L’esercizio del potere verso l’interiore e l’esteriore [A234]

D – Fino a che punto sono consapevole della mia responsabilità in questo esercizio di potere con cui mi vengo a relazionare? Quanto accetto davvero di avere delle responsabilità in tali rapporti di potere e non insisto, invece, a cercare di attribuire la responsabilità delle mie azioni, reazioni e comportamenti all’infuori di me?

Il potere che non è accompagnato dal senso di responsabilità non può essere altro che un potere egoistico. Nell’intimo di ogni individuo incarnato esistono sia il dottor Jekyll che mister Hyde che combattono tra di loro per affermare le loro volontà, esprimendo se stessi all’interno del campo di battaglia della vita che viene condotta, adoperando gli strumenti, ancora imperfetti, che hanno a disposizione e, in particolare il carattere e la personalità con cui lo estrinsecano, risultanti entrambi dalla quantità di sentire che hanno raggiunto: mentre Hyde cerca di appagare senza freni e riguardo alcuno per le esigenze degli altri i suoi desideri e i suoi bisogni, Jekyll interviene a contrastarlo e a modificarne le reazioni con la forza che gli dona quello che ha compreso fino a quel momento.

È l’eterna lotta tra il bene ed il male, necessariamente presenti in ogni individuo allorché si trova a vivere nel mondo della dualità per assicurargli la dinamicità evolutiva, lotta che sembra apparentemente senza fine e irrisolvibile ma che, invece, non può che vedere, alla fine che un solo vincitore, cioè il nostro Jekyll, dal momento che ad ogni battaglia combattuta – sia vinta che persa – egli acquista comprensione e, di conseguenza, aumenta le sue possibilità di esercitare in maniera più forte e adeguato il suo potere.

Il senso di responsabilità è un po’ l’ago della bilancia di questa situazione: aumentando la comprensione non può che aumentare il senso di rsponsabilità e tale aumento porterà inevitabilmente a rendere Hyde sempre più simile a Jekyll fino a che non si scioglierà definitivamente in esso diventando un tutt’unico e uscendo dall’ambivalenza che lo generava, arrivando così anche a veder venire meno l’esigenza di avere altre vite e altre incarnazioni.

Il processo di transizione che ho appena descritto può essere facilitato dalla consapevolezza delle proprie responsabilità, anche se tale consapevolezza può non arrivare alla mente dell’individuo incarnato e, comunque, risulta sempre essere mediata dal sentire raggiunto dall’individuo, quindi può essere limitata, parziale, frammentata e non sempre completamente messa in atto perché lo scontro tra egoismo e altruismo (che rende dinamica l’interazione dell’individuo con le esperienze che va ad affrontare) è continuo ed è fatto di sconfitte e di vittorie, anche se le sconfitte non sono mai definitive.

L’attribuire agli altri o all’esterno di le responsabilità per giustificare se stessi fa parte di queste battaglie ed è una di quelle battaglie che Jekyll fatica a vincere perché, per ottenere la vittoria, deve essere riuscito nel frattempo a costruirsi una coscienza ben strutturata.

La consapevolezza più utile che l’incarnato dovrebbe avere è quella di non essere mai totalmente impotente nei confronti delle proprie pulsioni ma di avere la possibilità, sempre e comunque, di poter intervenire su se stesso per cambiare dapprima le sue reazioni e, infine, rendere tali reazioni spontane e pressoché automatiche in quanto acquisite e sorrette dal suo vero sentire. Rodolfo
Continua nella pagina seguente…

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