Conoscere non è comprendere: il limite del desiderio (IF28)

Insegnamento filosofico 28
Da quanto fin qui appreso, risulta evidente che ai fini dell’evoluzione la conoscenza ha in fondo soltanto un’importanza relativa.
Se voi pensate bene, questo concetto dovrebbe rivoluzionare tutto il vostro modo di vivere e di concepire l’esistenza e la stessa società in cui vivete e nella quale chi più conosce più viene ritenuto, solitamente, grande e di conseguenza molto evoluto.
In realtà la conoscenza è semplicemente un mezzo che può tornare utile, come è stato detto prima, a conseguire evoluzione, ma non è stato strettamente necessario a questo conseguimento.

Per conseguire evoluzione è invece strettamente necessario andare al di là di quella che è la semplice conoscenza delle cose ed arrivare alla comprensione.

Se voi pensate a tutti questi anni in cui vi siamo venuti a parlare, abbiamo sempre fatto una distinzione ben precisa tra conoscenza e comprensione, ed il motivo è proprio questo, in quanto conoscere non basta: la realtà bisogna comprenderla.
Questo va applicato non soltanto alla conoscenza mentale che voi potete raggiungere, conseguire nel corso della vita fisica o in ogni intervallo tra una vita e l’altra, ma specialmente per quello che riguarda la conoscenza di voi stessi, del vostro intimo.
Il conoscere se stessi, infatti, ha un più ampio significato se alla parola conoscere si sostituisce la parola comprendere così come noi la usiamo; non basta, infatti, conoscere il proprio egoismo, ma è necessario – strettamente necessario per arrivare a muoversi verso l’allacciamento con la propria coscienza – comprenderlo, comprendere ciò che lo muove, ciò che lo induce ad essere sempre più tenace, sempre più forte, sempre più combattivo.
Non basta, quindi, per conseguire evoluzione, riconoscere di essere egoisti, ma bisogna appunto, fratelli miei, comprendere il perché si è egoisti e cos’è che muove l’egoismo di ognuno di voi. Andrea

Se il fine ultimo dell’incarnarmi in continuazione, del mio evolvermi quindi, è quello di raggiungere l’ampliamento della coscienza che mi permetta di identificarmi col Tutto, com’è possibile che io riesca a rendere operante questo ampliamento di coscienza?
Se conoscere ciò che io sono non può bastare, cosa devo fare io per riuscire a ricongiungermi, attraverso l’evoluzione, con il Tutto?
In fondo sforzarmi non serve nulla, perché non si può veramente forzare uno stato di coscienza, ma lo stato di coscienza deve essere superato spontaneamente, senza sforzi.
Non basta neppure osservare me stesso nel corso della mia vita perché la semplice osservazione non è sufficiente per travalicare i confini del mio attuale sentire; non basta neppure conoscere la meta che devo raggiungere e volerla raggiungere, volerla fortemente raggiungere a tutti i costi, perché il solo fatto di voler raggiungere qualche cosa fa sì che non si possa ottenere la condizione giusta di equilibrio che permetta di raggiungerla.
Infatti dice il saggio dell’antichità:

“Figlio mio, se tu vuoi arrivare alla condizione ideale che ti permetta di superare il tuo egoismo, se tu vuoi arrivare a quella condizione che ti fa sentire parte del Tutto, e arrivare infine a farti sentire il Tutto stesso, devi riuscire a vivere la tua vita tra gli uomini, ma senza più essere mosso dal desiderio.
Devi vivere la tua vita spontaneamente, semplicemente facendo ciò che senti di fare non perché speri in quel modo di raggiungere la meta agognata, ma semplicemente perché l’agire in quel modo ti è naturale e spontaneo e non provoca nessuno sforzo, nessuna tensione in te”.

Questa è l’assenza di desiderio che viene tramandata dalle dottrine orientali e che, così spesso, viene mal compresa e mal accettata: assenza di desiderio non significa ritirarsi del tutto dal mondo, rinunciare, non possedere, non avere nulla, ma significa ad esempio avere del denaro senza farsi governare dal denaro, possedere la conoscenza ma far sì che la conoscenza non serva per prevaricare gli altri.
Assenza di desiderio, figli e fratelli, significa dunque riuscire a vivere la propria vita spontaneamente. Ananda


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10 commenti su “Conoscere non è comprendere: il limite del desiderio (IF28)”

  1. “..ma semplicemente perché l’agire in quel modo ti è naturale e spontaneo e non provoca nessuno sforzo, nessuna tensione in te”.
    Si, ma quando è naturale e spontaneo?
    Il ladro vede che tutti potenzialmente vogliono derubarlo e rubare è naturale e spontaneo prima che gli altri rubino lui..
    E questo finché non avrà una comprensione tale che gli faccia sentire la tensione dell’azione del rubare non più sostenibile.
    Non ho alcuna possibilità, nonostante il mio indagare sulla natura del desiderio, se non quella di trarre dati attraverso l’esperienza.
    Viceversa rimane un bel castello dove tutto combacia perfettamente e che poi crolla tutto d’un botto quando meno ce lo si aspetta.

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    • La chiave del discorso di Ananda è quel “senza più essere mosso dal desiderio”: allora l’agire, senza la spinta del desiderio, diviene naturale e spontaneo, senza sforzo.
      Il superamento del desiderio non può che avvenire attraverso il comprendere, dunque lo sperimentare.

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  2. Si, in questo agire neutrale, scompare anche quella sensazione di fallimento derivante da una non realizzazione di quell’evento per cui si è lavorato.
    Quello che volevo dire nella prima risposta è che vale la pena tentare un piccolo passo, piccolo, non che si debba realizzare per come lo si è prefigurato, ma non rimanere allo stesso tempo bloccati da una identificazione con una propria immagine.
    Evitare quella censura preventiva e vedere come ci si sente in quei nuovi panni che per un attimo si è indossati.
    Grazie per la spiegazione.

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  3. È proprio una bella sensazione il non cercare di avanzare nella propria evoluzione…il non pretendere ti toglie tensione…il grande peso della responsabilità
    Non affannarsi nel guadagnare ti lascia libero di sperimentare la gratuità della vita
    Libero da barriere e gabbie per la tua mente
    Ora quello che sento è profumo di libertà.

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  4. Mi sembra che l assenza di desiderio sia legata in qualche modo alla mancanza di aspettativa. Se non ho desideri, non mi aspetto che le cose vadano in un modo piuttosto che in un altro. Mi affido semplicemente alla vita e accetto allo stesso modo ciò che mi presenta. Viceversa, ogni volta che un qualsiasi evento ci crea disagio, è un ottima cartina di tornasole che rivela come siano tutt’altro che assenti desiderio e aspettativa. Non resta allora che prenderne atto e accettare il limite. Non credo che ripromettersi di fare meglio in questo caso serva. Se c’è desiderio, e quindi aspettativa, ci sono delle comprensioni che mancano alla base e, come sappiamo, bisogna passare per l esperienza. Non bastano i buoni propositi. Mi sbaglio?

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  5. Bisogna lavorare tutta una vita sulle aspettative, spesso derivanti dai bisogni più che dal desiderio. Il desiderio non lo vedo necessariamente con una accezione negativa , il desiderio può essere sorretto anche da uno slancio creativo e può rientrare in un tragitto evolutivo. Grazie

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  6. “…non basta neppure conoscere la meta che devo raggiungere e volerla raggiungere, volerla fortemente raggiungere a tutti i costi, perché il solo fatto di voler raggiungere qualche cosa fa sì che non si possa ottenere la condizione giusta di equilibrio che permetta di raggiungerla.” Ora capisco tante cose.

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  7. “Assenza di desiderio, figli e fratelli, significa dunque riuscire a vivere la propria vita spontaneamente.”
    Mi permetto di aggiungere di prestare attenzione a non fare della spontaneità il proprio desiderio.

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  8. Mi viene da dire, vivere la vita assecondando i propri desideri, senza però venirne schiavi e quindi assecondarli nel limite del possibile e del consentito. Senza pretesa di esaustivita’ ovviamente vista la vastità del tema.

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  9. “Figlio mio, se tu vuoi arrivare alla condizione ideale che ti permetta di superare il tuo egoismo, se tu vuoi arrivare a quella condizione che ti fa sentire parte del Tutto, e arrivare infine a farti sentire il Tutto stesso, devi riuscire a vivere la tua vita tra gli uomini, ma senza più essere mosso dal desiderio.
    Devi vivere la tua vita spontaneamente, semplicemente facendo ciò che senti di fare non perché speri in quel modo di raggiungere la meta agognata, ma semplicemente perché l’agire in quel modo ti è naturale e spontaneo e non provoca nessuno sforzo, nessuna tensione in te”.
    Queste parole mi suscitano dei dubbi.
    L’agire spontaneo non è il frutto delle comprensioni, che mano a mano portano alla morte dei desideri e le comprensioni, a loro volta, il frutto delle esperienze che spesso sono mosse dai desideri? Se io oggi decidessi di fare la prova di vivere sempre spontaneamente, probabilmente non ci riuscirei, o perlomeno ci riuscirei limitatamente e senza decisione alcuna perché la spontaneità stessa è qualche cosa che presuppone una maturazione interiore e pertanto non si può comandare, ma arriva quando il nostro sentire è maturo.
    Al momento quello che posso concepire e la disconnessione dal desiderio, il desiderio parte meccanicamente, lo guardo (quando c’è già un processo di comprensione in atto) e vedo che è illusione, ma a volte può essere importante seguirlo proprio per avere quelle esperienze che mi porteranno a vederne l’illusorietà.

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