D – Quindi, il problema di base è sempre il “conosci te stesso”?
Beh, senza dubbio quella è sempre la pietra miliare da cui partire. Io vorrei sapere quanto e se vi siete riconosciuti in quello di cui ho parlato.
D – Eh sì, moltissimo, sì. Le cose che hai detto sono vere, tutte vere.
E allora, nel corso delle vostre frenetiche giornate cercate – nei momenti in cui riuscite ad essere consapevoli che c’è qualcosa che vi turba – di fermarvi un attimo per cercare di farlo arrivare alla parte cosciente di voi.
Questo, senza dubbio, anche se non risolverà magari il problema, vi porterà ad avere degli elementi migliori per poterlo affrontare ed inoltre lascerà uscire all’esterno quell’energia che al vostro interno si stava rivoltando su se stessa, permettendovi di essere più equilibrati, più armonici e, quindi, di affrontare in modo diverso le vostre esigenze e le vostre necessità.
D – Non mi è molto chiaro quello che hai detto a proposito dei figli verso i genitori: nel senso di comprendere che cosa è capitato, vuoi dire? Perché con l’esempio della favola – della quale io ho detto subito che sembrava la descrizione di un certo momento della mia vita – senza dubbio (almeno credo di aver capito) il genitore fa l’errore di vivere le proprie emozioni, i propri problemi, le sue crisi senza tener conto che il bambino ne subisce le conseguenze, però il bambino, anche un domani divenuto adulto, che cosa può ricavare da questo?
Il non-rancore verso il genitore? Capire che non poteva fare di meglio? Però il danno rimane.
Beh, il danno intanto rimane nella misura in cui l’ex bambino, ormai adulto, non ha lavorato su se stesso, nel momento in cui non c’è stata poi più nessuna risposta adeguata, nel momento in cui il colloquio viene interrotto, nel momento in cui non c’è stata disponibilità da una parte e dall’altra, nel momento in cui si è più pensato a portare avanti il proprio rancore che a cercare di scioglierlo.
Stiamo parlando non più di bambini, chiaramente; il discorso non può essere riferito al bambino perché non ha ancora tutti gli strumenti per poter agire su stesso, ma stiamo parlando dell’adulto che, certamente si è formato sotto le spinte provenienti dall’ambiente esterno, ma che comunque ormai “ha” gli strumenti per poter modificare ciò che di lui vi è di errato; e, se non lo fa, a quel punto la responsabilità è tutta sua.
Non può incolpare il genitore per gli errori che sta commettendo, perché se sa che sono degli errori non li deve commettere più; perché continuare a commetterli, dando la colpa ai genitori, non ha alcun senso.
D – Certo, quindi dovrebbe capire che magari, al posto del genitore, in una situazione analoga, non è detto che lui avrebbe saputo o potuto far meglio, quindi far cadere il rancore, eventualmente, ma tutto lì?
Ma certo. Ma quella dovrebbe essere una cosa di un attimo; tutto sommato non è la cosa più importante quella, perché nel momento stesso in cui il figlio, tormentato, si rende conto che il genitore poteva avere i suoi “perché” e che – per quanto possa aver sbagliato in malafede – tuttavia non è nelle sue possibilità poter giudicare, in quel momento il discorso deve cadere automaticamente da solo e allora il figlio deve rivolgere su se stesso l’attenzione per correggere quegli errori che ritiene che il genitore abbia commesso facendoli ricadere su di lui.
Ma se il figlio si limita ad attribuire errori al genitore e intanto, su questa attribuzione, porta avanti la scusa per commettere ancora e sempre gli stessi errori, il discorso non è più accettabile e non è più scaricabile come responsabilità su nessun’altra persona che su lui stesso.
D – Ti ringrazio. Ho capito.
D – Questo discorso mi sembra che l’avessimo già fatto.
D – Se dall’altra parte non c’è una disponibilità, o almeno non sembra esserci, non si può pensare di cambiare l’altro, è una presunzione, credo, pensare di cambiare l’altro. Uno può solo lavorare su se stesso, come è stato detto fino adesso…
Ma, senza dubbio, non è che si possa pretendere di cambiare gli altri. Chi si illude di poterlo fare, sbaglia. L’altro cambia soltanto quando intende cambiare.
Al limite, forse c’è la sensazione che sta cambiando per l’azione fatta da un altro, ma questo accade soltanto perché “per coincidenza” l’azione dell’altro coincide con un momento in cui lui era pronto a cambiare.
Cosa fare – dici tu – se l’altra persona, questo presunto antagonista, continua ad arroccarsi sulle sue posizioni senza avere apparentemente nessuna volontà, nessun desiderio di cambiare?
Non resta senza dubbio da fare altro che accettare le sue posizioni, chiarire quali sono le proprie, senza fare di queste posizioni un momento di rivalsa o di lotta.
So che non è facile, anche perché poi entrano in gioco le reazioni impulsive e certe aggressività che magari erano più o meno latenti nell’inconscio della persona, ma specialmente chi è venuto incontro al nostro insegnamento – questo è un discorso che si rivolge a coloro che sanno queste cose, principalmente – ha sempre comunque un motivo, un modo, un mezzo, anche con le parole, di poter ragionare e far arrivare le proprie idee all’altro in modo che l’altro possa, sulla base dello stesso ragionamento comune, mitigare le proprie posizioni.
Avete qualcosa da chiedere su quest’argomento così importante, che non vi aspettavate questa sera?
D – A proposito di quello che dicevi prima, del senso di inquietudine che capita spesso sia la mattina o comunque durante la giornata, se uno cerca di focalizzare l’attenzione su se stesso, se cerca di capire da dove deriva questa inquietudine però nonostante gli sforzi l’inquietudine rimane, allora uno non sa più che pesci prendere…
Ma l’importante è provarci. Certamente non sempre siete pronti poi per affrontare ciò che giace dentro di voi, tanto è vero che se foste sempre completamente pronti tutto verrebbe a galla immediatamente. L’importante è mettersi nella posizione di cercare di affrontarlo ed essere pronti ad afferrare l’attimo giusto attraverso le tante strade, i tanti mezzi a disposizione per comprendere.
D – A volte succede che uno crede che derivi da una determinata cosa e invece, in realtà, poi deriva da un’altra; cioè nell’analisi che si fa dello stato d’animo che si ha, non sempre si riesce…
Però intanto hai focalizzato qualcosa che probabilmente, solo per il fatto che ti è venuta alla mente in quel momento, qualche problema – probabilmente minore di quell’altro – te lo procurava.
D – Sì, bisogna andare avanti per tentativi, insomma.
Certamente. Poi può accadere – come dicevo – che talvolta voi siate pronti e quindi la risposta giusta, la direzione giusta (perché poi è la direzione, più che altro, quella da trovare) vengano alla luce subito mentre altre volte vi metterete nella condizione di osservare voi stessi e scoprirete tante altre piccole cose che vi porteranno fuori strada, ma che nel contempo non andranno sprecate ma vi aiuteranno a mettere assieme in modo migliore i mattoni interiori che costituiscono la vostra parte sconosciuta, fino a quando questo vostro essere interiore sarà costruito in modo tale, grazie a questi piccoli mattoni, che riuscirete anche a sorreggere il peso di quel mattone più grosso che non volevate mettere.
D – Volevo chiederti una cosa: noi siamo abituati a conoscere le nostre reazioni, per lo meno a cercare di modificarle e di superarle, ed entriamo senz’altro in un contesto di presunzione quando evitiamo di chiedere un consiglio, di afferrarci anche a una serena discussione e ad un parere altrui. Non penso naturalmente sempre e soltanto ad un maestro, i maestri sono rari e difficili da incontrare. Però il valore di una parola, di una discussione, di intavolare assieme un discorso attorno a quelle che sono le proprie necessità e le proprie esigenze di quel particolare momento, potrebbero tornare utili?
Potrebbero senza dubbio tornare utili, però non per tutti gli individui; il problema non è questo. Vi sono individui che riescono a modificare se stessi guardando alla propria interiorità, vi sono altri che invece hanno bisogno del confronto immediato con le altre persone, e ci sono poi quelli che invece, pur col confronto con le altre persone, resistono a questa osservazione.
Basta osservare quello che accade, ad esempio, nella pratica psicanalitica; perché si ottenga qualche piccolo risultato è necessario che il paziente collabori altrimenti, se il paziente non vuole migliorare, nessun psicanalista riuscirà mai a farlo migliorare, neanche di un piccolo passo, per quante parole possano essere dette o per quanti tipi di approcci possano essere portati.
D – Scusa, io pensavo che gli impulsi che si sono formati dopo la nascita, durante i primi anni di vita, dovuti a traumi o cose del genere, pensavo che condizionassero un po’ tutta la personalità futura di un uomo, però al di là della consapevolezza di riflessione di quelli che possono essere questi problemi, tanto resta quell’impronta della personalità…
Aspetta, aspetta un attimo. Per quello che riguarda la personalità tu sai che è quel che riguarda la manifestazione sul piano fisico, ovvero l’azione del corpo fisico, del corpo astrale, del corpo mentale. Ora, per quanto forti possano essere stati i traumi che l’individuo ha vissuto nell’infanzia e che apparentemente hanno forgiato in qualche modo il suo rapportarsi con la realtà esterna – quella che voi comunemente definite personalità – ebbene, vi posso garantire che non vi è nulla, nessun aspetto del vostro modo di essere verso l’esterno o anche verso il vostro interno che non possa essere modificato da un momento all’altro se soltanto voi lo vogliate.
Per quanto grande possa essere stato il vostro trauma, per quanto enormi le difficoltà che avete attraversato, per quanto grossi i dolori che avete sofferto, nulla di tutto questo può continuare ad essere dentro di voi se voi sapete lasciar fluire quel sentire che possedete; poiché la personalità è transitoria ma il sentire è un filo che lega tutte le vostre esistenze ed è questo quello importante, quello che veramente crea ciò che voi siete, nel momento stesso in cui voi comprendete quel qualcosa che le vostre sofferenze, i vostri traumi passati volevano farvi comprendere, non è la vostra personalità che cambia, ma il fluire della vibrazione del vostro corpo akasico che muta.
(Moti pone l’accento sul mutare della vibrazione akasica in conseguenza della comprensione conseguita, e sembra non dare rilievo al cambiamento che, inevitabilmente, avviene anche nella personalità; si esprime in questo modo perché intende affermare la prevalenza del processo akasico e la subalternità a questo di qualsiasi trauma nella personalità.
In quest’ottica si può comprendere l’affermazione impegnativa del paragrafo precedente:
“nessun aspetto del vostro modo di essere verso l’esterno o anche verso il vostro interno che non possa essere modificato da un momento all’altro se soltanto voi lo vogliate“.
Quando avviene una comprensione, tutto ciò che sta a valle di essa può essere cambiato. Ndr)
D – E quando si ripresenta, per esempio, quell’impulso giovanile, adolescenziale, infantile, che uno lo conosce e cerca di controllarlo nel suo comportamento? Voglio dire: si ripresenta sempre un determinato impulso che è dovuto a una formazione dei primi anni di vita.
Non è detto che si ripresenti sempre. Si ripresenta finché tutto ciò che lo riguardava non è stato compreso. Evidentemente – come dicevamo in passato – se la situazione si ripresenta, sia interiore che esteriore, è perché c’è quantomeno qualche sfumatura da comprendere ancora, che la rende utile nel suo ripresentarsi continuamente.
Ricordate che tutto ciò che accade, accade per un’utilità a vostro favore; tutto quello che si presenta, per quanto doloroso possa essere, è perché vi deve aiutare a comprendere, a proseguire nell’evoluzione. Per lo stesso motivo, quando queste situazioni non avranno più alcuna utilità per voi, certamente non avrà alcun senso che si ripresentino o, se si ripresenteranno, voi le ignorerete.
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Non vorrei avervi depresso troppo. Anzi, direi che dovreste essere più felici di prima perché le mie parole non erano parole indicative di cattive situazioni, ma anzi intendevano dare speranza, dare certezza che tutto ciò che siete e che tutto ciò che di voi non piace a voi stessi può essere, se voi lo volete – questo è il corollario importante – modificato e trasformato in ciò che voi più pensate che possa essere il meglio per voi.
Certo, magari questo meglio è ancora governato dall’Io, certamente magari ancora sottostà alle leggi dei vostri corpi inferiori, ma questo significa soltanto che dovrete ancora lavorare e ancora modificare fino a quando, finalmente, riuscirete ad uscire dalla catena di nascite e di morti per arrivare a qualcosa di diverso, così diverso che esitiamo a parlarne.
D – C’è la frase “non siete pronti” che mi sembra un po’ ambigua, a volte, perché ci dà un’impressione… come a scuola: non sei pronto e dici: “Allora mi lasciano stare, perché non sono pronto”, invece ci vorrebbe del nostro lavoro, in modo da essere pronti. Sembra quasi che passivamente si dica: “non mi riguarda, perché tanto non sono pronto”.
Mah, sotto un certo punto di vista questo può anche essere vero; d’altra parte, mia cara, abbiamo affrontato tanti di quegli argomenti, tante di quelle diramazioni che, se aveste dovuto cercare di prepararvi bene su tutte quante, passereste la vita a cercare di studiare, di capire l’insegnamento, che senza dubbio è importante, può aiutarvi, serve a condurre avanti le vostre vite facendovi capire certi perché, limitando magari la vostra sofferenza nel tempo; ma che – comunque sia – noi ricordiamo sempre che non deve sostituirsi alla vostra vita, non deve essere la ragione della vostra vita.
Perché la ragione della vostra vita è essenzialmente vivere, e vivere significa affrontare le esperienze di tutti i giorni, significa affrontare le altre persone, significa star male, gioire, essere contenti, soffrire, cantare, vedere uno spettacolo e via dicendo. Quindi non possiamo certamente pretendere che voi vi prepariate in anticipo su tutto quanto noi andiamo ad affrontare ed è per questo motivo che a volte non possiamo andare a fondo come vorremmo.
D’altra parte, pensateci anche voi: se vi avessimo proposto i discorsi sull’inconscio, sulla genetica, che abbiamo affrontato recentemente solo che 6 o 7 anni fa, quanti di voi si sarebbero interessati, sarebbero restati, e non sarebbero invece fuggiti in preda alla paura più terribile di doversi mettere a studiare?
D – Io mi riferivo al non essere pronti a fare certi salti di qualità nella propria vita, al non prendersi certe responsabilità. Uno si sente dire: “Se non la prende si vede che non è pronto” e allora sta lì tranquillo perché aspetta di essere pronto e poi si deciderà a prendere la responsabilità. Non parlavo dello studio.
Ma non si tratta di mettersi lì e aspettare di essere pronti perché non sapete qual è il momento in cui siete pronti. Quello che voi dovete fare è mettervi nella condizione migliore perché, quando venga il momento, voi sappiate afferrarlo. Certamente non potete dire di punto in bianco: “Io adesso risolvo il mio problema”, poiché se non avete compreso tutte le meccaniche che riguardano il vostro problema, il vostro problema non è risolvibile in quel momento.
D – Ma bisogna cominciare non a risolverlo, ma a pensare a dove sta il problema.
Intanto scoprire il problema qual è, quello è il primo passo da fare. Invece molte volte voi nascondete ai vostri stessi occhi persino il problema, limitandovi a sentirvi nervosi o inquieti, oppressi o insofferenti e via e via e via direbbe Scifo.
D – Scusa, ti volevo chiedere a proposito dell’inquietudine: a me capita spessissimo quest’inquietudine mattutina e allora ho cercato e sto cercando di fare un lavoro su me stessa per vedere di capire perché. Però ci sono delle volte che mi è sembrato di arrivare a capire il perché ma, una volta che so perché, continuo ad essere inquieta; cioè non è che riesca a fare il passo successivo. Il fatto di lavorare sul perché dell’inquietudine, però, una volta che si è arrivati al motivo…
Beh, intanto, cara, bisogna vedere se quello è il vero motivo, per prima cosa; e, secondariamente, scoprire il motivo è il primo passo; non è che scoprire il motivo elimini l’inquietudine.
Prendiamo la favola come esempio un pochino più concreto e non entrare nel personale: è evidente che Ozh-en era inquieta e insofferente perché la vita che stava conducendo non le andava bene; né il comportamento del marito né il condurre la vita della casalinga; è evidentissimo nella favola questo. Allora avrebbe potuto mettersi un attimo ad osservare se stessa e arrivare a comprendere che la sua era insoddisfazione per la vita che conduceva.
Questo non avrebbe eliminato l’inquietudine; anzi, forse avrebbe provocato anche un po’ di angoscia perché voleva dire mettere in discussione tutta la sua vita.
Il passo successivo avrebbe dovuto essere quello di osservare il perché quel tipo di vita non le andava più bene, e il perché non è mai uno solo ma sono tanti; poteva essere giusto per un rapporto sbagliato con il marito, come la fatica di avere la responsabilità di un figlio – che, ricordiamocelo tutti, è sempre una responsabilità difficile da portare avanti – sia il condurre una vita che non la metteva in relazione con gli altri, se non per le cose di routine quotidiana e quindi non la gratificava, non la soddisfaceva.
Tutti questi elementi certamente potevano essere il “perché”, però il problema è andare ancora più a fondo e vedere cos’era che smuoveva in lei queste cose: se aveva bisogno di maggior gratificazione, di maggiore attenzione, di cambiare vita, ma che tipo di vita?
E lì, su quella base, andare avanti fino a quando non si trovava un equilibrio diverso, un po’ migliore, per apprestarsi poi a fare un’altra indagine e trovare un’altro equilibrio ancora diverso, un po’ migliore, perché a quel modo – a piccoli passi – certamente si soffre molto meno che uscire di casa e dire: “Io adesso esco di casa, lascio il figlio, lascio il marito e faccio un’altra vita”.
Anche perché fuggire dalle situazioni non vuol dire risolvere i problemi. Moti
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Bisogna considerare l’inquietudine un’energia che alimenta il divenire, una rotella dell’ingranaggio del divenire, forse proprio quella principale. Nulla più.
Qualsiasi altra affermazione sull’inquietudine cade nel solco della mente che giudica. Ovvero “l’inquietudine è positiva perché ti fa sentire vivo”, “l’inquietudine è negativa è negativa perché fiacca lo spirito”.
Se, invece, comprendiamo l’inquietudine come “energia cinetica dello spirito” e non ci poniamo come vittime, allora scopriremo anche il modo corretto attraverso cui rapportarci con essa.
E’ come la stella che indica ai naviganti dove proseguire: nulla di più prezioso.
L’inquietudine ci orienta nel mare delle comprensioni da affrontare.
Ci indica ora quella comprensione, ora quell’altra; poi sta a noi possedere il discernimento per capire dove andare e quali manovre compiere per raggiungere la prossima “posizione”.
Si sbaglia, si prendono delle cantonate, si torna indietro e cambiando strada si avanza di nuovo.
Nulla di più normale.
Ma più riconosciamo questa “meccanica”, più saremo agile nel muoverci tra le comprensioni.
In estrema sintesi: uscire dal ruolo della vittima.
Grazie.
“tutto ciò che siete e che tutto ciò che di voi non piace a voi stessi può essere, se voi lo volete, modificato e trasformato in ciò che voi più pensate che possa essere il meglio per voi.”
Tanti spunti sul conosci te stesso…
Grazie
Tanti spunti! alcune affermazioni già digerite, altre sono in officina per essere lavorate…
Gli spunti offerti da Moti sono tanti rispetto al comprendere l inquietudine. A mio avviso c’è anche un inquietudine legata al cambio di stagione, quando circolano di più correnti energetiche di cambiamento cosmico..
Ringrazio il curatore per il chiarimento portato sull affermazione fatta da Moti che riguarda il cambiare della coscienza piuttosto che quella dei corpi inferiori.
Imparare a vedere l’io che ti spinge a rifare sempre i soliti errori è importante
Molti spunti, concreti.
Agire per tentativi, a piccoli passi.
“La ragione della vostra vita è vivere”.
Grazie.
Molto interessante!
Ci ricorda il vivere come base del cambiamento e che non esiste cambiamento che, se veramente lo vogliamo, non possa essere compiuto
“L’importante è mettersi nella posizione di cercare di affrontarlo ed essere pronti ad afferrare l’attimo giusto attraverso le tante strade, i tanti mezzi a disposizione per comprendere.”
Parole che danno respiro, di cui apprezzo la laicità e la semplicità.