Meccanismi di difesa e d’attacco relativi al karma [IF5]

L’individualità, con i suoi tre corpi inferiori, ha delle difese naturali, tende a difendersi all’interno della realtà in cui vive con vari mezzi, e tende anche ad attaccare allorché si sente minacciata, così come succede a qualsiasi animale del vostro piano fisico.

La differenza con le altre parti dell’individualità è che né il corpo akasico né la Scintilla si difendono, perché non hanno nulla da difendere. Cos’è che hanno da difendere? Trovatami voi un qualcosa che necessita di essere difeso all’interno della Scintilla!

D – La Scintilla certamente no: il piano akasico e le sue limitazioni, nel senso dei suoi sensi non sviluppati.

Ma se si difende non riuscirà mai a crescere!  Sa benissimo – il corpo akasico, e non il piano akasico – che per accrescere le proprie potenzialità, per scoprire (come voi sapete) le proprie potenzialità, necessariamente deve andare incontro all’esperienza e, quindi, deve mettere in azione queste sue potenzialità per vedere quali sono i suoi limiti e ciò che egli deve superare per ampliare il suo sentire.

D – Puoi fare un esempio su quest’ultimo concetto?

Se il corpo akasico, che ha acquisito un certo sentire, ha necessità di comprendere più a fondo le sfumature – ad esempio del “non rubare” – ecco che invierà degli influssi, degli impulsi verso i corpi inferiori affinché si vengano a trovare in situazioni tali per cui l’individuo abbia il desiderio o il pensiero e la possibilità di compiere un furto (al di là del fatto che esso venga compiuto o meno). Ciò che questo impulso smuove all’interno dei corpi inferiori si riflette poi sul corpo akasico. il quale, naturalmente, trarrà delle conclusioni, e ciò farà sì che il suo sentire si ampli.

D – Ed è indipendente dal fatto che l’esperienza sia vissuta o no?

Può essere. Non è detto che sia strettamente necessaria viverla in prima persona: tanto è vero che, se voi ricordate, abbiamo detto una volta che, ad un certo punto dell’evoluzione, non è più necessario, strettamente indispensabile, che ognuno di voi “viva” tutte le esperienze.

D – Scusa, Scifo: allora le difese del corpo akasico si riferirebbero a stimoli che esulano da un programma prima predisposto?

In realtà – ripeto – il corpo akasico non si difende. Il corpo akasico agisce.

D – E’ la censura: se – come hai detto prima – manda gli stimoli nei sottopiani perché si debba fare l’esperienza del “non rubare”, da questi stimoli trae…

Voi state compiendo lo stesso errore che, in parte, forse commetteva anche, alla lunga, lo psicologo di cui avete cercato di parlare! (ndr.: Scifo si riferisce a Freud di cui si era parlato nel corso della discussione)
La censura non è un personaggio, non è un individuo, non è un essere che agisce: è semplicemente una condizione, una “pelle”.
Non è il corpo akasico che attua la censura: vi è una certa condizione interiore del corpo akasico per cui viene messo in atto un certo meccanismo, ma questo meccanismo non ha una vita a stante. E’ semplicemente una logica necessaria affinché avvenga tutto il meccanismo, così come è necessario che voi respiriate per vivere all’interno del piano fisico. Il vostro respiro non è un individuo in se stesso, ciò non toglie che è necessario alla vostra esistenza!

D – Scusa, ma se il corpo akasico mi manda l’impulso di fare l’esperienza del “non rubare” e io non rubo, però l’intenzione di rubare ce l’ho?

Tu o il corpo akasico? L’intenzione non ce l’hai tu. Tu come Io o tu come corpo akasico?

D – Io come Io.

L’intenzione del tuo Io, in realtà non è altro che un riflesso di ciò che non viene compreso nel corpo akasico. Il tuo Io non esiste, allo stesso modo di come non esiste una censura “umanizzata”.

D – Per cui comunque io non rubo. Allora, a questo punto? Cioè: il corpo akasico mi manda l’impulso di fare l’esperienza del “non rubare” o del “rubare”, a seconda di quello che devo comprendere, ma se io non rubo cosa c’è dentro di me che mi impedisce di rubare?
Perché, a questo punto, se io non rubo è perché il corpo akasico ha già capito che io non devo rubare!

No. E’ qui che non avete capito queste situazioni!
Non è che il corpo akasico vi mandi l’impulso di rubare; vi manda l’impulso di mettervi nelle situazione di poter rubare. E’ diversa le cosa!
Vi dà l’impulso di essere nella situazione in cui voi potreste reagire rubando.
Il fatto, poi, che voi rubiate o meno, questo darà un mezzo al corpo akasico per comprendere se ha capito qualche cosa o no, se ha capito che non deve rubare o meno!
Perché da come vi comporterete voi in quella situazione in cui il corpo akasico ha spinto affinché voi vi veniate a trovare, sarà quello che vi darà le motivazioni, il perché, i dati per cui egli ancora non ha compreso; e allora lo spingerà ad andare in certe direzioni anziché in altre. 

D – Però se io mi trovo nelle situazione di poter o non poter fare una cosa, se io – come corpo akasico – la faccio, è perché non ho ancora capito. Se non la faccio, che bisogno ho di avere questo impulso? Perché? Se non la faccio, è perché ho già capito!

No, non è vero: potresti non farla semplicemente perché hai paura che qualcuno ti stia guardando in quel momento. 
Ecco che allora succederà che il corpo akasico farà sì che tu ti trovi ancora, un’altra volta, in quella situazione e che, magari, tu non lo farai perché avrai paura di essere scoperta pubblicamente.
Allora, non essendo sicuro, farà sì che tu, ancora una volta, ti trovi in quella possibilità e, allorché tu – o tutti voi, naturalmente, non sto parlando a te in particolare – pur essendo sola in una stanza con dieci diamanti davanti a te, nessuna telecamera, nessuno che sappia che tu sei in casa, nessuno che ti conosce nell’edificio, nessuno che ti possa veder entrare e uscire, e via, e via, e via, malgrado questo tu uscirai dalla stanza ed i diamanti saranno ancora tutti sul tavolo.
Ecco, in quel caso, il corpo akasico saprà che hai veramente compreso che non dovevi rubare.

D – Sono molto perplesso.

Molto perplesso: e mi sembra che la discussione abbia aumentato non dico la perplessità, ma quanto meno l’irritazione. Non vi sarebbe, in realtà, molto da essere perplessi su quanto è scritto su quelle pagine (ndr: Scifo fa riferimento a delle perplessità nate durante la discussione dell’ultimo incontro di insegnamento).
Vediamo brevemente di parlare di questo, poi vi lascio un’ultima chicca prima di salutarvi. Parliamo quindi, un attimo, di questo benedetto karma, che vi ha procurato dei problemi.

  • E’ fuori di ogni ombra di dubbio che tutto quanto l’individuo vive all’interno del piano fisico è sottoposto alla legge del karma. D’accordo su questo? Bene!
  • E’ fuori di ombra di dubbio che vi è del karma risolvibile all’interno di una stessa esistenza
  • e vi è del karma che, invece, non è risolvibile assolutamente in quella esistenza, e che l’individuo può soltanto subire e, tuttalpiù, risolverlo come sua partecipazione al karma, ovvero come sua accettazione di ciò che deve subire e sopportare. D’accordo anche su questo?

Quindi non vi è nulla che non sia, in realtà, in qualche modo correlato a quello che è il karma! Questo, per lo meno, per quanto l’individuo vive all’interno del piano fisico.
Ciò che l’individuo sente riflettersi su di sé dall’esterno, o dal proprio corpo fisico, è in qualche modo correlato a effetti karmici mossi nelle vite precedenti, o immediatamente prima, nel corso della stessa vita che sta portando avanti.

Si parlava, poi, degli psicosomatismi e si diceva che, in realtà, tutto quanto – 90 o 95% – può essere considerato (sempre che riguardi le malattie, le sofferenze, e via e via e via) uno psicosomatismo. Effettivamente, io confermo che è vero questo, sempre nell’ottica di cui stavo parlando un attimo fa. Qual era allora, figlio T., il punto che ti turbava?

D – Quello che ho espresso prima, e che tu sicuramente hai sentito. Cioè: tu hai detto che il 90 o 95 o 99% di questi disturbi, di questi psicosomatismi sono curabili, tranne che forse l’1% che è di origine karmica. Ora, se – come hai detto prima – tutto è di origine karmica anche gli altri 99% sono di origine karmica.

Giusto. Però, chiaramente, come alcuni già avevano saggiamente fatto notare, vi è una differenza di karma, appunto tra il karma risolvibile immediatamente e il karma che, invece, l’individuo è costretto a subire ancora, o meglio: tra il karma che si può “attaccare” e il karma dal quale ci si può solamente difendere.

 Il karma che si deve subire è il karma vero e proprio, quello che comunemente viene inteso come karma, ovvero il dolore, la sofferenza che condiziona una vita intera, o un grosso periodo – quanto meno – di una vita; mentre, invece, il karma che si può “attaccare”, e quindi arrivare alla fine a superare, anche in un periodo di tempo breve, è quello che condiziona soltanto piccoli attimi, qualche giorno dell’esistenza di un individuo, vuoi – che so io – un’influenza, un raffreddore, e via e via e via. 
Quindi la spiegazione di quanto affermavo è semplicemente in questa ottica, in questa differenziazione di tipo di karma.

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D – E’ collegabile questo al fatto che la vita ci deve sempre portare a un’attività, ad un attacco, piuttosto che a una passività e, quindi, alla difesa?

Dipende dal significato che dai ad “attacco” ed al significato che dai a “difesa”.

D – Al fatto che – come hai detto tu – un karma che si attacca è più facilmente risolvibile, mentre un karma da cui ci si difende, mettendosi già in posizione di passività: per cui si presuppongono sempre le condizioni per cui questo karma si trascini e ci faccia soffrire per tutta la vita… mentre magari un altro individuo, che abbia un temperamento d’attacco, potrebbe eliminarlo in tre giorni, diciamo.

No, non sono per nulla d’accordo con quello che stai dicendo.
Perché una condizione di difesa non è quella che subisce passivamente, ma è quella che comprende il karma e quindi lo accetta.

D – Ma se lo accetta il karma svanisce, perché ha compreso!

No, affatto: se è un karma che deve subire per cause smosse in vite precedenti e non può essere per questo deflesso in alcun modo, allora ecco che può soltanto accettare quello che succede. 
Può viverlo diversamente interiormente, quello sì: non ha più il peso della sofferenza che avrebbe se combattesse contro questo karma, perché ricordatevi sempre che chi combatte contro qualche cosa soffre di più di chi, invece, cerca di adeguarsi alla situazione che sta vivendo.

D – Si, è anche vero questo: perché una persona che nasce con un karma negativo, una malattia congenita o qualcosa, vive peggio di uno che è sano e che, magari, ha altri problemi. Forse è questo il discorso che hai detto tu?

No, io direi il contrario esattamente. 

D – Cioè, nel momento che tu accetti – come dici tu – ti poni in una posizione non di attacco, di contrasto, ma di accettazione, di difesa, forse….

Magari se è una malattia e tu l’accetti, forse riesci a vivere più tranquillamente di uno che sta bene e non accetta il fatto di non poter avere un maglione rosso, per esempio. La nostra amica G. – che sta intervenendo adesso – molta causa della sua sofferenza se la crea proprio con il suo essere (come ha detto Michel, se non vado errato) un “carabiniere”. 

D – Volevo chiederti proprio questo, perché ne abbiamo discusso un po’. L. pensa che una persona che ha accettato una situazione difficile senza liberarsene subito, dopo è colpa sua se avrà dei frutti negativi.
In questo caso, ad esempio, io ho trascinato avanti nella mia vita un matrimonio che mi ha portato sempre più problemi, mentre invece se semplicemente me ne fossi liberata trent’anni fa adesso sarei pacificamente felice.
E’ questo il tipo di discussione su cui lui, forse, ha basato la sua domanda. Mentre tu dicevi – se non ho interpretato male – che se era un karma che doveva durate trent’anni, è stato necessario viverlo. Cioè non è così semplice e dire: “bastava buttarlo via il primo giorno e tu eri libera dal karma”.

Punto primo: se non l’hai buttato via il primo giorno è perché non potevi buttarlo via.
Punto secondo: se non l’hai buttato via negli anni successivi è perché non avevi un sentire tale da permetterti di buttarlo via.
Non potevi che comportarti come ti sei comportata.
L’unica cosa che potevi fare era cambiare il tuo modo di vivere interiormente ciò che vivevi, forse provocando anche meno problemi intorno a te.

D – Certo, però sempre considerando che la famosa “colpa” di cui caricarsi, uno deve anche dire: “il mio limite è arrivato fino a lì. Devo analizzare se ho fatto con una certa coscienza quello che ho fatto, o se l’ho fatto con superficialità”: però se il mio limite mi ha portato al mio massimo che è stato questo …

La colpa, creature, lasciamola stare! Non esiste alcuna colpa per l’individuo – lo ripeto ancora una volta – ma esiste soltanto l’ignoranza di ciò che l’individuo deve ancora arrivare a comprendere.

Non potete mai dare una colpa a ciò che fate o che avete fatto, ma partite invece dalla posizione che ciò che avete fatto non era giusto e che, quindi, dovrete riuscire a comportarvi in modo diverso; ma non sentitevi in colpa se non riuscite a farlo.
Siate consapevoli di non riuscirci, ma non martirizzatevi, non frustratevi se non riuscite a fare ciò che pensate possa essere giusto, sempre supponendo che pensiate il giusto!

D – E’ sempre giusto.

No.. 

D – Il massimo, parlo. Cioè, se uno è “dieci” e riesce a fare “dieci” e non si risparmia niente di questo “dieci” che sta nelle sue possibilità?

Ma sei sicuro, creatura – quanto poco hai compreso finora! – sei sicuro che il tuo fare sia il “dieci”? Come fai a sapere quant’è il tuo fare, quant’e la tua possibilità di fare, quant’è il tuo sentire?

D – Se no farei di più!

E come fai a sapere di non poter fare di più? 

D – Perché se no lo farei, lo manifesterei.

Non è vero. 

D – E’ come dire se la bottiglia è mezza piena o mezza vuota, forse…

Non è detto: ma sono anni che noi andiamo dicendo che nessuno di voi manifesta il sentire che in realtà possiede sempre e comunque! Quindi non puoi dire “non lo faccio perché evidentemente non sono in grado di farlo”. Non vi è nulla che non siate in grado di fare!

D – Ho capito. Il mio modo di pensare porta ad una cristallizzazione?

Senza dubbio. 

D – Ecco perché non viene spiegato in questo modo. Ho capito.

Non viene spiegato in quel modo perché è sbagliato, semplicemente. E dopo aver distribuito bastonate a destra e sinistra, (tra le parole, in mezzo alle parole, sopra le parole, sotto le parole) ritorniamo un attimo all’amico T., alle psicosomatizzazioni e a quel piccolo pezzetto controverso. 

Perché non tutto è psicosomatico, ma soltanto il 90 o 95 o 99%? Dov’è la parte non psicosomatica di quello che vi accade se – come dicevo prima, o altre volte – ogni reazione fisica che voi avete in realtà ha sempre una sua base psicosomatica?
Qualsiasi malattia che voi possiate pensare, persino il fatto che voi ci vediate bene o meno? Allora, perché non ho detto subito il 100%?

D – Forse quelle malattie congenite, cioè che ci sono fin dalla nascita …
D – Karmiche allora.
D – Quelle non si possono considerare psicosomatiche, cioè malattie che l’individuo si causa con dei modi errati di pensare…
D – Psicosomatismi non saranno gli incidenti reali: cioè se uno si taglia una gamba non è psicosomatico.

Bisogna vedere cosa ha fatto per arrivare a tagliarsi la gamba! 

D – E quindi diventa anche quello…

Psicosomatico non è soltanto una malattia che nasce sotto la spinta della psiche influenzando il corpo fisico nell’insorgenza di una malattia, ma è anche la spinta che riceve l’individuo nel mettersi in una situazione per star male.

D – Anche un incidente di macchina, ad esempio?

Potrebbe aver avuto un impulso suicida. 
Pensateci. A chi è riferito il termine psicosomatismo? No. non rispondete ora, creature. Divertitevi per la prossima volta. 
Serenità a voi.  Scifo


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10 commenti su “Meccanismi di difesa e d’attacco relativi al karma [IF5]”

  1. Una discussione con le guide molto interessante. In effeti ero caduto anch’io nell’errore di credere che il sentire che si manifesta è sempre il sentire massimo sentito dall’individuo. Anzi, devo dire che ancora non l’ho compreso bene. C’è qualcosa che non mi quadra. Ma forse dipende dal fatto che io baso i miei ragionamenti sugli insegnamenti del Cerchio Firenze 77. O forse ho compreso male.
    Questa cosa viene affrontata anche in altri brani? Ho bisogno di approfondirla.
    Grazie mille!

    Rispondi
    • Sinceramente non mi sembra che al CF77 abbiano mai detto che l’incarnato esprime sempre la totalità del suo sentire…
      Quanto affermato dalle nostre Guide ha una base, secondo me, strettamente logica:
      L’incarnato è sottoposto a vincoli ben precisi nel corso della sua vita:
      – i suoi bisogni di comprensione di elementi che possono essere sperimentati nel corso di quell’esistenza
      – i vincoli karmici che ne possono stabilire le priorità
      – la strutturazione dei corpi transitori dell’individuo, calibrati sulla possibilità di acquisire comprensione in alcune direzioni mentre altre possibilità restano in attesa di condizioni più favorevoli al completamento di quelle parti di sentire. La stessa struttura dei corpi inferiori favorisce l’espressione di alcune parti del sentire mentre altre parti non hanno, in quella vita, gli strumenti interiori per poterle esprimere compiutamente.
      D’altra parte ogni comprensione è collegata a molte altre e per raggiungere un sentire completamente esprimibile nella maniera giusta è necessario che tutte le sue componenti raggiungano il completamento della comprensione in un determinato settore, così spesso l’espressione del sentire diventa parziale e può portare a errori di espressione.
      La cosa è certamente complessa ma, a mio avviso, il tutto dà una spiegazione estremamente logica e razionale del processo evolutivo dell’individuo.
      Spero di essere stato chiaro e abbastanza esauriente (nei miei limiti di comprensione!), comunque se hai bisogno di altri elementi chiedi pure senza problemi.

      Rispondi
      • Scusa se a distanza di tempo ti chiedo dei chiarimenti. Ho riletto la tua domanda e la spiegazione delle guide. A me pare che ci sia una contraddizione in quello che hanno detto, ma evidentemente ho compreso male io. Le guide prima hanno detto: “Non potevi che comportarti come ti sei comportata” e qua sono d’accordo, perchè a questo ci ero già arrivato per conto mio sulla base di quello che ho capito dalle guide del CF77. Ma poi successivamente, le guide del Cerchio Ifior hanno detto: “nessuno di voi manifesta il sentire che in realtà possiede sempre e comunque!”. A me pare una contraddizione con quello affermato prima. Se io mi comporto in un certo modo e faccio determinate scelte, evidentemente il mio sentire era tale che non mi ha impedito di fare altrimenti, cioè meglio intendo, e quindi si va al concetto del manifestare il tuo sentire massimo (massimo inteso come il suo massimo personale.
        Per usare un esempio delle guide del CF77 (scusatemi, ma io ho studiato quello), se un tale ha la coscienza/sentire del non uccidere, non ci sarà mai nessun evento o spinta esterna che lo porterà ad uccidere un suo simile, in quanto il suo sentire glielo impedirà. O forse le guide del Cerchio Ifior intendevano qualcos’altro?
        Grazie per la tua risposta!

        Rispondi
        • Forse la frase “Non potevi che comportarti come ti sei comportata” ha bisogno di venir compresa meglio: certamente il sentire raggiunto può avere una grande influenza sul comportamento dell’individuo incarnato, tuttavia è sottoposto a delle limitazioni della sua espressione sul piano fisico, come abbiamo visto in precedenza, soprattutto legate alle incomprensioni non ancora risolte o alle situazioni karmiche e, quindi, ai bisogni di sperimentare per aggiungere elementi di comprensione alla comprensione dell’individuo al fine di permettere l’ampliamento del suo sentire.
          Questo, ovviamente, fa sì che la totalità di espressione del sentire reale dell’incarnato non sempre possa venire espressa completamente… e, se non ricordo male, questo è un concetto espresso anche in seno al CF77.
          Non sapei cos’altro aggiungere, comunque resto a tua disposizione.

          Rispondi
        • Mi permetto d’intervenire…
          Se ciascuno di noi, nella incarnazione in corso, esprimesse sempre il sentire conseguito, non muoveremmo mai una sola causa karmica.
          Si muove infatti karma quando l’intenzione-azione è più limitata rispetto al sentire conseguito: potevamo fare meglio e non l’abbiamo fatto.
          Perché non abbiamo fatto meglio pur potendolo?
          Ed è vero che potevamo fare meglio?
          Credo che per poter rispondere a queste domande bisogna riflettere sulla natura delle comprensioni.
          Da quel che ho compreso, esse non sono delle unità singole, ma degli aggregati: la comprensione A non è un monolite, quando è completata è fatto.
          Essa è composta dalle sotto comprensioni a1, a2, a3, a4, ecc., cioè è un insieme di sfumature.
          Accade allora che io posso essere a un punto avanzato nella strutturazione della comprensione A, e aver sufficienti dati riguardanti le varie sfumature – tali da rendermi responsabile della mia scelta, quindi in condizione di muovere karma – ma di non aver ancora portato a termine la complessità unitaria della comprensione A – in quanto alcune sfumature risultano ancora incomplete – di conseguenza posso muovere una intenzione-azione più limitata del mio potenziale.
          Ecco che, nel momento di una scelta, io avrei potuto fare meglio, ma non l’ho fatto perché, non essendo ancora giunta a compimento la comprensione relativa, ho lasciato che interferisse l’ambiente esterno, o la morale, la religione o qualche avviluppo nei miei corpi e nella interpretazione di me..
          Il karma che muovo sostanzialmente vuole dirmi: puoi scegliere sulla base del già compreso, quella è la strada, affinala, approfondiscila, sviluppa ulteriori coerenze e consequenzialità, non lasciarti condizionare da ciò che non è nel sentire che ti costituisce, vai oltre ciò che in te oppone resistenza, ciò che ti confonde e ti disorienta, ancorati a ciò che senti e che realmente sei.

          Rispondi
  2. Per comprendere le sottigliezze proposte da Scifo dovrei leggere con più attenzione su cartaceo. Mi sembrava di aver chiaro, ma vedo di no.

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  3. Più ci si inoltra nella lettura del CI e più le questioni si fanno sottili. Ammetto che ci sfumature che per ora faccio fatica a comprendere, se non con la mente, con l’essere nel suo insieme. Insomma, devono maturare lentamente. Detto ciò, rimangono dei punti essenziali che risuonano chiaramente. Tutti abbiamo il nostro karma da cui non ci si può se non difendere e che forse rappresenta la struttura della nostra incarnazione, ovvero il motivo di comprensione primaria della nostra esistenza, rispetto al quale le altre comprensioni possibili sono come degli affluenti: co-partecipano alla comprensione principale. Forse è per questo motivo che non possono estinguesi le condizioni che rendono possibile quel karma “portate”, perché verrebbe meno lo scopo incarnativo e dunque l’esistenza stessa. Grazie.

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  4. Ogni volta che si parla di Karma, mi pare di comprenderne alcuni aspetti. In questo post pero’, una lettura non e’ sufficiente e neanche forse, ho io gli strumenti sufficienti per capirne i tanti passaggi. Visto che si parla di difesa e di attacco, dico che non mi arrendo, confido che prima o poi qualcosa si illumini.

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  5. Difficile cogliere tutte le sfumature enunciate. E’ però chiaro come anche il karma non è così fisso e amovibile: una parte può essere modificata e quindi ognuno ha il dovere di “attaccare” quella parte che ha possibilità di modifica. Una parte è invece non modificabile perchè conseguenza di di vite precedenti (qui invece entrano in gioco i meccanismi di difesa). Ma anche in questo caso è dovere di ognuno sforzarsi nella comprensione: in questo modo pur non avendo come risultato il cambiamento del dato oggettivo, si avrà il cambiamento della percezione del dato. In quest’ottica si può dire che la capacità di trasformazione è ciò a cui l’individuo viene chiamato nel suo cammino esistenziale.

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  6. Indicazioni preziose, insegnamenti fondamentali dai quali si coglie che tutto è estremamente interconnesso e in rapporto. Come a sottolineare che in natura non esiste separazione… Grazie

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