Favola: la consapevolezza del valore di ciò che si possiede

Il principe Shirab attraversava la sua città tra un’ala di popolino festante: gli uomini piegavano il ginocchio al suo passare, le donne restavano per un momento incantate dalla sua bellezza, quindi arrossivano e abbassavano il capo pudicamente; i bambini cercavano di toccare con le mani le stoffe pregiate che l’avvolgevano, emettendo meravigliati sospiri nel sentire la morbidezza del lino o della seta e nello scorgere la delicatezza dei ricami.
Soddisfatto per l’ammirazione che destava, il principe Shirab sorrideva a tutti, gettava qualche moneta con noncuranza ai bisognosi, rispondeva alle domande che qualche studioso tra la folla gli poneva, senza avere mai incertezze, lanciava sguardi profondi alle fanciulle più belle che scorgeva, tramutando il loro pallore in rossore e poi ancora in pallore, come se nei suoi occhi esse leggessero promesse ardite e parole d’amore.
Si fermò infine sulla più bella piazza della città, meraviglia degli stranieri, ai piedi di un’ardita fontana gorgogliante.
Intorno a lui la folla taceva riverente, ascoltando la discussione filosofica che egli stava conducendo.
Poco più in là un mendicante, seduto sul bordo della fontana, gli dava le spalle, indifferente, pescando con le dita magre e sudicie in una ciotola piena di una poltiglia nauseabonda che, evidentemente, costituiva il suo pasto.
Sorpreso per la mancanza di riverenza mostrata dal mendicante, ma nel contempo ben disposto dall’aria tiepida, dalla folla ammirata e dalla sua benevolenza, alzò la voce affinché il poveretto potesse accorgersi del suo errore e tributargli gli onori che gli spettavano.
«Voi sapete – disse alla folla silenziosa – che io sono il signore di questo paese e che la mia famiglia lo governa fin dalla notte dei tempi».
Il mendicante continuò imperterrito a masticare il cibo.
«Le mie ricchezze sono così immense che persino i gabinetti del mio palazzo sono intarsiati di pietre preziose».
Il mendicante si infilò il mignolo in un orecchio e se lo grattò a lungo.
«La mia bellezza e la mia forza – continuò Shirab stizzito – sono tali che non ho bisogno di combattere guerre: le regine degli altri paesi sono ormai felici nel mio harem e i re sono tutti miei vassalli, cosicché tutto ciò che arriva fin dove giunge l’occhio di un falco dei cieli, già mi appartiene».
Il mendicante riprese a mangiare, mentre Shirab continuava sempre più adirato:
«Non c’è cosa che io non sappia: ho studiato le scienze e le arti con i più grandi maestri del nord, del sud, dell’est e dell’ovest».
Nel silenzio che seguì il suo parlare si udì, chiaro, uno schioccare di labbra e il mendicante, posata la ciotola vuota, prese a stuzzicarsi i denti con l’unghia di un dito.
«Per tutti gli dei, uomo, questo è troppo!» esclamò Shirab e, avvicinatosi a lui a grandi passi, lo prese per le spalle e lo costrinse a girarsi.
«Straccione – gli urlò – come osi insultarmi così?».
«Non avevo nessuna intenzione di insultarti, mio signore» rispose il mendicante senza mostrare timore.
«Ma non hai paura di me, uomo?».
«Se davvero siete giusto come dicono, come potrei temervi?».
«Forse che non dovrei ritenermi insultato dal tuo comportamento?» chiese Shirab perplesso.
«Mio signore, giudicate voi stesso: se foste stato al posto del mio stomaco a chi avreste dedicato più attenzione dopo due giorni di digiuno? Ai discorsi orgogliosi di chi non ha mai sofferto, fin dalla nascita, alcuna privazione o a questa tazza di cibo?».
Shirab rimase interdetto per alcuni momenti, poi si allontanò senza rispondere verso la sua dimora.
Passarono solo alcune ore prima che una carrozza uscisse dal castello portando cibo raffinato, abiti preziosi e denaro sonante al mendicante, assieme alla preghiera di recarsi a vivere nel castello in modo da ricordare al principe quanto valevano, in realtà, le cose di cui andava tanto orgoglioso.


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4 commenti su “Favola: la consapevolezza del valore di ciò che si possiede”

  1. Già, ha ragione Nadia, persona davvero evoluta il principe! Ma allo stesso modo evoluto il mendicante che è un uomo libero dal potere, dall’asservimento, dalla paura e sa accettare sia il digiuno sia l’occasione di mangiare.

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