voi stessi, con quanto volete e desiderate, siete gli artefici della vostra vita.
Essere semplici e umili, essere poveri nel senso cristiano, equivale a saper godere ciò che si possiede. E voi, fratelli e sorelle, riuscite a farlo?

Riuscite a godere della vostra buona salute, o vi accorgete di averla avuta solo allorché una malattia vi fa constatare la differenza?
Riuscite ad assaporare un bicchiere d’acqua apparentemente insapore, o avete bisogno che manchino altre bevande e che la vostra gola sia riarsa dalla sete per riuscire a farlo?
Riuscite a soffermare i vostri occhi su una scheggia di pietra e ad osservarne con meraviglia la forma e ogni sua caratteristica, o i vostri occhi si fermano soltanto se colpiti dalle pietre colorate che altre persone ostentano sul loro corpo e che voi non possedete?

Beati i poveri che riescono a scoprire le ricchezze contenute nella loro povertà, senza lasciarsi distrarre ed attrarre dalle false ricchezze che altri esseri possiedono, perché loro è il regno dei cieli!
Essere poveri, semplici e umili non significa non possedere niente, significa scorgere la ricchezza di quanto già si possiede, molto o poco che esso appaia agli occhi degli altri uomini. Viola

E’ tipico dell’essere umano non rendersi conto di ciò che possiede. E’ tipico di ogni individuo non apprezzare ciò che ha, non sentirsi fortunato, felice, per le cose belle che lo circondano e che rendono vive e vivibili le sue giornate.
Ed è altrettanto tipico dell’essere umano il rendersi conto di tutto ciò che di buono possedeva, aveva e usufruiva soltanto allorché queste cose, per un motivo e per l’altro, gli vengono tolte.
Accade cioè che egli si renda conto di aver amato davvero una persona, soltanto il giorno in cui questa persona lo abbandona; oppure capita che l’individuo si accorga di aver avuto una vita materialmente soddisfacente, soltanto allorché l’esistenza lo scaraventa in una vita più misera; oppure accade che si accorga di aver ricevuto molto, soltanto allorché ciò che riceveva gli viene tolto ed egli più non riceve.
Io vi auguro, figli, che tutti voi, uno per uno, riusciate a rendervi consapevoli di quante cose possedete, di quanta fortuna vi accompagna, di quanta gioia potreste godere, di quanto amore vi viene dato, senza aver bisogno di venir privati per potervene accorgere in modo più completo. Moti


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9 commenti su “La capacità di apprezzare e benedire ciò che si ha”

  1. Quando si è in grado di dire “nulla mi manca” si aprono le porte alla pace interiore, all’amore vero fino a sentire quella forza attrattiva che ci unisce al tutto.
    Grazie

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  2. “Essere poveri, semplici e umili non significa non possedere niente, significa scorgere la ricchezza di quanto già si possiede, molto o poco che esso appaia agli occhi degli altri uomini”. Avrei voluto dire che questa frase si applica a un’infinita di situazioni, che vanno quindi ben oltre quelle citate da Viola come esempi. Poi ho visto che Moti ne declinava altre.
    Grazie in ogni caso ad entrambi

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  3. L’avere, come qualcuno ha scritto, non dà sostanza all’essere. Tanto più è l’essere a predominare, tanto meno si ha bisogno di possedere. Il bisogno di superfluo, cioè tutto ciò che non è essenziale, denota un vuoto da colmare. Mano a mano che scopro quanto è ricca la Vita e di quante cose disponiamo, il bisogno di possedere viene meno e con esso anche il senso di insoddisfazione, che mette in evidenza quanto sia in realtà illusorio, sperare di colmare il nostro bisogno di sentirci appagati inseguendo mode ed eccessi. E’ un processo di comprensione, In quest’epoca, caratterizzata da un consumismo assurdo, assolutamente necessario perseguire e, porsi da esempio, in particolare per le nuove generazioni, maggiormente a rischio su questo fronte, perché figlie di una cultura basata essenzialmente sull’avere.

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  4. «Sappiate essere semplici, perché è solo riuscendo in questo che riuscirete a rendere semplici le difficoltà che vi verranno incontro, e sappiate anche essere umili, perché all’umile nulla è impossibile ottenere».
    Questa citazione mi conduce a riflettere. Spesso mi ritrovo a dire “Voglio semplificare tutto”, perché ne ho compreso la vitale importanza, ma poi rimane un proposito che finora ha trovato attuazione in pochi campi della quotidianità come ad esempio la cucina. La difficoltà deriva dal fatto che semplificare spesso significa essere pronti ad abbandonare delle velleità che ancora alimentano l’identità. Semplificare significa andare sempre di più verso l’essenziale e liberarsi da tutti gli orpelli, orpelli materiali, emotivi, mentali. Ma è chiaro che gli orpelli diventano tali alla nostra consapevolezza solo nel momento in cui si acquisiscono le comprensioni che ne rivelano l’illusorietà.
    Anche qui, parliamo di processi graduali, ma in ogni caso, mettere in relazione l’attaccamento a questi orpelli con le difficoltà della vita è di grande aiuto, se non altro, ad abbandonare le lamentele e assumersi le proprie responsabilità.

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  5. Ciclicamente questo tema torna.
    Ho dedicato parecchio tempo negli ultimi anni a sfrondare il superfluo, a tagliare il non necessario facendo attenzione a non finire nella trappola della rinuncia che annichilisce.
    Il tentativo di sganciarsi dalla catena del dio danaro è ancora in essere ma nonostante gli sforzi fatti e i tentativi in direzioni svariate, resta un sogno utopico, in qualunque direzione sia andato ci sono inciampato.
    Forse ci sto facendo pace, sto accettando che è un’elemento imprescindibile che caratterizza questa epoca.

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  6. Riesco a sentire quale grande verità sia quella che l’Universo non ci fa mancare nulla, che abbiamo esattamente ciò che ci serve. Se il Signore riveste i fiori dei campi e gli uccelli del cielo, certamente si preoccupa del figlio dell’Uomo. In passato queste erano solo parole, ora quasi una certezza. Comunque l’asino raglia sempre, ma di tanto in tanto tace pure.
    Tanta gratitudine.

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  7. Mi viene in mente la frase di una mia amica, che proviene dalla saggezza della vita contadina che dice ” A casa dei poveracci non mancan tozzi”. E nella sua semplicità questa frase esprime proprio il concetto di riconoscere, ringraziare e gioire per ciò che si ha, per quanto semplice possa essere, come un tozzo di pane.

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