Il complesso edipico dal punto di vista dei genitori [IF12]

Nella bellissima discussione di oggi siete riusciti in breve tempo a confondermi le idee, distruggendo la mia conoscenza del complesso edipico, arrivando persino a mettere in dubbio ciò che posso aver compreso di quello che è il corpo akasico.

Scherzi a parte, vediamo un attimo di radunare le idee, cercando magari di portare ancora qualche elemento nuovo su questo discorso che, come avevo già detto, non terminerà questa sera, ma riprenderà poi al prossimo ciclo.
Allora, che cosa ha detto Scifo di essenziale?

Il complesso edipico non è necessario, indispensabile all’evoluzione dell’individuo.
Il complesso edipico non è da osservare – allorché esiste – nell’ottica prospettata dalle correnti freudiane; ovvero l’ottica sessuale è priva di una vera consistenza per quanto riguarda lo sviluppo di questo complesso edipico e, in particolare, l’idea della competizione, non soltanto non ha molta consistenza, ma, secondo il mio pensiero, non ha proprio assolutamente nessun fondamento.

E forse questo non lo avevate capito abbastanza; o sbaglio? Forse pensavate che, tutto sommato, la competizione continuasse ad entrarci, in qualche modo, no? Invece, assolutamente, secondo me, la competizione non c’entra in alcun modo.
Qualcuno ha tirato in ballo il discorso dei figli “mammoni”. Allora, vediamo – sulla scorta di quest’esempio – come posso spiegare quel tipo di problematica.

Vorrei dire una cosa prima di andare avanti: quanto ho detto a proposito del complesso edipico, è necessariamente stato detto in chiave generale; in modo tale che ciò possa essere applicato, come base, come sfondo, a tutti i casi in cui questo fantomatico complesso si può evidenziare.
Naturalmente, poi, le modalità di estrinsecazione sono variabilissime da un individuo all’altro, a seconda delle condizioni in cui si esplica, secondo l’evoluzione dell’individuo complessato, a seconda dei genitori che si trova o che non si trova, a seconda dell’ambiente sociale in cui si viene a estrinsecare questo complesso e quindi non si può più, oltre un certo punto, andare oltre alla generalizzazione, ma bisognerebbe, allora, proprio, parlare caso per caso. D’accordo? 

E allora parliamo del caso del figlio “mammone”; la mia interpretazione, in questo caso è la seguente: il bimbo, come abbiamo visto, cerca di prendere dai genitori ciò che egli ritiene buono, giusto e utile (per se stesso, naturalmente).

Allorché si trova in una situazione di disequilibrio familiare – e nella vostra società solitamente questo porta ad un rapporto privilegiato del figlio nei confronti della madre – il figlio che cerca di prendere qualcosa, perché ne ha necessità, da entrambi i genitori, si trova a dover prendere quasi tutto dalla madre.
Si trova, quindi, a introiettare dalla madre quelle che sono le principali emozioni che essa emana. Nel far questo (specialmente arrivato ad una età non più di tre anni, ma più avanti) si rende conto del fatto che ciò che avverte dalla madre (che spesso poi essa proietta sul figlio, dando luogo ad un attaccamento particolare) deriva da ciò che egli percepisce come mancanza da parte della figura paterna. Fin qua siamo d’accordo e non ci spostiamo neanche poi molto dalla concezione freudiana.

Dov’è che ci discostiamo? Ci discostiamo dall’idea di competizione nei confronti del padre e dall’idea inconscia di tendenza sessuale nei confronti della madre.

In realtà il figlio reagisce attaccandosi molto alla madre (diventando, come avete detto voi, “mammone”) proprio per il fatto che ha preso tutti questi elementi dalla madre e, siccome in questi elementi è compresa anche la mancanza del padre e i problemi che la figura paterna deficitaria ha fatto nascere nell’altro genitore, il figlio non entra in competizione col padre, ma si comporta in modo tale da cercare di dare alla madre ciò di cui egli sente che essa ha bisogno, non avvertendo la giusta presenza da parte del padre.

Non è più, quindi, una competizione – quindi qualcosa di negativo, in un certo senso – nei confronti del padre; anche se poi possono esserci certamente dei sentimenti di rancore o di rivalità nei confronti del genitore deficitario, questo è inevitabile! – ma invece è, più che altro, un tentativo di dare alla madre ciò che egli pensa che non abbia avuto dall’altro genitore. 

Riuscite a vedere la differenza, l’importanza da dare a questo discorso? E questo – badate bene – al di là del comportamento reale della madre nei suoi confronti.
Voi avete parlato di madri che si attaccano molto a questi figli “mammoni”; molte volte invece non è neanche così; molte volte la madre si comporta normalmente nei confronti del figlio, non è neanche particolarmente attaccata al figlio; è il figlio che continua ad essere attaccato, in modo particolare, alla madre, perché si identifica con lei, avendo preso da lei molte parti e, quindi cerca in qualche modo di compensare in se stesso dando a lei ciò che sente mancare in tutti e due, alla fin fine. D’accordo?

Poi ci sono altre cose a cui non avete pensato. Qualcuno tra voi ha parlato di animali a proposito dei ruoli (se non vado errato), dicendo che tutto sommato poi, guardandosi attorno, negli animali c’è la distinzione del ruolo maschile dal ruolo femminile, quindi… “Che sarà mai! In fondo, l’uomo è un animale!”.
Il succo era questo, no? Potrebbe anche essere vero, se nell’uomo non esistesse anche un corpo akasico! Certamente, finché l’individuo viene considerato soltanto nella sua componente fisica, astrale e mentale, non vi è poi nulla di così importante da essere necessario trovare un’unione alla fin fine!

Ma allorché entra in gioco la coscienza, il “sentire”, l’individuo si rende conto della sua frammentarietà e necessariamente cerca, deve cercare di diventare completo. Ecco, quindi, che questa frammentarietà, questa divisione dei ruoli, deve prendere un significato diverso, anche se non necessariamente i ruoli devono essere annullati. 

E’ qua, forse, che non avete ben compreso. Io non ho affermato che i ruoli devono essere annullati; ho affermato che vi deve essere equilibrio, che l’individuo deve riuscire ad accomunare in se stesso tutti i ruoli, in modo tale da poter essere unito e non più scisso!
È diverso il discorso. Anche perché, senza dubbio, un ruolo dell’essere femminile può essere quello di dar alla luce un figlio;  questo non può essere un ruolo assunto da un individuo maschile. Quindi i ruoli devono esistere, ma certamente, l’insieme del dar vita a un figlio è fatto da un ruolo sia maschile sia femminile, che, nella loro componente di “sentire”, hanno le stesse radici, devono avere le stesse radici; ed è a questo punto, a livello di “sentire”, che l’individuo deve trovare la propria unità con gli altri.

Quando l’individuo trova l’unità con gli altri, all’interno del corpo akasico, del proprio “sentire”, l’esistenza di un ruolo all’interno del piano fisico non ha nessuna importanza, in realtà, perché è un comportamento che l’individuo tiene perché è necessario; non è più un ruolo imposto dalla società, ma un ruolo sentito. È qua la sfumatura che dà un aspetto completamente diverso a tutto il discorso del ruolo, mi sembra.

Chiarito questo piccolo – e neanche tanto piccolo! – punto, ritorniamo un attimo al bambino, in quanto, come qualcuno ha osservato, noi abbiamo parlato di complesso edipico riferendoci al bambino, ma il complesso edipico coinvolge più attori nel complesso, quindi in realtà potrebbe essere osservato da vari punti di vista, quanto meno sia dal punto di vista del bambino che dal punto di vista dei genitori, e – perché no? – degli eventuali fratelli.
Fra l’altro, ai fratelli non ha pensato assolutamente nessuno; e di questo parleremo poi, a partire dal prossimo ciclo; quindi pensateci durante l’estate.

D –  Noi abbiamo sempre detto “figlio”, (in generale), che si attacca alla madre perché è quella più presente, ma quando questo figlio è invece un essere femminile, cioè una figlia, perché succede che si attacca al genitore assente?

Voi, intanto, avete parlato sempre di “figlio” e di “madre”, mentre, in realtà, il complesso edipico non è così limitato; non si tratta sempre di figlio, ma può essere una figlia; non si tratta sempre di madre, ma può essere un padre e può avere tutte le combinazioni possibili.

D –  Non c’è allora l’incrocio dei sessi, cioè il figlio maschio con la madre e la figlia femmina con il padre?

Certo che c’è, però quest’incrocio non è un incrocio naturale, ma un incrocio obbligato dalle condizioni societarie, dai condizionamenti della società, dal modo in cui la società posiziona le varie figure all’interno della famiglia.
Certo che se la società impone, in qualche modo, alla madre di essere lei la principale figura all’interno della famiglia nei confronti del figlio, inevitabilmente il figlio proietterà verso la madre; tanto è vero che spesso anche la figlia in realtà proietta verso la madre.

D –  Scusami, non capisco cosa intendi con “proietta”. Io volevo dire che si affeziona, ma si affeziona al padre, cioè all’assente.

Non è detto.

D –  Non è detto, ma può capitare anche così.

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Può capitare anche così. Ma allora bisognerebbe guardare caso per caso. Pensate che molte volte quello che sembra un affetto nei confronti di uno dei genitori, in realtà sono sensi di colpa nei confronti del genitore; in realtà può mascherare un rancore, un odio nei confronti del genitore, non un affetto.

L’amore eccessivo molte volte è una maschera proprio per il fatto di essere eccessivo e quindi non equilibrato; è, quindi, in qualche modo una manifestazione esteriore, per far vedere qualche cosa di diverso da quello che è interiormente. Ma qua si entra nel caso dei “potrebbe essere”, lo dicevate oggi e allora diventa veramente difficile poter parlare in modo coerente e valido per una comprensione del problema.

Avete dimenticato nelle vostre considerazioni (o toccato soltanto leggermente) il fatto che il bambino non è totalmente costituito fin dalla nascita, ma che per il primo periodo di tempo è principalmente costituito da impulsi astrali (e, quindi, emozioni e desideri), poi da impulsi mentali (,e quindi, emozioni e desideri più pensieri) e soltanto poi, molto più tardi, da un inizio di “sentire” che incomincia in qualche modo a far capolino all’interno dell’individualità. Ora, forse, varrebbe la pena di esaminare un attimo l’evoluzione di questo fantomatico complesso edipico, all’interno delle dinamiche degli altri corpi dell’individuo.

Certamente non avete ben precisato una frase che io ho detto, ovvero quando parlavo del bimbo che cerca di prendere dai genitori ciò che ritiene meglio, più giusto, e, forse, questo può dare la chiave di lettura per osservare da questa angolazione.
Infatti nel corso dei primi anni di vita, il bambino cerca di prendere dai genitori ciò che ritiene meglio per se stesso; ma per se stesso chi?

Per se stesso come “Io”, certamente; no? Non può essere altro che qualcosa che gratifica il suo corpo astrale; quindi senza dubbio verrà attratto e cercherà di emulare in qualche modo il genitore che appaga i suoi desideri, che gli dà piacere fisicamente, che lo coccola, che lo vezzeggia e via e via e via.
Soltanto allorché il corpo mentale comincerà a diventare più preponderante, soltanto allora il bambino cercherà di prendere dai genitori quello che appaga il suo corpo mentale, ovvero la capacità di pensare, gli interessi, le attività mentali; e soltanto dopo, quando ci sarà il corpo akasico più in funzione, più allacciato, più pronto a mettere in atto il proprio sentire, il ragazzo incomincerà a fare una cernita tra le cose che avrà preso e sarà qua il punto difficile poi da superare (qui parla del periodo che coincide con la fine dell’adolescenza, ndr).

Ecco perché, in realtà, è stato constatato che questo complesso si presenta in due fasi distinte: vi è una fase di acquisizione degli elementi e poi una fase di discussione, di cernita di questi elementi.

Ora, qualcuno insisteva sul fatto che il bambino non può fare altro che attaccarsi alla madre, in quanto è nell’utero della madre che ha vissuto, in quanto è dal seno della madre che ha tratto nutrimento. E questo mi ha meravigliato. Mi ha meravigliato perché si dà una facoltà di discernimento al bambino, quando non la possiede ancora.

Il bambino, all’interno dell’utero, certamente ha condiviso con la madre una parte della propria vita, però non ha attribuito alla sua protezione una individualità, non ha mai potuto rendersi conto del fatto che l’utero che lo ha ospitato è quello della madre; quindi il suo presunto attaccamento alla madre, a proposito di questo elemento, non ha alcun fondamento, alcuna logica.

Allo stesso modo, il bambino che viene allattato, certamente, proietta qualcosa su ciò che vede, ovvero il seno, ma, come la stessa vostra psicologia ha dimostrato, il bambino al seno non associa mai in realtà un viso, una faccia, una identità.
È colei che lo sta alimentando che, quindi, attrae la sua attenzione, dà soddisfazione e piacere al suo corpo astrale, sempre; all’inizio questa figura che lo soddisfa non è altro che un seno che appaga i suoi bisogni nutritivi.

D –  Beh, dato che però il bambino è soprattutto astrale, è il piacere che lui cerca; infatti nell’utero materno si sente protetto e questo gli dà piacere; si mette il dito in bocca e questo gli dà piacere; quando si attacca al seno, quello gli dà piacere; il latte della mamma tiepido e dolce gli dà piacere eccetera.
Sono piaceri che gli vengono da “quella cosa” da cui lui non si sente separato, tra l’altro. Almeno così dicono. Il mio discorso provocatorio, viene sempre dal riportare cose che dicono gli scienziati; e cioè dicono che il bambino è un oggetto solo con la madre, scopre il mondo attraverso la madre e insieme con la madre; e quindi è per quello che tutti questi piaceri certo lo spingono di più verso la fonte di questi piaceri, che è la madre.

No. Non lo portano verso la fonte di questo piacere, che è la madre, ma lo portano verso la fonte di questo piacere che è il seno, ad esempio, in quanto il bambino in realtà non identifica il seno con la madre.

D –  E poi, lui mica sa che il padre non ha l’utero!

D –  Ma che il padre non ha il seno lo sa senz’altro, però!

D –  No, potrebbe essere anche una mucca non una madre!

Li vedete voi Romolo e Remo avere il complesso edipico nei confronti della lupa?

D –  Però se mettiamo il padre e la madre vicino, io ho l’impressione che il bambino tende a succhiare quando guarda verso la madre e non quando guarda verso il padre!

D –  Guarda verso il seno e non verso la madre.

D –  Io non sono d’accordo: allora tutti i ragazzi che vengono allattati fin dalla nascita col biberon? A questo punto cade subito il discorso.

D –  Ma vengono allattati dalla mamma e con amore, o da chiunque altro, ma con amore. Tu prova a far nutrire il bambino da una macchina con il biberon e poi vedi se non ha dei problemi! C’è il famoso esperimento con la scimmia di fil di ferro e la scimmia col pelo: il bambino-scimmia va dalla mamma col pelo e senza latte e non va da quella di fil di ferro e con il latte. Attenzione.

Perché questo?

D –  Perché ha bisogno di calore, di tenerezza, di protezione, che la mamma gli dà.

Quindi non identifica la mamma, ma identifica la sensazione!

D –  Ah, certo. E’ astrale, come dicevamo. Certo.

Io vi posso dire che, per lo meno nel primo anno di vita del bambino, l’identificazione della realtà, da parte del bambino, avviene attraverso il tatto e attraverso, principalmente, l’olfatto.
Ed è per questo motivo – come diceva giustamente il nostro amico, prima – che se mettiamo madre e padre vicino al bambino, certamente il bambino quando avrà fame, per essere allattato, si rivolgerà verso la madre, in quanto identifica la fonte del suo piacere e quindi della sua sazietà, con l’odore tipico della madre e del latte del suo seno naturalmente, che – ahimè – il padre non ha.

D –  Scusa Scifo, ma oggi il 90% dei bambini vengono allattati artificialmente e può allattare sia il padre che la madre. Di conseguenza, cosa succede?

Non cambia nulla. Se l’allattamento verrà fatto ora dall’uno ora dall’altro, senza una preponderanza, per il bambino non cambierà assolutamente niente in questo tipo di discorso. Certamente se, invece, verrà fatto soltanto da uno dei due genitori, l’odore del latte, con l’odore del genitore, diventerà una costante che indirizzerà in qualche modo il corpo astrale del bambino per i suoi desideri.

D –  Ma se viene fatto alternativamente da uno o dall’altro, non si trova spiazzato? Cioè, Uno o l’altro per lui pari sono?

No, per niente. Ci sarà questa diversificazione delle sensazioni astrali, dovute alle percezioni fisiche, al tatto e all’olfatto che renderanno la sua percezione del mondo più completa tutto sommato, più complessa di quella di un altro bambino, in quanto contempla, quanto meno due odori, due concezioni tattili diverse, invece che una sola.

D –  Di conseguenza, migliore?

Più unita, meno scissa. Accadrà più difficilmente, in questo caso, che il bambino viva poi il padre come un intruso, allorché si presenterà alla sua consapevolezza, allorché i suoi sensi andranno aumentando, andranno affinandosi.


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5 commenti su “Il complesso edipico dal punto di vista dei genitori [IF12]”

  1. Si sta delineando una psicologia dello sviluppo interessante. Anche se il termine “psicologia” è improprio, perché rimanda ad una visone antropologica in cui la costituzione dell’io e della psiche sono centrali. D’altra, la novità introdotta in questa concezione dello sviluppo umano è proprio la nuova visione dell’umano stesso, in cui il ruolo centrale è dato allo sviluppo del corpo akasico, il quale non è affatto preso in considerazione dall’impostazione psicologica classica.
    Chissà forse un giorno queste visioni saranno comunemente accettate e forniranno le basi a tutte le scienze, creando i presupposti per una nuova società.
    Del resto nella storia non di rado si sono viste queste svolte.
    Grazie.

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  2. Importante sapere che il complesso edipico non è necessario per la evoluzione dell’individuo e che la spiegazione di Scifo su come avvengono i primi apprendimenti (tatto, olfatto) , sia la stessa che dà la psicologia dell’età evolutiva anche se non parla di corpo astrale.

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  3. E’ curioso il fatto che il bambino, già in tenera età, cerca di prendere dai genitori ciò che egli ritiene giusto e utile per se stesso.

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