Meditazione e conoscenza di sé tra occidente e oriente [sf4]

Le strade per lavorare su se stessi e, quindi, per conoscere se stessi, sono multiformi. Molte dipendono dall’ambiente sociale in cui l’individuo è inserito in quanto sfruttano quegli insegnamenti e quelle istanze che la società di appartenenza infonde in ogni individuo che in essa conduce la propria esistenza.

Ecco, così, che in Occidente la conoscenza di se stessi è principalmente basata su quella che viene definita “psicologia del profondo”, ovvero su tutti i movimenti interiori inconsci che muovono e indirizzano l’individuo nelle azioni, nelle sensazioni, nelle esperienze che si trova a dover affrontare. Rodolfo

Diversa è la situazione, invece, in Oriente, specialmente se l’Oriente viene osservato dall’Occidente, come voi ovviamente fate. Apparentemente, in Oriente la via per conoscere se stessi viene indicata essere quella della meditazione. La meditazione, uno strumento forse usato e compreso molte volte impropriamente. Baba

Se voi, pensate al “conoscere se stessi”, se pensaste a questa frase alla luce dell’Insegnamento, potrebbe venirvi una curiosa ipotesi alla mente: perché l’Insegnamento recita “conosci te stesso” e non “comprendi te stesso”? Ci avete mai pensato?

Apparentemente, secondo l’Insegnamento, sarebbe molto più giusto e più logico, più ovvio dirvi di “comprendere voi stessi”,  più che di “conoscere voi stessi”.

Vedete, noi, quando vi veniamo a parlare, parliamo a individui incarnati sul piano fisico, quindi immersi nel mondo del divenire, immersi nella materia, individui che possiedono un Io, il quale – in qualche maniera – è un po’ l’ago della bilancia di tutta la sua esistenza. Ora, “comprendere se stessi” significa raggiungere una comprensione, ma la comprensione è qualche cosa che è al di là dell’Io, non è l’Io che comprende, è il corpo della coscienza, è il (per ritornare al discorso degli orientali, che prima è stato accennato).

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Quindi, il fatto che noi vi abbiamo detto, nel tempo, (e altri prima di noi) “conoscete voi stessi” e non “comprendete voi stessi” deve avere un significato di qualche tipo. Il significato, in realtà, è abbastanza evidente: poiché la “comprensione” non appartiene all’Io dell’individuo, ma alla sua coscienza, al suo Sé, è ovvio che noi, parlando con voi incarnati, dobbiamo indurvi ad affrontare quella prima fase dell’evoluzione interiore che è la conoscenza di voi stessi. Certamente, la conoscenza di voi stessi è quella che potete operare nel momento in cui siete incarnati sul piano fisico. Scifo

Il concetto di meditazione è stato più volte nel tempo mal compreso anche nei posti laddove esso è venuto a situarsi come concezione filosofica. Infatti, è attualmente recepito come un porsi in una posizione tale grazie alla quale il proprio Sé riesce a osservare, e quindi a comprendere, quella che è la realtà dell’individuo, che parte dal piano fisico fino al Sé stesso.

Questa può essere teoricamente anche una cosa giusta, ma è “il modo” della meditazione che non viene compreso, specialmente in Occidente; e, d’altra parte, in gran parte neppure in Oriente. Infatti, chi – per lavorare su se stesso, per conoscere se stesso – cerca di usare la meditazione, commette quasi sempre degli errori molto importanti, indicativi di quanto la meditazione non sia stata compresa e non venga usata nella maniera giusta.

Fare meditazione non significa riuscire a mettersi al di fuori di se stessi, svincolati da ciò che si è, ma poiché è qualche cosa che viene messo in atto dalla volontà dell’individuo incarnato attraverso i suoi corpi inferiori, è – comunque sia – strettamente legato a quello che è l’Io dell’individuo.

Non è il corpo akasico che medita, non è la coscienza dell’individuo che medita, non è il Sé, la Scintilla (o come volete dire) che medita sull’individuo stesso, ma è la porzione del suo Io che cerca di arrivare a comprendere. Questo significa che molto spesso vi è l’errore, in chi cerca di fare la meditazione, di partire dal punto di vista di meditare per ottenere qualche cosa.

Meditare per ottenere qualche cosa, qualsiasi tecnica l’individuo usi, sottintende che vi è uno scopo egoistico per avere qualche cosa. Ovviamente, la vera comprensione non è possibile che abbia delle sfumature egoistiche; il Sé non potrà mai essere egoistico, anche nei momenti in cui la sua comprensione è tale da indurre la sua più lontana propaggine incarnata sul piano fisico a commettere degli errori; perché, nel momento in cui commetterà l’errore, non sarà per egoismo ma sarà per mancanza di comprensione. Baba

D’altra parte, osservare invece se stessi alla maniera occidentale, porta in fondo in sé gli stessi errori di base. Quando l’individuo cerca di fare analisi – analisi in senso occidentale – che cosa fa? Osserva le proprie azioni, cerca di elaborare delle risposte, cerca di agganciare i vari elementi che costituiscono causa del dissidio interiore e, quindi, di arrivare a dipanare il problema che si è andato via via presentando.

Però non dimentichiamo che lo fa, comunque sia, all’interno del piano fisico; e, poiché lo fa all’interno del piano fisico, chi è che osserva se stesso (non per scopi altruistici, ovviamente, ma per evitare la sofferenza)? Non può essere altri, alla fin fine, che l’Io; quindi, anche in occidente, allorché l’individuo cerca di osservare se stesso, di lavorare su se stesso, di conoscere se stesso lo fa, comunque sia, dal punto di vista dell’Io. 

Allora voi vi chiederete: “Ma è sbagliato fare tutto questo? A cosa serve? Com’è che posso veramente ottenere questa conoscenza che porta al superamento, poi, dei propri limiti, dei propri problemi?”. Quello che si può fare – in Oriente, in Occidente, e magari anche sulla Luna, se poteste esserci – è di usare il vostro Io in maniera tale che diventi un semplice osservatore.

Quando noi vi diciamo “Mettete da parte voi stessi e osservatevi in quello che fate”, solitamente, spinti dal vostro bisogno di sentirvi importanti (questo, sia in Occidente che in Oriente) tendete a interpretare le nostre parole come un tentativo d’indurvi a osservare voi stessi dal corpo akasico, dalla vostra coscienza.

Beh, questa, creature, è una stupidaggine; perché il corpo akasico non ha bisogno che “voi” lo induciate a osservarvi; il corpo akasico, comunque sia, è strutturato in maniera tale che fa parte della sua natura osservare tutto ciò che accade alle altre parti di sé.

Quello che voi potete fare – ritornando a questo punto, che è l’importante, nel “lavorare su se stessi” – è di fare in maniera che, pur osservando se stessi attraverso la mediazione dell’Io e quindi in maniera in fondo sempre e comunque soggettiva, fare in modo, dicevo, che questo Io non emetta dei giudizi su se stesso ma, semplicemente, si presti a essere il punto di passaggio delle informazioni che arrivano.

In questa maniera, osservando se stessi senza lasciare che le emozioni sconvolgano più che tanto le vibrazioni interiori, senza lasciare che i pensieri galoppino sfrenatamente in maniera tale da confondere le idee e cercare continuamente giustificazioni su giustificazioni a quello che l’individuo fa, tutto questo permette al corpo akasico di ricevere delle informazioni più lineari, più semplici, più comprensibili, più decodificabili e, quindi, tali da poter più facilmente essere inserite nell’insieme della comprensione, fornendogli la capacità di mettere assieme i granelli di sentire che qua e là va raccogliendo nel corso della sua esistenza. 

Dal ciclo Sfumature di sentire 2002-2007

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