La conoscenza, la comprensione, l’assenza di desiderio

Da quanto fin qui appreso, risulta evidente che ai fini dell’evoluzione la conoscenza ha in fondo soltanto un’importanza relativa.
Se voi pensate bene, questo concetto dovrebbe rivoluzionare tutto il vostro modo di vivere e di concepire l’esistenza e la stessa società in cui vivete e nella quale chi più conosce più viene ritenuto, solitamente, grande e di conseguenza molto evoluto.
In realtà la conoscenza è semplicemente un mezzo che può tornare utile, come è stato detto prima, a conseguire evoluzione, ma non è stato strettamente necessario a questo conseguimento.

Per conseguire evoluzione è invece strettamente necessario andare al di là di quella che è la semplice conoscenza delle cose ed arrivare alla comprensione.
Se voi pensate a tutti questi anni in cui vi siamo venuti a parlare, abbiamo sempre fatto una distinzione ben precisa tra conoscenza e comprensione, ed il motivo è proprio questo, in quanto conoscere non basta: la realtà bisogna comprenderla.

Questo va applicato non soltanto alla conoscenza mentale che voi potete raggiungere, conseguire nel corso della vita fisica o in ogni intervallo tra una vita e l’altra, ma specialmente per quello che riguarda la conoscenza di voi stessi, del vostro intimo.
Il conoscere se stessi, infatti, ha un più ampio significato se alla parola conoscere si sostituisce la parola comprendere così come noi la usiamo; non basta, infatti, conoscere il proprio egoismo, ma è necessario – strettamente necessario per arrivare a muoversi verso l’allacciamento con la propria coscienza – comprenderlo, comprendere ciò che lo muove, ciò che lo induce ad essere sempre più tenace, sempre più forte, sempre più combattivo.
Non basta, quindi, per conseguire evoluzione, riconoscere di essere egoisti, ma bisogna appunto, fratelli miei, comprendere il perché si è egoisti e cos’è che muove l’egoismo di ognuno di voi. Andrea

Se il fine ultimo dell’incarnarmi in continuazione, del mio evolvermi quindi, è quello di raggiungere l’ampliamento della coscienza che mi permetta di identificarmi col Tutto, com’è possibile che io riesca a rendere operante questo ampliamento di coscienza?
Se conoscere ciò che io sono non può bastare, cosa devo fare io per riuscire a ricongiungermi, attraverso l’evoluzione, con il Tutto?

– In fondo sforzarmi non serve nulla, perché non si può veramente forzare uno stato di coscienza, ma lo stato di coscienza deve essere superato spontaneamente, senza sforzi;

non basta neppure osservare me stesso nel corso della mia vita perché la semplice osservazione non è sufficiente per travalicare i confini del mio attuale sentire;

non basta neppure conoscere la meta che devo raggiungere e volerla raggiungere, volerla fortemente raggiungere a tutti i costi, perché il solo fatto di voler raggiungere qualche cosa fa sì che non si possa ottenere la condizione giusta di equilibrio che permetta di raggiungerla.
Infatti dice il saggio dell’antichità:

“Figlio mio, se tu vuoi arrivare alla condizione ideale che ti permetta di superare il tuo egoismo, se tu vuoi arrivare a quella condizione che ti fa sentire parte del Tutto, e arrivare infine a farti sentire il Tutto stesso, devi riuscire a vivere la tua vita tra gli uomini, ma senza più essere mosso dal desiderio.
Devi vivere la tua vita spontaneamente, semplicemente facendo ciò che senti di fare non perché speri in quel modo di raggiungere la meta agognata, ma semplicemente perché l’agire in quel modo ti è naturale e spontaneo e non provoca nessuno sforzo, nessuna tensione in te”.

Questa è l’assenza di desiderio che viene tramandata dalle dottrine orientali e che, così spesso, viene mal compresa e mal accettata: assenza di desiderio non significa ritirarsi del tutto dal mondo, rinunciare, non possedere, non avere nulla, ma significa ad esempio avere del denaro senza farsi governare dal denaro, possedere la conoscenza ma far sì che la conoscenza non serva per prevaricare gli altri.
Assenza di desiderio, figli e fratelli, significa dunque riuscire a vivere la propria vita spontaneamente. Ananda


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8 commenti su “La conoscenza, la comprensione, l’assenza di desiderio”

  1. Ananda descrive perfettamente ciò che intimamente intuisco. Anche se il metterlo in pratica comporta un lavoro senza fine di osservazione dei propri limiti e la constatazione di quanto sia difficile affrancarsi dai desiderio che viene descritto.

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  2. Ritorna il tema dello sforzo nella via interiore, già affrontato in un precedente post del Cerchio Ifior. Qui viene aggiunto un suggerimento, una sorta di indicazione su cosa fare per “riuscire a ricongiungersi, attraverso l’evoluzione, con il tutto”. Comprendo benissimo quando dice che non basta la semplice osservazione di sé o conoscere e voler raggiungere la meta dell’unione col Tutto per travalicare i confini del proprio sentire. Mi ingarbuglio un po’, quando ci viene proposto di “vivere la vita tra gli uomini, senza più essere mossi dal desiderio”. Qui ho difficoltà ad andare oltre il dualismo del ragionare mentale. Mi chiedo infatti: l’assenza di desiderio non è a sua volta il risultato dell’ampliamento del sentire, del raggiungimento di quelle comprensioni che portano a mollare l’attaccamento per cose che appaiono finalmente per quello che sono, ovvero mera illusione?
    Analogamente mi chiedo se il vivere spontaneamente, la gratuità dei propri gesti, azioni, scelte non sia un punto di arrivo, il frutto di una maturazione conseguita attraverso l’esperienza, piuttosto che uno stato di coscienza che si può richiamare attraverso, appunto, “lo sforzo” o la volontà.
    Quando si parla di assenza di desiderio chiaramente non si parla di repressione o di rinuncia, ma, io immagino, di perdita di interesse a raggiungere ciò che è altro dal momento presente, dal qui e ora, da “quel che è”.
    Qual’è la mia capacità d’azione, dove si fonda l’equilibrio tra il desiderare e il non desiderare, tra lo sforzo e l’assenza di sforzo? In questo momento la via della conoscenza – consapevolezza – comprensione mi sembra una danza tra questi apparenti opposti, come se lo stesso processo incarnativo non possa prescindere dall’intrecciarsi delle forze del mondo dell’apparenza, e le forze cosmiche dell’interiore.
    Attendo lumi, Grazie.

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  3. Lasciarsi guidare dal sentire significa permettere il fluire della propria essenza che non avendo ostacoli non avrà alcun desiderio da rincorrere perché tutti i desideri sono già esauditi in quella manifestazione. Che leggerezza!

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  4. x Roberta
    “l’assenza di desiderio non è a sua volta il risultato dell’ampliamento del sentire, del raggiungimento di quelle comprensioni che portano a mollare l’attaccamento per cose che appaiono finalmente per quello che sono, ovvero mera illusione?”

    Ovviamente è così ma, come sempre, bisogna ricordare che, fino a quando il sentire non è completamente strutturato, l’assenza di desiderio non è totale ma l’individuo la “mette in atto” solo relativamente a quei settori di comprensione che è arrivato a raggiungere; e questo fatto, chiaramente, limita il posizionamento dell’incarnato rispetto all’illusione perché l’intreccio delle comprensioni può indurre a sentire come indispensabili che, invece, non lo sono veramente.

    “Quando si parla di assenza di desiderio chiaramente non si parla di repressione o di rinuncia, ma, io immagino, di perdita di interesse a raggiungere ciò che è altro dal momento presente, dal qui e ora, da “quel che è”.

    Non credo che si arrivi a una perdita di interesse ma, piuttosto, al raggiungimento di una più ampia consapevolezza di quale sia la reale importanza di ogni aspetto che riguarda la vita dell’individuo incarnato. Il che porta con sé la capacità di spostare la propria attenzione e la propria azione verso quegli elementi che sollecitano con più forza il proprio desiderare,

    “Qual’è la mia capacità d’azione, dove si fonda l’equilibrio tra il desiderare e il non desiderare, tra lo sforzo e l’assenza di sforzo?”

    Quanto dici è tutto gestito dal sentire raggiunto.
    L’azione possibile è modulata dalla capacità dell’individuo di “sentire” il desiderio che lo spinge e di saper riconoscere quanto di quella spinta sia frutto di desiderio egoistico e quanto provenga da intenzioni genuinamente sentite. Questo, secondo me, significa che il desiderio può anche essere sempre presente anche nell’individuo incarnato di ottima evoluzione, ma questi sarà in grado di non farsi governare da esso comprendendo che colui che desidera è l’Io. Per quello che riguarda il corpo della coscienza si potrebbe dire anch’esso desidera ma che ha un unico desiderio, quello di incamerare sempre nuovi elementi per poter ampliare se stesso.
    Quando vi è una comprensione completamente raggiunta su un elemento, non vi è sforzo nel non desiderare mentre lo sforzo diventa maggiore quando tale comprensione non è stata ancora del tutto raggiunta perché l’Io ha ancora preponderanza rispetto al sentire.

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