La strutturazione dell’Io, il suo riconoscimento e superamento (IF15)

Insegnamento filosofico 15
Da più anni andiamo indicando, allorché vi parliamo dell’Io, e di come dovete cercarlo, osservarlo per riuscire ad andare oltre.
Prima però di entrare nel merito, vorrei andare alla ricerca dell’Io lungo il cammino evolutivo individuale, per vedere se, nelle varie tappe, l’Io può venire riconosciuto: indaghiamo innanzitutto all’interno del regno minerale.
Non mi sembra necessario spendere moltissime parole per dire che non è possibile trovare tracce dell’Io nell’individuo incarnato a questo stadio evolutivo; voi sapete, infatti, che l’Io non è altro che la risultante del corpo astrale e mentale dell’individuo nella loro relazione col corpo fisico e con quanto questo subisce o agisce all’interno del mondo fisico.
Ora, è evidente che l’individuo incarnato nel regno minerale possiede solamente un corpo astrale molto rudimentale, organizzato, cioè, soltanto in minimissima parte, anche se chiaramente si va strutturando sempre meglio via via che le incarnazioni si susseguono.
Se fosse possibile tradurre in modo ben comprensibile ciò che passa per la pietrosa testa del minerale, questo sarebbe sotto forma di “caldo”, “freddo”, “pioggia”, “vento”, e via e via e via, quindi semplicemente come delle constatazioni di qualche cosa che accade senza, in fondo, né ragionamento, né percezione emotiva, e quindi, ripeto, che a questo stadio evolutivo dell’individuo non vi è e non vi può essere un Io così come voi lo avete inteso da quando siamo venuti a parlare tra voi.
Come conseguenza logica e inconfutabile, lo stesso discorso, quasi pari pari, può essere portato per l’individuo incarnato allo stadio vegetale; in quanto questo individuo ha sì un corpo astrale più strutturato di quello che aveva nel corso delle molteplici incarnazioni minerali, però se fosse possibile riportarvi come pensieri ciò che passa per la mente alla clorofilla del vegetale, voi potreste avvertire “sento caldo”, “sento freddo”, “sento pioggia”, “sento vento”, e via e via e via.
Quindi anche in questo stadio l’Io non esiste e non può esistere.
Quelli tra di voi che più amano gli animali, tendono quasi sempre a personalizzarli, a umanizzarli, a vederli non come animali, ma come prolungamenti di esseri umani, a volte addirittura come prolungamenti di se stessi, scambiando spesso il comportamento indicativo tipico degli animali con un senso di personalità; in realtà, anche per quello che riguarda l’individuo incarnato all’interno del mondo animale, si può affermare che non esiste un Io; questo anche se il corpo astrale, in questo caso, è abbastanza ben organizzato e strutturato, il corpo mentale comincia soltanto allora ad essere strutturato, è soltanto alla prima fase di strutturazione, e quindi l’Io non è ancora formato, ma vi è il primo larvato percepire, la prima differenza tra io e non-io.
Se voi, infatti, potreste entrare nella mente dell’animale potreste sentire i suoi pensieri come: “io ho fame”, “io ho sete”, “io ho freddo”, “io ho caldo”; l’Io dunque c’è già: una percezione molto larvata di se stessi e gli altri.
Tuttavia, ripeto, anche per quello che riguarda l’incarnazione all’interno del mondo animale, non è possibile parlare di un vero e proprio Io.
L’Io, invece esiste, compare allorché l’individuo giunge all’incarnazione umana; l’individuo che giunge a questa infatti possiede un corpo astrale, ormai molto ben strutturato, un corpo mentale, a sua volta organizzato in modo più o meno uniforme e complesso, quindi gli scambi tra questi due corpi e il corpo fisico sono continui e tali da permettere di fare una distinzione, da permettere di avere coscienza della separazione tra se stesso e il mondo al di fuori di se stesso.
Permette, cioè, di rendersi conto che egli è, e il mondo intorno a lui è ma in modo diverso da se stesso.
Come abbiamo detto, questa percezione, questo senso di separatività tra l’individuo ed il mondo esterno, in realtà, è a sua volta un’illusione, perché per procedere nell’evoluzione l’individuo deve arrivare anche ad andare oltre l’Io, e a comprendere che non esiste Io e non-Io, ma fa parte di un tutt’unico, in cui non vi sono parti contrapposte, ma parti che si completano a vicenda.
Ecco quindi dove intendevo arrivare quando affermavo, all’inizio, che di Io si può parlare veramente soltanto allorché l’individuo è incarnato come essere umano.
Ora che abbiamo seguito il cammino dell’individuo fino alla sua costituzione di un Io, arriviamo a tutti voi e alla ricerca che noi vi indichiamo di questo Io che ognuno di voi, in misura più o meno grande, più o meno forte, possiede.
E vi osserviamo, vi vediamo lottare con voi stessi, vi vediamo soffrire, perché non riuscite a essere migliori di quello che siete; a volte, vi vediamo litigare con gli altri, vi vediamo arrabbiarvi, vi vediamo guardarvi allo specchio e dirvi: “Ma perché non riesco ad essere diverso?”. Vi sentiamo pensare: “Io sono così, però so qual è la meta e voglio arrivare a tutti i costi, e se io voglio, io posso!”.
Bene, creature, questa vostra intenzione vi fa onore, siamo contenti che in ognuno di voi vi sia almeno questa intenzione, questa spinta a superare il vostro egoismo, questo tentativo di andare oltre a ciò che voi mostrate quotidianamente, questa ricerca di spiritualità, di altruismo, di amore, questo “voglio fortissimamente voglio” che a volte perseguite, a volte dimenticate.
Tuttavia, anche se, ripeto, questo è già un primo passo che porterà ai passi successivi, necessari così come questo primo passo, vorrei affermare, questa sera, qualcosa che potrebbe confondervi, scombussolarvi e disorientarvi.
Infatti, questa sera, creature, voglio arrivare a dirvi che tutti i vostri sforzi, tutti i vostri momenti di repressione, tutta la vostra ricerca, in realtà, non servono assolutamente a nulla.
Voglio dirvi cioè che il vostro cercare il superamento dell’Io non vi porterà ad alcun risultato.
Poveri noi, la rotella è saltata!
No creature, il vostro amico Scifo questa sera non sta sproloquiando perché non sa più che cosa dire, ma il discorso che sta cercando di farvi poggia su basi salde, sicure, e non aleatorie come a qualcuno di voi potrebbe anche sembrare; vediamo se riesco con poche parole a spiegarvi cosa intendo dire con ciò che poc’anzi ho affermato.
Il fatto stesso che voi vogliate superare qualche cosa vuol dire che vi sforzate, che vi fate violenza per superarla, e io vi garantisco che il fatto stesso di farvi violenza non vi può portare a superare la cosa, qualunque essa sia; può forse aiutarvi per altri versi, può forse impedirvi di fare del male agli altri, di nuocere, di non rivelare certi vostri aspetti interiori, ma se vi fate violenza questo non serve a farvi raggiungere l’amore, l’altruismo, la non separatività, e quindi a superare l’egoismo. Scifo

Così, figli carissimi, dalle cose che vi sono state dette, si capisce che l’individualità parte da una condizione di non-Io per ritrovare, scoprire l’Io, per ritornare infine ad una nuova condizione di non-Io; ma se la prima condizione era di totale incoscienza, la seconda, meta dell’evoluzione stessa, è di totale coscienza.
Cosicché quando noi vi parliamo di costituzione di autocoscienza, intendiamo parlarvi del superamento dell’Io, dell’identificarsi con tutti gli altri fratelli, del sentire tutti gli altri fratelli uguali a se stessi, ma in totale consapevolezza.
Quando si raggiunge questa condizione, ed in questo modo il corpo akasico è totalmente costituito, l’individuo non ha più necessità di incarnarsi, abbandona, così come si è soliti dire, la ruota delle nascite e delle morti, ma non è detto che l’evoluzione non continui.
Infatti non finisce lì: l’individualità, l’individuo, colui che ha sperimentato attraverso le varie vite, ed ha conquistato la propria consapevolezza ritrovando la vera essenza del suo stesso essere, continua la sua evoluzione su altri piani; piani che noi, genericamente, definiamo piani spirituali.
Questa nuova forma di evoluzione lo porterà inevitabilmente all’unione con il Tutto, all’identificazione con Dio, identificazione che non significa totale annullamento, perché l’individuo che si unifica a Dio, che entra in comunicazione con Dio, è consapevole di ciò che è stato, è totalmente consapevole di ciò che sono stati i suoi fratelli, tuttavia riesce a sentirli come se fossero lui stesso. Fabius


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12 commenti su “La strutturazione dell’Io, il suo riconoscimento e superamento (IF15)”

  1. Questo post mi chiarifica e mi conforta su quel che è il percorso di ognuno. Ho sempre immaginato che qualsiasi sia il processo di comprensione da compiere, questo è caratterizzato dalla stessa traiettoria. Se dovessi spiegare in forma grafica ciò che vorrei dire, potrei disegnare un cerchio. L’individuo, rappresentato dal puntino che delineerà la traiettoria, parte da un punto, il percorso lo porterà ad allontanarsi via via, ma non su una linea retta, ma bensì circolare. Ad un certo punto si ricongiungerà al punto di partenza. Tutta l’esperienza acquisita durante il percorso sarà stata utile per portarci a conoscenza di quello che già c’era, ma di cui non eravamo consapevoli.

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  2. “l’individuo che si unifica a Dio, che entra in comunicazione con Dio, è consapevole di ciò che è stato, è totalmente consapevole di ciò che sono stati i suoi fratelli, tuttavia riesce a sentirli come se fossero lui stesso. ” Fabius
    Quest’orizzonte può dare respiro al nostro procedere talvolta affannoso. Senz’altro è un forte richiamo ad abbandonare il giudizio, somma illusione

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  3. Bello! Questa chiusa indica l’orizzonte, il fine ultimo dell’esistere.
    Con questo tempo di pioggia posso soffermarmi qualche riga in più.
    La sensazione è quella di essere trascinato verso ciò “Questa nuova forma di evoluzione lo porterà inevitabilmente all’unione con il Tutto, all’identificazione con Dio..” quando vedo queste lampade tra la boscaglia.
    Per questa corrispondenza di sentire chiedo aiuto per un vocabolo che esprima ciò. Magari poi è solo corpo mentale intessuto di corpo astrale, mi piacerebbe individuarlo, quali sono cioè i fili che indicano l’origine di questa sensazione, quando senti dire dentro ‘si, è così’?

    Mi soffermo poi su altri due aspetti.
    Il meccanismo dell’Io che mi è sembrato spiegato così bene, chiaro e semplice e non mi era così chiaro.
    Poi sulla volontà del superamento dell’Io sugli sforzi e sul farsi violenza. Sul non farmi violenza era consolidato, a fasi alterne a volte, mitigato per una respondabilità che sento verso altri per non portare dolore, ma era consolidato, sul superamento dell’Io credevo che un certo sforzo fosse di aiuto, invece forse non serve a niente. Quando l’ho letta questa riga mi è venuta una risata anche se l’avevo sentita più volte fin dall’inizio se penso a quanto mi sono sbattuto in tanti anni per la trasformazione dei miei schemi di pensiero e per far entrare in quelle stanze aria pulita..
    Ma questa risata non è di rammarico per tutti quegli anni tosti in cui ho buttato via, ero determinato e a quel tempo per me necessario.. 🙂

    Forse, e questa è una riflessione che mi coglie in questo momento, certi moti di intemperanza, quando mi spazientisco di fronte a un’inerzia che mal tollero sul fronte del cammino verso la comprensione, (di cui io non ne sono affatto esente) vengono da questo periodo di vita dove ho iniziato a vedere i colori ma dove mi sono anche fatto un gran culo a vedermi aspetti di me che procuravano un gran dolore: sordo, senza scusanti, a volte lacerante, ma a cui sono sopravvissuto e forse qualcosa in me ha trasformato..

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    • Ad Alessandro: In effetti, come abbiamo tante volte detto, la trasformazione non avviene per volontà, ma per comprensione acquisita.
      Dunque, come afferma Scifo, non serve di certo usarsi violenza per superare qualcosa, ma bisogna avere chiaro questo: la volontà che non applichiamo per superare un limite combattendolo, la attiviamo invece per osservarlo, per divenirne consapevoli.
      Con l’esperienza, quel limite sarà superato in virtù di una comprensione che giungerà, ma, va notato, noi avremo fatto la nostra parte direzionando la volontà verso l’uso il più possibile pieno della consapevolezza.
      Fuori da questa logica, c’è un fatalismo che non è quello che Scifo intende alimentare.

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  4. Voglio specificare ‘Con questo tempo di pioggia posso soffermarmi qualche riga in più.’
    Non che questi commenti, riflessioni, questo raccontarmi, siano secondari rispetto al lavoro, ma che questo tempo dilatato dalla pioggia consente riflessioni più articolate rispetto ad un altro tipo di giornata..

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  5. x Alessandro
    “…quali sono cioè i fili che indicano l’origine di questa sensazione, quando senti dire dentro ‘si, è così’?”

    Io credo che vi sia un’unica risposta possibile a quello che chiedi, e cioè il sentire e il suo graduale strutturarsi grazie all’ampliarsi della comprensione ottenuto dall’affrontare le esperienze nel corso della vita.
    Come sottolinei anche tu, è qualcosa che si sente dentro (e che a volte al nostro esame può apparire addirittura privo di senso e di motivazioni razionali) perché il corpo astrale e quello mentale colgono solo dei pallidi riflessi di quello che è il reale sentire dell’individuo incarnato e sono fortemente limitati e condizionati da quella che è la loro costituzione parametrata sulle esperienze che ognuno ha bisogno di affrontare nel corso della vita. Dobbiamo ricordarci che noi non siamo quell’Io che ci accompagna nel corso della vita ma che esso è e resta, comunque, solo un’espressione parziale del nostro vero sentire. E questo è quello che le Guide intendono . credo . quando ci dicono che in realtà siamo migliori di quanto appariamo sul piano fisico!

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  6. “…ma se vi fate violenza questo non serve a farvi raggiungere l’amore, l’altruismo, la non separatività, e quindi a superare l’egoismo. Scifo”

    Parole che in effetti producono quello sconvolgimento annunciato. Prendo l’esempio della coppia. Se uno non si facesse un po’ di violenza credo che il tradimento sessuale sarebbe più diffuso. Farsi un pelino di violenza serve per coltivare un amore più grande, più pieno, o almeno così me la racconto. Serve per superare l’egoismo, andare oltre l’io che vorrebbe magari appagamenti ulteriori e tutelare il noi, quindi andare oltre l’io.
    Boh, forse la mia capacità di analisi non va a fondo ma mentre colgo il respiro ampio del post, ho anche la sensazione che qualcosa non mi quadri o forse qualche resistenza.
    Cercherò tuttavia di tenermi esposto alle radiazioni del post.

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    • Quello di cui parli, Samuele, è quello che ciascuno di noi opera ogni giorno nella sua ferialità attraverso il conoscere e il divenire consapevoli che fioriscono, a volte, nel comprendere.
      È quello che nel Sentiero chiamiamo il lavoro nell’Officina.
      Quello che Scifo intende, a mio parere, è che questo lavoro non serve a superare l’egoismo, ma certo ce lo fa conoscere, ce lo fa divenire consapevole e dunque crea le basi per l’evoluzione che avviene con il comprendere.
      La persona può affermare: “Voglio superare l’egoismo” e questo è un buon proposito ma, in sé non significa granchè: determinante è che essa divenga consapevole della forma che il suo egoismo prende e non la alimenti.
      Parimenti, la persona che desidera amare si veste dell’abito dell’amore, ma non lo diviene: deve vedere ciò che le impedisce d’amare e allora l’amore si manifesterà. Questo perché l’amore era già lì. Come sai, l’amore non ci crea, si scopre, si tolgono i veli che lo nascondono.
      L’egoismo è figlio della non conoscenza e della non consapevolezza; è figlio dell’Io, il fantasma di un fantasma: il conoscere e il divenire consapevoli ci svela l’illusione e appare ciò che c’è oltre il suo velo.
      Dunque non serve farsi violenza per amare o per non essere egoisti, torniamo a Scifo, serve conoscere l’assenza d’amore e la presenza d’egoismo, divenirne consapevoli e lasciarli andare, sapendo che supereremo quegli stati quando avremo compreso ciò che ci impedisce di vivere pienamente l’amore e l’altruismo.

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  7. Si parla di strutturazione, riconoscimento e superamento dell’io. Concetti rimuginati più e più volte, capiti con la mente, compresi relativamente. Quello che più mi fa riflettere è l’idea che un io illusorio concepisca il desiderio e l’idea di superare se stesso. Sicuramente la frase non è espressa nei termini adeguati, perché non stiamo parlando di un semplice io ma di una individualità complessa, in cui l’io è solo un riflesso dell’interazione tra i corpi “spirituali” e quelli più densi, fisico emotivo mentale. Per quello che mi è dato di vedere, partendo dall’auto-osservazione, vi è un anelito che procede dal sentire, che porta in sé se non la piena consapevolezza per lo meno una sorta di ricordo inconscio dell’unità che a tratti si rivela, e che viene filtrato dai corpi “inferiori”. Questa volontà di superare l’io mi sembra un misto di un’aspirazione che procede da spinte che provengono dai corpi superiori (il percorso da ego ad amore) e nello stesso tempo di volontarismo frutto dell’insoddisfazione, della sofferenza e in sostanza dell’incapacità di accettare le implicazioni dell’incarnazione.

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  8. x Samuele
    Il punto di cui stiamo parlando può essere osservato in due prospettive diverse: l’utilità del fare violenza a se stessi rispetto alla propria evoluzione e l’utilità di fare violenza a se stessi nelle conseguenze che ci possono essere nella conduzione della vita in corso.
    Dal punto di vista evolutivo personale mi sembra abbastanza chiaro che fare violenza a se stessi non risolva i problemi di egoismo che ci riguardano, fare questo non amplia il sentire perché l’incomprensione di base non viene risolta, ma messa a tacere.
    Diversa, invece, è la prospettiva nell’altro caso: fare violenza a se stessi costringendo il proprio Io entro limiti autoimposti può evitare di danneggiare gli altri e aiutare a vivere in maniera meno contrastata. Quindi credo che una “violenza” di questo tipo sia utile e necessaria nel corso della vita, sempre che venga effettuata senza chiedere a se stessi sforzi che vanno oltre le proprie possibilità di attuazione, altrimenti preso o tardi vi saranno delle reazioni meno facilmente controllabili.

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