Intelligenza: trarre elementi utili per comprendere [IF56-5focus]

Definire cosa sia l’intelligenza è sempre stato alquanto ostico per tutti coloro che, nei millenni, si sono provati a farlo. Nella maggioranza dei casi essa ha finito con l’essere definita rapportandola a particolari qualità dell’individuo, rendendo quindi la definizione, già di per , soggettiva e relativa al punto di vista di chi ha tentato di definirla.

Ancora oggi non vi è una definizione unanime: chi la definisce come capacità di risolvere problemi, chi la teorizza come capacità di adattarsi alle situazioni nuove, chi la divide in settori cercando di isolarne i vari fattori, arrivando, così, a parlare di intelligenza motoria o verbale o attitudinale… e via dicendo.

In tutti i casi, però, la conseguenza sembra essere stata quasi sempre questa: l’intelligenza dell’individuo è stata vista, nei secoli, come qualcosa di strettamente legato a ciò che egli esplica sul piano fisico, nel suo rapportarsi quotidiano con ciò che la vita di ogni giorno, di volta in volta, gli presenta.

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Io ritengo che tutti questi criteri (anche se utili per cercare di quantizzare qualche aspetto particolare dell’individuo) hanno il difetto di cercare di voler dimostrare qualche cosa senza avere una vera idea di partenza di che cosa sia, realmente, ciò che si desidera misurare, ed hanno nella loro relatività i limiti stessi della loro capacità di definire univocamente cosa sia l’intelligenza.

Facciamo alcuni esempi per cercare di chiarire cosa intendo dire.
Se l’intelligenza potesse essere definita, come sostengono alcuni, come la “capacità di risolvere problemi” questo dovrebbe significare, per assurdo, che un bravo falegname è senza ombra di dubbio più intelligente che so io, di un Einstein per il quale piantare nel modo giusto un chiodo era qualcosa che andava al di là delle sue possibilità manuali (o, forse, del suo interesse).

Se l’intelligenza potesse essere definita come “capacità di adattarsi alle situazioni nuove”, invece, la maggioranza di voi potrebbe essere facilmente etichettata come “idiota” dal momento che non riuscirebbe a fare ciò che riesce a fare, egregiamente e senza grosse difficoltà, una qualunque scimmia nelle foreste indiane, cioè sopravvivere.

Se vogliamo, perciò, trovare una definizione di intelligenza che sia adattabile ad ogni creatura, bisogna trovare un metro uniforme, che valga per chiunque e in qualunque condizione quotidiana egli possa trovarsi… e non vi può essere che un elemento che soddisfi pienamente queste condizioni a cui poter fare riferimento: l’evoluzione.

Tenendo, quindi, come punto di partenza l’evoluzione, secondo me si potrebbe definire l’intelligenza come la capacità di trarre elementi utili per la propria comprensione (e quindi per la propria evoluzione) riuscendo a non farsi fuorviare da ciò che si sta vivendo.

Non ha più alcun senso, usando quest’ottica, parlare di persone più intelligenti o meno intelligenti: ha maggiore intelligenza chi ha compreso più elementi della Verità e più facilmente riesce ad attenersi ad essa, e questo accade come semplice conseguenza derivante dal fatto di aver più elementi compresi e quindi maggiore possibilità di intrecci e di connessioni tra di essi.

Questo non significa che chi è più intelligente sia più bravo, oppure che sia migliore, né, tanto meno, che di fronte a un’avversità non soffra.
Significa solamente che, con tutta probabilità, la sua sofferenza sarà limitata, nel tempo e nell’intensità, dalla comprensione della Verità.

Significa che cercherà non di prevaricare chi appare meno intelligente di lui ma di apprendere da costui quelle sfumature che egli stesso, magari non ha ancora appreso.
Significa essere consapevoli di aver imparato molto ma, anche, di aver ancora molto da imparare, con l’enorme senso di umiltà che, inevitabilmente, ciò porta con sé.

Voi, da bravi scolari che hanno assimilato l’insegnamento rileverete che avevamo detto che nessuno, quando è incarnato, esprime realmente, fino in fondo, l’evoluzione che possiede, essendo soggetto alle limitazioni espressive dei corpi transitori che di volta in volta possiede e che, essendo mirati a conseguire essenzialmente, nel corso di quella vita, solo definite porzioni di comprensione, non sono strutturati in maniera tale che le comprensioni accantonate nel corpo akasico (e quindi l’evoluzione raggiunta) possa fluire in maniera soddisfacente e manifestarsi nell’individuo nel corso della sua esperienza sul piano fisico.

Questo non invalida il rapporto che abbiamo cercato di definire tra evoluzione e intelligenza dell’individuo, ma pone semplicemente dei limiti alla sua espressione, portando con sé l’ovvia conseguenza che, comunque, dal comportamento che tiene l’individuo nel corso della sua vita non è possibile (specialmente osservandolo dall’esterno) risalire alla sua intelligenza reale, né, tanto meno, arrivare a quantificare l’evoluzione che gli possiede.

Lasciando l’Assoluto fuori concorso perché con Lui, com’è ovvio, non esiste possibilità alcuna di gareggiare, volete sapere chi, secondo me, è l’individuo più intelligente di chiunque altro? È quell’individuo che è capace di seguire in maniera spontanea il Grande Disegno, sorretto dalla consapevolezza che ciò che accade, accade perché è necessario che accada e che, comunque, niente di meglio per sé potrebbe mai auspicare che accadesse.

“Comportamento passivo alla orientale” sentenzierete voi, ma non vi è nulla di passivo in quanto ho affermato: non ho detto che il Grande Disegno va subito passivamente, anzi, l’intelligenza viene messa in atto e dimostrata nel momento stesso in cui l’individuo riesce a seguire (oppure, al limite, cerca di opporsi a esso) andando contro ciò che il suo Io transitorio gli detterebbe di fare e riesce a rendere utile per una sua ulteriore crescita proprio la constatazione della differenza tra ciò che il suo Io vorrebbe che fosse e ciò che, invece, nella realtà quotidiana dei fatti, è.

L’intelligenza, quindi, fratelli miei, non è un attributo del corpo fisico, né del cervello, né del corpo mentale.
È, invece, un attributo dell’intero individuo con tutti i suoi corpi e nasce e si struttura – parallelamente a quanto accade per la comprensione – proprio a seguito di come egli riesce a usare nella maniera migliore tutti quei corpi, tutti quegli strumenti che gli sono stati forniti per aiutarlo ad avvicinarsi, passo dopo passo, alla Verità. Andrea

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5 commenti su “Intelligenza: trarre elementi utili per comprendere [IF56-5focus]”

  1. Tradurrei la questione dell’intelligenza” in quella del “discernimento”: il saper comprendere le scene esistenziali che mi presentano, coglierne il contenuto, scegliere, esercitare la volontà.

    “Intelligenza” e “discernimento” tanto più sono a disposizione del singolo quanto più il sentire di coscienza è ampio e abbraccia con la sua consapevolezza tutti gli altri corpi transitori

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    • Intelligenza come capacità di trarre elementi utili alla propria comprensione.
      È la definizione che mi sembra meglio corrispondere al significato del termine.
      Poiché riguarda la evoluzione tutti passiamo attraverso gradi simili di intelligenza.

      Rispondi
  2. … “Questo non significa che chi è più intelligente sia più bravo, oppure che sia migliore, né, tanto meno, che di fronte a un’avversità non soffra.
    Significa solamente che, con tutta probabilità, la sua sofferenza sarà limitata, nel tempo e nell’intensità, dalla comprensione della Verità.

    Significa che cercherà non di prevaricare chi appare meno intelligente di lui ma di apprendere da costui quelle sfumature che egli stesso, magari non ha ancora appreso.
    Significa essere consapevoli di aver imparato molto ma, anche, di aver ancora molto da imparare, con l’enorme senso di umiltà che, inevitabilmente, ciò porta con sé.”

    Quanto c’è bisogno di queste parole oggi!

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  3. Intelligenza come capacità di lettura degli accadimenti, come capacità di interpretazione dei fatti.
    Visto da questo punto di vista l’intelligenza non può che andare a braccetto con il sentire perché per fare questo occorre avere uno sguardo ampio e aperto.

    In fondo però ogni nostra facoltà non è altro che sentire manifestante: tutto da lì parte e li torna.

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