L’illusione dell’Io e la realtà soggettiva (IIF5)

Introduzione insegnamento filosofico 5
Abbiamo visto in precedenza in quale maniera l’Io viene alla ribalta nella percezione di se stessi a mano a mano che l’individualità inizia a incarnarsi nella forma umana e abbiamo sottolineato quale importanza esso rivesta, quale stimolo esso sia verso l’affrontare le esperienze e, quindi, verso l’evoluzione.
In quest’ottica risulta evidente il fatto che l’Io trae la necessità della sua esistenza (sia pure illusoria) dal bisogno di fornire all’essere incarnato l’occasione per osservare ciò che non ha compreso.
Ne consegue che esso esiste nell’uomo fin dal primo momento in cui egli ha qualche cosa da comprendere e molto di non compreso: esso, infatti, è un’illusione che nasce proprio dalle sue non-comprensioni che si riflettono nel modo di affrontare la vita e le esperienze.
Voglio sottolineare (anche al fine di sfatare errate concezioni o mal comprensioni dell’insegnamento) che anche l’uomo alla sua ultima incarnazione, effettuata prima di abbandonare definitivamente la ruota reincarnativa e, quindi, praticamente al culmine dell’evoluzione raggiungibile come essere umano, possiede ancora un Io e, se ci pensate bene, non può essere che così in quanto il solo fatto di essere immerso nella materia significa che deve comprendere ancora qualche sfumatura, e questo, a sua volta, significa che una piccola parte di illusione e, quindi, di Io, esiste ancora.

Da cosa si differenzia allora, rispetto all’Io, l’uomo alle prime incarnazioni dall’uomo alle ultime?

Quello che è diverso nei due casi è la maniera in cui l’uomo si pone di fronte a quel fantomatico Io: se nelle prime vite come essere umano l’Io la fa da padrone, inducendo ad azioni completamente egoistiche al fine di soddisfare i propri apparenti bisogni, verso le ultime l’individuo riceverà certamente ancora delle spinte verso l’egoismo ma non ne sarà più dominato né sopraffatto e saprà, se vorrà farlo, accantonare le spinte del proprio Io quando la sua coscienza, ormai ben strutturata, gli suggerirà essere il momento giusto per andare al di là di se stesso nel nome di una fratellanza non più soltanto teorica bensì così acquisita da rendere «il fare per gli altri» ancora più soddisfacente intimamente del «fare per se stessi».

Tutto è Uno, dicono i Maestri, volendo significare con questo che siete, in realtà, tante piccole parti di quell’unico grande Tutto che l’uomo chiama con milioni di nomi differenti. Il fatto è, figli nostri, che non ne siete ancora profondamente consapevoli, tant’è vero che operate una separazione di valori e di intenti tra voi stessi e tutta la realtà che vi circonda, ignari del fatto che la meta sia unica per entrambi.
Mi sembra evidente, miei cari, che in questa prospettiva il concetto di illusione finisca col trovare spontaneamente una sua definizione e collocazione: dal momento che siete Uno, quello che siete e che fate appartiene non solo a voi ma anche a tutti gli altri che, assieme a voi, hanno percorso, percorrono o percorreranno, il cammino dell’evoluzione, così come è vero il contrario, ed è la vostra scarsa comprensione (e, quindi, il vostro Io) di come stiano veramente le cose che vi fa lottare, soffrire, gioire, desiderare di possedere, prevaricare, calpestare per ottenere e così via.
Inoltre, sotto l’influenza dell’Io, l’illusione è resa ancora più forte dal fatto che ognuno di voi, nell’osservare la realtà che vi circonda, crea una selezione tra le cose, le persone e i fatti che vi si presentano, trattenendo alla vostra attenzione solo ciò che colpisce, in qualche maniera, il vostro Io oppure ignorando o, addirittura negando contro ogni logica ed evidenza, quello che non è in sintonia con quelli che sono i vostri bisogni egoistici del momento.

Una cosa mi preme dirvi, fratelli: non sentitevi in colpa per ciò che siete, ma pensate che il comportamento egoistico fa parte dei meccanismi naturali posti in essere per aiutarvi a comprendere: trovarsi di fronte a ciò cui il vostro Io, solitamente, si ribella (e, quindi, di fronte alla frustrazione o alla sofferenza), oppure a ciò che esso cerca di fare suo (e, quindi, ai suoi bisogni di soddisfazione), fa sì da dispiegare di fronte all’uomo che sa osservare se stesso quali siano le cose che non ha ancora compreso, al punto che può bastare talvolta anche la sola osservazione sincera delle proprie reazioni e dei propri comportamenti nelle varie situazioni per portare al raggiungimento della comprensione.
Il mio timore è che la mia esortazione a non sentirvi in colpa possa essere usata dal vostro Io per giustificare ai suoi stessi occhi tutto ciò che fa.
Sentirvi in colpa, lo ripeto, non serve che a farvi star male; tuttavia, fornirvi una giustificazione di questo tipo, in special modo per gli errori che commettete sapendo di commetterli, non vi porterà certamente una sofferenza minore; anzi, solo per il fatto di impedire al vostro sentire di fluire nel modo migliore, quello cui andrete incontro sarà ancora più doloroso di un normale senso di colpa, in quanto la consapevolezza di aver potuto, se aveste voluto, evitare sofferenza a voi e agli altri e non averlo fatto avvelenerà i vostri giorni.

Una domanda che ricorre spesso e che nasce spontanea allorché si parla dell’illusione è questa: «se il mondo che percepiamo è soggettivo, esiste qualche cosa di oggettivo?».
Non lasciatevi fuorviare da questa domanda, amici: ciò che percepite come esseri umani è soggettivo finché siete immersi nell’illusione, senza dubbio, ma lo è nei sentimenti, nell’attribuire connotazioni positive o negative a cose, persone e avvenimenti, nell’operare una scelta su ciò che osservate, nel pensare che esistano la fortuna e la sfortuna, nel ritenere appagante o deludente qualcuno senza tener conto che esistono anche i bisogni e le realtà degli altri.
Tuttavia, sotto lo strato di percezione soggettiva, il vostro corpo è fatto di materia come lo è quello degli altri uomini, gli alberi hanno forma d’albero e le stelle brillano nei cieli senza nuvole, quindi, comunque, una realtà oggettiva esiste e, se pure essa non è esattamente quella che voi percepite, tuttavia ciò non la rende né meno vera né meno esistente.

Senza ombra di dubbio l’essere consapevoli di vivere immersi nell’illusione porta con delle conseguenze non indifferenti che creano un modo diverso di vivere la vita.

Chi riconosce le proprie illusioni vede più chiaramente se stesso trovando, così, più facilmente la strada verso il proprio sentire.

Chi svela l’illusione osservando se stesso si accorge che la sua stessa personalità è illusoria, per larga parte nata dalle sue incomprensioni, e con maggiore sicurezza può trovare la strada per far sì che la sua personalità assomigli sempre di più non al suo Io ma al suo vero Sé.

Chi percepisce l’esistenza dell’illusione non può che arrivare a sentirsi umile di fronte a ciò che crede di essere e di sapere perché diventa consapevole che da un momento all’altro le sue illusioni possono cadere e, allora, ciò che sapeva potrebbe rivelarsi un’assurdità priva di senso e ciò che era non sarebbe certamente più ciò che è diventato.

E, giunto alla fine dell’illusione, amerà con eguale amore le gioie e le sofferenze che ha avuto, gli amici e i nemici che ha incontrato, i giorni e le notti che ha vissuto, il bene e il male che ha attraversato, riconoscendo che nel grande palcoscenico del Tutto nulla è più importante o meno importante ma ogni cosa esiste perché è necessaria e indispensabile all’esistenza della realtà. Baba


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4 commenti su “L’illusione dell’Io e la realtà soggettiva (IIF5)”

  1. “Il mio timore è che la mia esortazione a non sentirvi in colpa possa essere usata dal vostro Io per giustificare ai suoi stessi occhi tutto ciò che fa”.
    C’è anche un altro rischio oltre a quello di non farsi carico delle proprie azioni che è quello di farsi carico delle azioni altrui…

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  2. Nei bambini il corpo mentale giunge a compimento dopo i 14 anni. Il bambino dunque non ha un io prima di allora? Pure gli anni dell’infanzia sono importantissimi per gettare le basi delle comprensioni future e comunque anche un bambino impara le leggi “morali” dalle esperienze che fa.

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  3. Cerco di prendere sul serio questa rappresentazione. Cioè ho cercato, per quel che mi è stato possibile, di cogliere gli insegnamenti, attraverso i fatti della vita. Cosa è accaduto in realtà, al di là del mio proposito? Forse non ho capito gran ché. Ora però ho un approccio diverso. Meno giudicante mi pare. Più cauto se non altro a sentenziare. Vivo, consapevole che non devo identificarmi troppo con i fatti, le emozioni ed i pensieri. So che la sofferenza, come la gioia hanno una fine, pertanto perseguo la ricerca di una pace di fondo, che a volte c’è e a volte si perde.

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  4. L’illusione sembra non avere mai fine. In continuazione mi trovo a fare i conti con il suo svelamento, ma qualcosa è cambiato rispetto a un passato in cui questo fatto era fonte di frustrazione, la frustrazione di non essere ancora completamente fuori dall’illusione. Ogni comprensione era accompagnata dall’illusione di essere arrivata da qualche parte per essere poi smentita dai fatti.
    Ora so che il mio peregrinare durerà per tutta la vita, ma non me ne dolgo, so che sto facendo un viaggio e cerco di viverlo per quello che è, passo dopo passo, tappa dopo tappa, avendo ben presente la meta e al contempo che non c’è alcuna meta da raggiungere, poiché l’idea che esista un “io” che deve raggiungere la meta dell’Uno è ancora illusione.
    L’accettazione di sentirsi separati significa smettere di raccontarsela e di aggiungere illusioni su illusioni, cercando di apparire diversi da quello che si è nell’identità, per essere accettati o riconosciuti dagli altri. Significa lasciarsi plasmare dalle sofferenze che conseguono all’illusione di essere un io, senza per questo adagiarsi in essa.
    Mentre scrivo tutto questo gioco dell’illusione mi fa sorridere ed emerge la compassione (almeno questo credo che sia, non so darle altro nome)…

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