Carattere/personalità 3: rendere utile il carattere [A12]

D – Se per esempio uno nel suo carattere ha un senso dell’orgoglio, oppure della vendetta, del rancore, queste cose qui, e molti dicono che ha un brutto carattere, può modificarsi o rimane sempre così?

Ma, vedi, anche in questo caso, quelli che tu hai citato sono più elementi di personalità che di carattere; allora forse qua non sono stato bravo a spiegarmi io.
Dovete considerare il carattere come qualche cosa che vi dà le spinte a fare le esperienze; quindi qualche cosa che, in se stesso, non è né negativo né positivo, non ha una connotazione particolare; è semplicemente una spinta che indica una via, in quale direzione muovervi per fare esperienze.

Come poi voi vivete, interpretate l’esperienza all’interno del piano fisico, tutto questo non è più «carattere», ma è «personalità». Quindi il rancore tra fratelli, il padre che ce l’ha col figlio, sono tutte questioni di personalità e non di carattere.

D – Si potrebbe dire che il carattere prende le mosse dall’istinto, praticamente; cioè non è più istinto ma diventa carattere; quello che dà la spinta all’individuo a muoversi, a fare determinate azioni.

Mah, diciamo che ci può essere una certa somiglianza tra il concetto di carattere e di istinto; la differenza è che l’istinto non viene dalla catena genetica; l’istinto è qualche cosa che riguarda di più le esperienze fatte nel corso delle vite extraumane, principalmente; e che, essendo ormai stabilizzate all’interno della coscienza dell’individuo, costituiscono una base per portare poi alla costituzione del carattere. Ecco, se interpretiamo l’istinto come una prima forma rudimentale di carattere, posso essere d’accordo con te.

D – Cosa succede quando il tuo carattere ti dice di fare una certa cosa mentre l’archetipo transitorio – cioè lo schema della società in cui vivi – dice di non farla, o di farne una diversa? La personalità come reagisce di fronte a spinte contrapposte?

Lì dipende dal tipo di spinta e quali sono gli elementi del carattere, perché non potete pensare che il carattere abbia un elemento, gli elementi sono tanti e interagiscono tra di loro, al punto tale che l’individuo, con lo stesso elemento-base caratteriale poi ha invece un carattere completamente diverso da un altro.
Allora dipende dall’insieme di queste caratteristiche del carattere dell’individuo e dall’archetipo transitorio che l’individuo sta seguendo in quel determinato momento. Ci sarà l’individuo che si ribella all’archetipo, ci sarà l’individuo che invece seguirà ciecamente quello che il carattere lo spingerebbe a fare, ci sarà l’individuo che cercherà di mediare tra le due spinte. Questa è una risposta sempre individuale, non è mai univoca, e d’altra parte non può che essere così perché il bisogno di esperienza è sempre individuale, è diverso per ognuno di noi.

D – Però potremmo dire che la cosa giusta sarebbe cercare di far prevalere il proprio carattere rispetto a un archetipo transitorio…

Ecco, questo è un altro aspetto forse interessante da chiarire un attimo. Quale sarebbe il comportamento migliore per rendere utile il carattere? Bene; la cosa migliore da fare per rendere utile il carattere è di far sì che quell’elemento (e parliamo di un elemento solo, anche se la cosa è più complessa, ovviamente) particolare del carattere diventi inattivo; perché se diventa inattivo significa che si ha compreso.
Quindi, il modo giusto per comportarsi nei confronti del carattere sarebbe quello di fare le esperienze in modo tale che il corpo akasico comprenda e renda quindi non più urgente, non più pressante, la spinta di quel determinato gene che influenzerebbe il vostro comportamento, quindi anche la vostra personalità.

[…] Poi, un’altra maniera per cercare di comprendere il proprio carattere sarebbe riuscire a chiedersi, a guardarsi negli occhi e dire: «Cos’è che io interiormente voglio davvero?». Lì, a quel punto, avete la possibilità di arrivare a comprendere qual è il vostro carattere. Comprendendo qual è il vostro carattere, saprete quali possono essere i vostri limiti.

Ricordate quante volte abbiamo detto che è importante scoprire e riconoscere i propri limiti? Ecco, il vostro carattere, alla fin fine, se ci pensate bene, cos’è? È un limite, un condizionamento. Allora voi, riuscendo a fare quel lavoro, riuscireste a eliminare, a bypassare, a rendere inoffensivi quei limiti o quei condizionamenti che vi condizionano in una certa direzione, riuscendo invece a vivere la vostra vita, la vostra esperienza in maniera più libera. E qua ritorniamo all’osservazione, al «conosci te stesso»…

D – Quando in psicologia parlano di disturbo di personalità o disturbo caratteriale…

Dicono una sciocchezza! Ma, sai, in psicologia ne dicono tante sciocchezze; anche perché bisogna considerare una cosa: ci sarebbe molto da dire in ambito psicologico per quello che riguarda l’interiorità dell’individuo, però si tratta di dire sfumature – prima di tutto – e bisogna anche pensare che ogni individuo è diverso anche dall’altro, quindi è difficile poter fare veramente una teoria psicologica per quello che riguarda l’interiorità che sia generalizzabile a tutto l’essere umano.

Ora, le persone che si occupano di psicologia, secondo gli archetipi moderni stanno diventando veramente tante, tutte vogliono dire qualche cosa, tutte principalmente cercano di sbarcare il lunario, più che altro, e allora cosa succede? Succede che, per emergere dalla massa, avere una certa clientela o fare qualche cosa di diverso, attrarre le persone, incominciano ad andare un po’ fuori dal seminato e inventarsi le cose più strane di questo mondo pur di sembrare degli innovatori. Stiamo attenti a queste cose; in realtà (voi dovreste saperlo, perché ve lo abbiamo ripetuto per anni) l’unico insegnamento innovativo in ambito interiore è quello di conoscere se stessi.

Tutto il resto può essere poi, alla fin fine una schematizzazione, può essere utile in determinati casi, può servire a certe persone, ma in realtà poi non è generalizzabile e ogni psicologo dovrebbe sempre tener presente che quello che sa della persona che gli sta davanti è sempre una piccolissima parte di come quella persona è veramente e, quindi, stare attento ai giudizi che emette; invece questa umiltà manca molto.

Con questo, non posso negare che – in particolare da quando il nostro amico Freud ha incominciato a parlare in maniera un po’ più articolata, un po’ più aperta (con tutti i suoi errori possibili e immaginabili) di alcuni di questi argomenti, la psicologia, la psicologia introiettiva, la psicanalisi, e tutti i vari rami che poi si sono dipartiti nella conoscenza dell’essere umano, servono e sono serviti all’individuo per porre l’attenzione un po’ più a se stesso e un po’ meno all’esterno. Fino a una certa generazione; la generazione di adesso sta tornando leggermente indietro ma, maturando, ritornerà a guardare se stessa.

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