‘Io sono così e non posso farci niente’ [sf11]

Non è possibile comprendere la Realtà se non si è compreso se stessi, perché all’interno di ogni individuo esiste quella Realtà (con la R maiuscola) che rende viva l’esistenza dell’intera emanazione. 

Non è possibile comprendere la Verità se non si è sinceri con se stessi perché, se non si è sinceri con se stessi, come si può riconoscere e trattenere al proprio interno quella che è la Verità? 

La Verità, quella più vera, non può contenere in delle illusioni e, quindi, non può contenere in sé delle non-verità; ecco quindi che, per poterla riconoscere nel modo migliore e, ancora di più, per poterla far penetrare al proprio interno, è necessario possedere la dote della sincerità.

Non è possibile aiutare gli altri se non si è riusciti ad aiutare se stessi. Certo, è possibile – sempre – fare qualcosa per gli altri, ma non è detto che ciò che si fa allorché non si è riusciti ad aiutare se stessi possa veramente aiutare gli altri. Rendetevi quindi conto che, per aiutare veramente gli altri, è necessario fino in fondo aver aiutato veramente se stessi.

Non è possibile comprendere la vita se la vita non viene vissuta, perché soltanto attraverso il cammino lungo i sentieri tracciati da quella grande “maestra” che è l’esistenza è possibile arrivare, un poco alla volta, a soddisfare tutte le condizioni cui prima ho accennato, ovvero aiutare gli altri, comprendere se stessi, essere sinceri con se stessi e, alla fine, comprendere la Realtà. Moti

Ozh-en si guardava allo specchio da un po’ di tempo e notava, con un certo disappunto, sul suo viso e sul suo corpo i segni della vecchiaia: il viso era un po’ gonfio, i chili stavano aumentando a vista d’occhio, e questo non lo rendeva certamente soddisfatto. Più il tempo passava, più si vedeva grasso e sformato. 

Una mattina, guardandosi ancora una volta nello specchio, si fissò negli occhi e disse: “Basta, devo fare qualcosa per rimediare tutto questo!” e, spinto da questo desiderio, agì. 

Il giorno dopo, Ozh-en – come al solito – si alzò e si guardò allo specchio; quello che vide lo rese soddisfatto: il suo viso era dimagrito, il suo corpo anche; e, con questo nuovo aspetto che possedeva, sembrava anche essere ringiovanito!

Tutto contento del suo nuovo specchio concavo, continuò la sua giornata. Ananda

Figlio e fratello, tu che attraversi i percorsi della vita e ti trovi in balia dell’esistenza – o, almeno, tu percepisci la tua condizione come tale – quante volte ti sento affermare cose che sono prive di senso!

Tu dici: “Io sono così.”
Come puoi dire, figlio e fratello, “Io sono così” se, in realtà, non ti sei mai osservato veramente con attenzione?!

E il fatto di “essere così”, comunque, non giustifica il fatto che tu non cerchi di essere diverso, che tu non ti rimbocchi le maniche per costruire attivamente un te stesso nuovo e migliore di quello che avevi eventualmente riconosciuto.

E continui ancora: “Io sono così e non ci posso fare niente”.
Ah, figlio e fratello, non è possibile che esista qualche cosa su cui non si possa fare niente!

Se tu dici ciò credendolo, significa che non hai compreso nulla della Realtà e del tuo essere immerso nella materia; nulla di quanto ti si presenta non è in qualche maniera da te gestibile, non soltanto quando si tratta di condizioni interiori ma anche quando si tratta di avvenimenti esterni che, apparentemente, sembrano sfuggire alla tua capacità di reazione e di azione, alla tua capacità di modificare la vita che stai vivendo. 

Forse tu, figlio e fratello, ti fermi a osservare semplicemente l’elemento esterno, che da te sembra non dipendere, ma ricorda che tutto ciò che vivi lo vivi perché ti deve insegnare qualche cosa e, dall’esterno, si proietta al tuo interno per fornire elementi alla tua comprensione.

Ecco, così, che anche l’avvenimento più luttuoso che ti può capitare, può essere in realtà modificato in qualche maniera dal tuo intervento, quantomeno nella maniera in cui vivere e osservare quello che stai vivendo. 

E ancora tu dici: “Io sono così e non ci posso fare niente, perché tutto questo è più forte di me”.

Ah, figlio e fratello mio, cosa ci può essere di più forte di te, che sei temprato da quello che vivi nei giorni in cui conduci la tua esistenza?! Forse, quando tu affermi queste parole, dai semplicemente corpo alla tua paura di affrontare te stesso; è sempre possibile, comunque, fare qualcosa e modificare ciò che si è, nessuno è in completa balia degli avvenimenti; perché, se così fosse, tutto il senso della realtà, tutto il senso dell’evoluzione, il senso stesso dell’essere presenti nel piano fisico perderebbe il suo significato e le nostre stesse parole non avrebbero più ragione alcuna di esistere. 

Io ti esorto, quindi, a non perdere tempo e fare ciò che devi fare, poiché il tempo – pur se è un’illusione – per te, che sei immerso della materia, scorre; e ogni attimo che scorre senza che tu abbia fatto qualcosa costituisce per te l’impressione di un fallimento; e il fallimento, sommato al fallimento, finisce per far cristallizzare il tuo modo di essere, in condizioni tali da finire con l’incontrare necessariamente e obbligatoriamente ciò che tu vuoi sfuggire, ovvero la sofferenza.
Agisci nell’oggi, per evitare la sofferenza di domani. Baba

E quando, finalmente, avrai raggiunto un certo grado di comprensione, ecco che sgorgherà dal tuo cuore la frase: “Sia fatta la Tua volontà e non la mia”.

Quante volte, nel corso dei secoli, questa frase è stata usata nelle maniere più diverse, nelle accezioni più diverse, ma sempre – quasi sempre – sbagliate!

“Sia fatta la Tua volontà e non la mia” non significa subire passivamente quello che la vita riserva. Ricordate: se qualche cosa vi accade, vi accade perché voi interagiate con essa e da essa traiate nuovi spunti di comprensione; quindi “sia fatta la Tua volontà e non la mia” non significa subire passivamente quello che la vita offre, bensì interagire con questi avvenimenti, cercare di comprendere quello che accade e cercare di comprendere come essi vengono vissuti.

Accettare, quindi, che la volontà di “Colui che tutto è” ha posto per ognuno di noi la prova di cui aveva bisogno, ma rendersi conto che, non conoscendo i motivi per cui questa prova è stata messa, il compito che è imposto all’individuo non è quello di subire passivamente ma è quello di cercare di trarre un frutto da quanto sta accadendo; non è quello di andare nell’arena a farsi sbranare dai leoni “perché questa è la volontà del Signore”, ma è quello di osservare i leoni che si stanno avvicinando, fissare i loro occhi e comprendere quanto il loro sguardo ci sta significando, quanto il loro avvicinarsi smuove al nostro interno; e comprendere che se la volontà del Signore è che il leone ci sbrani, questo è fatto sempre e comunque per il nostro bene. Rodolfo

Dal ciclo Sfumature di sentire 2002-2007

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8 commenti su “‘Io sono così e non posso farci niente’ [sf11]”

    • Ciao, perché dovrei immaginare che ciò che mi colpisce fa parte di una regia che mi vuole far comprendere chissà che è diventare chissà chi,? io riesco solo a dire “è così “con tutte le conseguenze annesse e connesse. Non mi sento capace né sutorizzata ad andare a capire la.motivazio e dei fatti e tanto nero posso credere che un fatto accada perché IO capisca o.migliori o avanzi.Ma chi sono io,? Sono più della pietra,,? No…..o sì

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  1. Le menti sofisticate si impadroniscono di espressioni quali: “sia fatta la tua Volontà e non la mia”, “Io sono così.” (questo è il mio grado di comprensione e queste sono le mie meccaniche); e ne fanno grandi “fogli di fico” per non farsi scalzare dalla propria centralità.

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  2. Se il leone ci sbrana è per il nostro bene. Al singolare: per il mio bene.
    Ma mio di chi?
    Mio di individuo (fatto di corpi inferiori è coscienza)?
    Oppure mio di individualità (fatta di una sorta di somma / aggregazione / accrocchio, dei vari individui che si sono incarnati nel tempo sotto la cappella della medesima coscienza)?
    Eh sì eh!
    Dal pdv dell’individuo proprio un gran bene è difficile coglierlo soprattutto nella misura in cui non si riesce a comprendere che relazione c’è tra l’individuo di una determinata incarnazione e quello che gli sussegue nella successiva incarnazione.
    In altri termini, cos’ho a che spartire io individuo Samuele che vengo sbranato dai leoni con l’individuo che si incarnera’ dopo di me sotto la cappella della medesima coscienza che ora mi anima e che farà tesoro del mio venire sbranato?
    Già mi sta un po’ sulle palle che per far comprendere qualcosa a questo estraneo da me che si incarnera’ dopo di me sotto la mia coscienza, devo rimetterci il culo io.
    E in che modo orribile poi!!!
    Da qui la necessità di ritenere che siamo assai più coscienza di quel che pensiamo, altrimenti il terrore che io vivo oggi dinnanzi al leone si perderebbe con la mia morte.
    Invece no, si inscrive in qualche modo nella mia coscienza e nella prossima incarnazione farà parte ancora di me in qualche modo utile.
    Però la legge dell’oblio mi impedirà di ricordare a livello conscio.
    Ma quel “me” che si incarnera’ in futuro, che chiamerò “me 2”, che relazione avrà col me attuale?
    Che ne sarà di me?
    Chiedo per un amico. 🙂 😀
    Se io cesso (il doppio senso spero sia casuale) di esistere, una bella imprecazione è il minimo che ci si può attendere da me dinanzi al leone, no?
    Oppure no, dico sia fatta la tua volontà, vedrai che andrà tutto bene e grazie al mio sacrificio qualcun altro con cui non so cosa ho a che spartire, comprenderà.

    Nel dubbio io sto alla larga dai leoni e se posso scappo o cerco di difendermi.

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  3. “Ricordate: se qualche cosa vi accade, vi accade perché voi interagiate con essa e da essa traiate nuovi spunti di comprensione; quindi “sia fatta la Tua volontà e non la mia” non significa subire passivamente quello che la vita offre, bensì interagire con questi avvenimenti, cercare di comprendere quello che accade e cercare di comprendere come essi vengono vissuti.”

    Qui mi pare di trovare elementi interessanti per provare a rispondere alla domanda se tutte le scene che ci accadono debbano essere vissute.
    Sicuramente tutti i fatti ci costringono ad un riposizionamento rispetto ad essi. E nel mentre, il fatto ci aiuta nella comprensione di noi stessi e delle nostre responsabilità nelle scene stesse.

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