L’osservazione passiva e la sua consapevolezza [A72]

D – Può l’osservazione passiva essere messa in atto in automatico, al di fuori cioè della consapevolezza dell’individuo?

Direi che è l’unico modo in cui possa veramente essere messa in atto: nel momento stesso in cui si cerca consapevolmente d’attuare l’osservazione passiva essa diventa osservazione attiva e, quindi, viene resa disponibile per l’interferenza dell’Io.

D – L’osservazione passiva può diventare consapevole e se sì, facilita la creazione di quei canali preferenziali per il ritorno delle vibrazioni al corpo della coscienza?

Devo ripetermi: quando l’individuo incarnato diventa consapevole dell’osservazione passiva ne altera le caratteristiche di non influenzabilità da parte dell’Io; di conseguenza la seconda parte della domanda, in questo contesto, non ha alcun senso.

Se, invece, ci chiediamo se l’osservazione passiva facilita il ritorno delle vibrazioni al corpo della coscienza la risposta non può che essere affermativa, dal momento che non subisce l’ostacolo frapposto al fluire delle vibrazioni dalle interferenze messe comunemente in atto dall’Io. Per puntualizzare, tuttavia, direi che più che creare canali preferenziali essa rende privi di disturbi i canali che la vibrazione di ritorno attraversa, facilitandone il fluire.

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D – L’osservazione passiva può essere usata consapevolmente per ridurre la propria sofferenza?

La riduzione della propria sofferenza avviene soltanto attraverso la comprensione: l’osservazione passiva è una condizione di staticità (in quanto priva di disturbi vibratori), non compie né subisce azioni. Ha il solo scopo di fornire il più velocemente e in maniera il più inalterata possibile al corpo della coscienza le risultanze dell’esperienza compiuta.

D – L’osservazione passiva è stata paragonata a una telecamera puntata nel nostro interiore mentre stiamo agendo, può essere giusta questa similitudine dando per scontato che colui che guarda nella telecamera è il corpo akasico?

Può essere un buon esempio.

D – Ci sono dei modi per facilitare il verificarsi dentro di noi dell’osservazione passiva?

Affinché l’osservazione passiva diventi uno stato interiore costante è indubbiamente necessario un aiuto da parte dell’individuo incarnato. Questo aiuto può essere fornito soltanto dalla predisposizione (direi quasi dall’abitudine) dell’individuo a osservare se stesso. Questa predisposizione, questa costante attenzione su se stessi (benché attiva e, quindi, non sganciata dall’Io) abitua l’Io al fatto di essere costantemente sotto osservazione.

Tendenzialmente, allorché si sente sotto osservazione, esso tende a reagire e a opporsi, in quanto vive la cosa come un possibile fattore destabilizzante. Tuttavia, un po’ alla volta, accorgendosi che quest’osservazione non è poi così pericolosa come inizialmente gli poteva sembrare, tenderà a sottovalutarla, attirato da altri elementi più evidentemente pericolosi per lui nell’immediato. Col risultato che l’osservazione diventerà un regime interiore che esso ignorerà, permettendo la trasformazione dell’osservazione attiva in passiva.

D – Come nel nostro caso di un gruppo di persone che tentano di praticare l’osservazione passiva, può svilupparsi tanto da diventare un archetipo transitorio?

Non mi sembra che l’osservazione passiva possa avere agganci con gli archetipi transitori: si tratta di qualcosa di interno, di strettamente individuale, che nasce dall’interno dell’individuo e non può essere esteriorizzata né messa in comune con altri individui, quindi non ha nessuna delle caratteristiche necessarie alla trasformazione in archetipo transitorio. Rodolfo

Annali 2008-2017

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