L’ira e i suoi figli: rancore, rivalsa, vendetta

Gran brutta bestia l’ira!
Ottenebra il ragionamento, provoca azioni impulsive, fa scordare la Verità che sembrava acquisita, demolisce le buone parole ed i buoni propositi, provoca un regresso apparente dell’individuo. Ogni uomo è facile preda dell’ira, di questa belva collerica e scattante.
Eppure varrebbe la pena di esaminare con un po’ di attenzione questa qualità che è patrimonio comune dell’umanità intera, tanto che non è mai esistito sulla terra un uomo che, almeno una volta nella sua vita, non abbia avuto anche un solo, piccolissimo e, magari subito represso, scatto d’ira.
Se a qualcuno di voi, io chiedessi perché ad un certo momento è scattata in lui l’ira, con massima probabilità mi sentirei rispondere che la sua ira è stata solo una reazione personale all’azione di un’altra persona, oppure di un fatto che gli è capitato. Giusto, giustissimo, anzi, perché l’ira è veramente una reazione dell’individuo a qualche cosa, non posso fare altro che approvare; tuttavia, questa risposta, non solo non spiega nulla, ma è anche evasiva e non giunge in profondità.
Prendiamo il classico esempio dell’individuo che, nel battere col martello per piantare un chiodo sbaglia mira e batte, invece, sul proprio dito; qual è la reazione che si ottiene?
A livello fisiologico la reazione è uguale per tutti: il dito duole. Ma, a livello comportamentale, la reazione può essere diversa da individuo a individuo: il mangiapreti scaglia nell’etere una bestemmia ben calibrata, il religioso bene educato si limita ad un ‘accidenti’ di cui si sa il mittente ma non si conosce il destinatario, il collerico passionale scaglia il martello e così via; ma nessuno riesce a fare finta di niente.
Da tutte queste azioni così varie si nota che, anche se il fattore che dà il via alla reazione è sempre lo stesso, la direzione in cui è orientata l’ira può essere diversa: la colpa dell’accaduto viene attribuita ora a Dio, ora ad una entità anonima, ora al martello picchiatore. Ma, in realtà, è così? Se osserviamo attentamente il comportamento dell’iroso, ci accorgiamo che la sua reazione non è una semplice reazione istintiva, ma è una reazione di difesa del suo amor proprio, è un rivolgere la propria ira all’esterno di se stessi per non voler ammettere le proprie colpe.
Nel caso particolare che abbiamo esaminato, la reazione maschera la stupidità, la disattenzione o l’imperizia di chi ha maneggiato il martello, fattori che implicano un giudizio negativo di se stessi, giudizio negativo che, poiché l’Io rifugge dal biasimo in quanto offuscherebbe la sua vanità, viene per rivalsa attribuito a qualcosa di esterno.
State attenti, non dico che non dobbiate sfogare in qualche modo la vostra ira, la vostra tensione, ma abituatevi a cercare di capire perché lo sfogo è avvenuto in quel modo e, prima o poi, vedrete che lo sfogo non sarà più necessario. L’ira, quando è semplice sfogo momentaneo, non arreca gravi danni poiché, passato il momento della reazione, il comportamento ritorna alla normalità. Può, invece, arrecare gravi danni quando il suo effetto si protrae in modo subdolo, generando quei figli degeneri che si chiamano rancore, rivalsa, vendetta.
In essi sta il pericolo, poiché sono essi che impediscono all’individuo di ricordare la fratellanza con gli altri uomini, che inducono ad interrompere l’aiuto che l’individuo deve dare agli altri, che allargano i solchi che le azioni umane tendono a tracciare tra un uomo ed un altro, isolandolo all’interno del proprio egoismo.
L’ira uccide, ma non uccide l’oggetto a cui è rivolta, bensì uccide, avvelenandolo lentamente, l’intimo dell’iroso, togliendogli quei sentimenti di amicizia, fratellanza, carità ed umiltà che fino a quel momento lo avevano reso vivo. Moti


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