L’aiuto agli altri e il non nuocere

D – Una delle prime domande che mi sono posta quando mi sono avvicinata agli insegnamenti è stata come si può essere abbastanza se stessi ma senza fare del male agli altri. Mi chiedevo che cos’è esattamente questo “fare del male agli altri”, visto che è la cosa più difficile, quasi, da capire.

Tante volte pensiamo di volere il bene dei figli, e poi invece ci accorgiamo che è un nostro egoismo, e via di questo passo. Mi potresti aiutare, perché si diceva che è l’intenzione che conta, ma anche con l’intenzione a volte, pur essendo buona, puoi trovarti davanti ad una persona non in grado di comprendere.

Certamente, uno può fare l’azione con la migliore intenzione possibile e l’altro non la recepisce o la prende addirittura male. E dove sta il problema?

D – Come regolarsi nel non danneggiare gli altri? E’ molto difficile stabilire quando li potresti danneggiare o meno; a volte, anche lasciare nei guai una persona diciamo, o lasciarla comunque…

Ferma, perché se no non ti fermi più! Lo faccio per te, perché fa caldo e poi sappiamo che sudi troppo! Stai partendo da un punto di vista sbagliato (tu dovevi essere una missionaria, in qualche vita precedente!). Invece tu dovresti metterti in un’altra posizione: tu devi metterti nella posizione di avere la tua intenzione buona; poi come l’altro reagisce è un problema totalmente suo, in realtà.

D – Anche se è un po’… squilibrato?

Ma è totalmente suo il problema, non è più tuo! Se tu sei pura nella tua intenzione, hai la tua coscienza a posto!

D – Mi sentirei in colpa perché non mi rivolgo a una persona in possesso delle sue facoltà.

E allora, cara, se ti senti in colpa vuol dire che sai che non ti sei comportata nel modo giusto, altrimenti non ti sentiresti in colpa. Ma parlavo in generale.

D – Beh, scherzi a parte… chiaramente non si può avere la certezza che questa persona sia, ad esempio, in esaurimento nervoso per cui non è in grado di subire un ragionamento logico…

Potrebbe essere benissimo, certamente.

D – E allora, sarebbe farle del male!?

Ma non è vero, non è vero! La sua reazione potrebbe essere negativa, ma tu non sai poi all’interno, nei suoi corpi più sottili, il tuo comportamento, la tua azione sentita che cosa provochi! Per quello che tu ne sappia, questa persona sembra esaurita o fuori di testa ma, in realtà, potrebbe essere già molto evoluta e non riuscire soltanto a manifestare la sua evoluzione.

Voi continuate a giudicare gli altri in base al comportamento, e non potete farlo! Ficcatevelo in testa! Così come non potete assolutamente riuscire a convincere gli altri di quello che volete voi: non potete, se gli altri non vogliono!
Non potete aiutare gli altri se gli altri non vogliono essere aiutati! Non ci riuscirete mai! Lo so che questo non appaga il vostro Io, ma non ci riuscirete mai!

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D – L’aiutare… quello credo di averlo abbastanza capito, almeno mentalmente, poi messo in pratica no, però lo spiegarsi quando si è in un conflitto con dei familiari, ad esempio… sei in conflitto però non ti sembra il caso di dire la tua opinione anche se credi che sia altruistica, perché l’altro non è nella condizione psichica di sopportarlo. E’ sbagliato farsi questi ragionamenti, allora?

Un momentino, un momentino: chi vuole aiutare gli altri deve avere sempre la sensibilità di cercare di capire cosa l’altro può ascoltare.

D – Ah, ecco…

Un momento, non esagerare. Tu sei sempre in queste posizioni assolutistiche. Non si può parlare di una cosa in modo assolutistico, specialmente quando si tratta di aiutare gli altri; ogni caso va visto a stante, non si può fare una regola generale, assolutamente.

Vi sono i casi in cui è giusto essere duri e allora l’individuo reagisce bene alla durezza; vi sono dei casi in cui (e magari si tratta di quella stessa persona con cui sei stata dura) è giusto essere dolce, e allora la dolcezza funziona.
Se si vuole aiutare gli altri bisogna essere attenti e sensibili a quello che gli altri possono percepire; altrimenti, se invece si vuole soltanto convivere con gli altri, allora la cosa migliore è fare ciò che si sente di fare, e dire: “La reazione dell’altro riguarda lui, non riguarda più me. L’importante è che io abbia fatto ciò che sentivo di fare”.

D – Sei a metà strada.

Sei a metà strada, non sei né carne né pesce, né arrosto né frittata.

D – E quando hai abbastanza sensibilità però hai ancora delle pulsioni per cui vuoi fare quello che ti pare, più che altro…

In quel caso mio caro, c’è una sola possibilità. Vediamo se indovini qual è.

D – Il “Kalideva”.

Soffrirai e basta. Perché è la tipica situazione in cui l’individuo soffre perché non riesce a fare ciò che vorrebbe fare e, invece, il suo lo spinge a fare qualcos’altro che è soltanto un appagamento senza senso, per se stesso e basta.

D – Scusami, Scifo, però io credevo di aver parlato non di voler aiutare gli altri, ma di essere certa di non danneggiare. Mi sembra una cosa un po’ diversa.

Non danneggiare gli altri equivale ad aiutare, in realtà; perché tutti voi, con il vostro agire sconsiderato e senza sensibilità finite col danneggiare teoricamente gli altri. Dico “teoricamente” perché vuol dire sempre che l’altro ha bisogno di essere danneggiato per comprendere qualcosa, ma questo è ancora una volta un problema dell’altro e non vostro. Scifo


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10 commenti su “L’aiuto agli altri e il non nuocere”

  1. Gli atteggiamenti verso l’altro sono una continua modulazione.
    Non esiste atteggiamento corretto in assoluto ma ogni situazione va ponderata in base al grado evolutivo dell’altro e del proprio ovviamente.

    In fondo immersi come siamo nell’illusione è comprensibile come questa è mutevolezza continua e quindi anche le azioni e gli atteggiamenti che ne conseguono.

    La difficoltà, se cosi vogliamo chiamarla, è proprio nella continua elaborazione di tutto ciò che accade.
    Ecco che l’attenzione e l’osservazione non può essere mai abbassata.

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  2. “Ogni caso va visto a sé stante”
    È bene riconoscere i tempi giusti per ogni situazione,
    quando è tempo di parlare e quando tacere, quando è tempo di agire e quando aspettare…

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  3. Mi ha colpito che è la buona intenzione, nell aiutare, quella che conta è che non si può aiutare chi non vuol essere aiutato.

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  4. Non è mai facile capire come possiamo aiutare gli altri e perlomeno non danneggiarli quando la realtà, in quanto rappresentazione, è quasi del tutto soggettiva e ognuno di noi vive il proprio film.
    Non esistono, di sicuro, criteri oggettivi, come quelli messi in campo dalla morale. Forse, l’unico “parametro” è quello “soggettivo” del sentire l’intenzione, che ci muove, come buona (anche se non “buonista”), pura, scevra di egoismo personale.
    Ma anche qui come faccio a determinare che un’azione sia davvero pura basandomi solo su ciò che “sento”?
    Chi mi dice che non potrei ingannarmi sulla mia valutazione?
    Chi mi dice che la mia valutazione non sia prodotta da un sentire limitato che percepisca un’azione egoistica come disinteressata?
    Credo che l’errore sia a monte: le categorie duali dell’aiutare e del non nuocere, del fare del bene o del male.
    Se l’esistenza è processo di comprensione salta ogni dualismo (aiutare e nuocere, bene e male) e rimane solo Ciò-Che-E’.
    Grazie.

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  5. Voi continuate a giudicare gli altri in base al comportamento, e non potete farlo!

    Questa frase non mi è del tutto chiara.
    Il comportamento non è frutto delle nostre comprensioni, quindi del nostro grado evolutivo? Lasciamo stare il giudizio. Mentre le scene vengono estratte dall’Indifferenziato, per aggiungere atomi di sentire e procedere nelle comprensioni stesse?

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