Carattere/personalità 4: la neutralità del carattere [A13]

D – Scifo, nel corso della vita, nell’arco della vita, fra la giovinezza e la vecchiaia, si può immaginare che nella giovinezza la spinta del carattere sia più forte e man mano, andando avanti, la personalità prenda invece un po’ di più il sopravvento?

Direi di no perché l’individuo in realtà – questo è bene che lo ricordiate – non vive la sua vita con il carattere, vive la sua vita con la personalità. Il carattere resta sempre in sottofondo, come qualcosa che costituisce il canovaccio su cui l’individuo costruisce la propria vita; però il modo in cui questo canovaccio viene adoperato all’interno della vita è quello tipico della personalità dell’individuo.

D – Però certe cristallizzazioni si formano più col passare del tempo.

Ma le cristallizzazioni sono tipiche della personalità, dell’Io, non del carattere!

[…] Una cristallizzazione avviene quando? Quando non c’è una comprensione. L’individuo continua a non voler comprendere, continua a rifiutarsi di vedere la verità – cosa che fate tutti i giorni! – e a lungo andare questa diventa una cosa patologica, diventa un circolo chiuso di energie che girano all’interno dell’individuo e si ha la cristallizzazione, per cui questa possibilità di comprensione che l’individuo non vuole riconoscere continua a girare su se stessa creando un vortice fastidioso che disturba tutta la personalità e anche tutta la fisicità, a volte, dell’individuo.

Questo, però, riguarda sempre la personalità e la fisicità dell’individuo. Per quello che riguarda la cristallizzazione, questa cristallizzazione abbiamo detto è legata al tentativo di non vedere una propria verità (mettiamola così, in modo semplicistico) ma scoprire la verità risale a che cosa? Alla comprensione del corpo akasico. Quindi significa che il corpo akasico continua a rimandare questa comprensione perché arrivi all’individuo e si modifichi di conseguenza; l’Io rifiuta di vederlo e si crea la cristallizzazione.

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Intanto, l’Io cosa fa? Continua, fin dalla nascita dell’individuo, a tenere attivi i vari elementi genetici che costituiscono il carattere dell’individuo. Qua il carattere dell’individuo è quiescente o attivo, o lavora, o si dà da fare all’interno dell’individuo per tutta la sua vita, però l’influenza con il corpo akasico non va più in là; il corpo akasico semplicemente tiene attivi quei geni che vengono resi attivi per poter permettere all’individuo di avere quel tipo di carattere.

D – Ma prendiamo il caso di L., perché era un esempio semplice. Se lui non avesse in qualche modo compreso ciò che doveva comprendere dal calcio e non si fosse quietato, quindi, come conseguenza, per certi versi l’altra strada sarebbe stata che in questo momento e andando avanti sarebbe potuto diventare un patito, un maniaco che vede solo calcio senza riuscire poi in realtà a placarsi, avendo un bisogno quasi da drogato di calcio …

Certo, però c’è una differenza essenziale con la cristallizzazione, perché la cristallizzazione «impedisce» di fare qualche cosa; invece, nel caso di L., non gli impedisce di giocare a pallone. Lui ha sempre questa possibilità, la può mettere in atto a sua discrezione, a suo piacere; mentre invece con la cristallizzazione non riesce a mettere in atto niente, perché gli blocca non soltanto quel tipo di funzione ma finisce coll’influire, con le sue vibrazioni, anche sugli altri elementi che compongono il suo corpo fisico, il suo corpo astrale e il suo corpo mentale, creandogli dei problemi generali.

La differenza principale sta proprio in quello che dicevo prima, ovvero: per quello che riguarda la cristallizzazione, il corpo della coscienza continua a inviare questa comprensione, continua a operare perché questa comprensione finalmente rompa la cristallizzazione e arrivi alla consapevolezza dell’individuo; per quello che riguarda il carattere, invece, il sentire non fa altro che tenere attivi quei determinati geni, punto e basta.

D – Si potrebbe dire allora, che il fantasma o la cristallizzazione si forma perché la personalità non è al servizio del carattere?

No, anzi, direi al contrario. Sì, direi al contrario. La personalità è proprio al servizio del carattere che, a sua volta, è uno strumento del corpo akasico, poi, alla fin fine.

D – Spesso capita di osservare, nelle persone molto anziane, che ci siano come delle fissità, per cui emergono lati di quello che noi chiamiamo carattere – ma a quel punto è personalità – più particolari, balzano all’occhio, sono meno sfumati, sono più intensi, e da quello che dicevi prima sembrava che in realtà, con l’andare avanti, la personalità si modellasse meglio.

Ma io penserei quasi l’opposto, tutto sommato. Secondo me, specialmente quando si va avanti con l’età, è molto più facile che sia il carattere a prendere il sopravvento. Se voi osservaste una persona molto anziana potreste notare come certi elementi del suo carattere, tipo la furbizia, o la golosità, escono molto meno mascherati di come uscivano prima, quando la sua personalità era integra. Si manifesta, quindi, di più il carattere, la base caratteriale.

Diciamo che, tutto sommato, c’è molta minor influenza degli archetipi e dell’ambiente, mentre il carattere puro esce fuori appunto in quei momenti in cui manifesta determinate particolarità tipiche: la furbizia, o la golosità – come dicevo – o la permalosità, o l’aggressività. Voi sapete quante persone anziane a volte diventano aggressive, no?

D – Quindi una persona che è in una condizione alterata con l’alcol o qualche altra sostanza, manifesta quindi il carattere?

No, continua a manifestare la personalità.

D – Ma nella stessa condizione dell’anziano, che perde il controllo?

No, è ben diversa, perché la persona in quel caso ha ancora tutto il suo carattere interagente, tutte le possibilità interagenti per comprendere, mentre la persona anziana, magari a una certa età, non ha più certe possibilità di comprendere.

D – Ma anche sotto l’effetto dell’alcol?

Anche sotto l’effetto dell’alcol, certo. Anche perché uno difficilmente resta 24 ore al giorno sotto l’effetto dell’alcol!

D – No no, ma io dicevo in quel momento lì, cioè se uno volesse far emergere questi aspetti del carattere che in qualche modo vengono sopiti da una serie di sovrastrutture, archetipi transitori e via dicendo.

Diciamo che, senza dubbio, alcol e sostanze stupefacenti particolari possono influire sulla percezione degli archetipi a cui si è collegati, questo sì; e quindi lasciar uscire come fossero il dottor Jeckyll e Mr. Hyde la parte più interiore, più caratteriale dell’individuo. Se voi pensare al dottore Jeckyll e Mr. Hyde potrebbe essere una fabulazione tra personalità e carattere; secondo voi qual è il carattere: Hyde o Jeckyll?

Il carattere non è né negativo né positivo; diventa positivo o negativo allorché viene interpretato dalla personalità all’interno del piano fisico. Allora, a quel punto, prende le connotazioni che gli archetipi a cui è collegato riferiscono a quel tipo di comportamento, che non è detto che poi siano giuste, ovviamente.

Il carattere si manifesta nella personalità dell’individuo. È in quel momento, quando si manifesta come personalità, che diviene positivo o negativo, a seconda della connotazione che l’archetipo di riferimento dà a quel comportamento; mentre il carattere in se stesso, la spinta del carattere in se stessa non è né positiva né negativa, è semplicemente una spinta.

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2 commenti su “Carattere/personalità 4: la neutralità del carattere [A13]”

  1. Grazie. Riscontro, per esperienza personale, quanto viene detto riguardo al carattere e alla personalità nelle persone anziane.

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