La sensibilità alla natura, all’arte, alla mistica, all’altro da sé (IF25)

Insegnamento filosofico 25
Direi che, effettivamente, anche per quanto riguarda la sensibilità è possibile fare un raffronto con quella che è l’evoluzione; infatti mi sembra evidente con quanto è stato detto nei discorsi precedenti, che la sensibilità deve per forza aumentare gradatamente a mano a mano che l’evoluzione aumenta.
Questo perché? Perché è logico che aumentando l’evoluzione dell’individuo anche i suoi sensi si fanno sempre più raffinati, sempre più precisi, ed è inevitabile, quindi, che diventino sempre più sensibili.
Non mi riferisco naturalmente ai sensi strettamente fisici, ma a tutti quegli altri sensi che sono posseduti dagli altri corpi dell’individuo.
È naturale quindi che a mano a mano che l’individuo avanza nell’evoluzione anche la sua sensibilità si vada ampliando. Tant’è vero che se voi andate a scorrere il discorso fatto una volta dalle Guide a proposito dell’evoluzione, potete notare che in parecchi punti si è parlato di maggior percettività dell’individuo a mano a mano che passa attraverso i vari momenti incarnativi: vi è una minima sensibilità nel cristallo, sensibilità che poi aumenta nelle piante, aumenta nell’animale e aumenta ancora nell’essere umano.
Questo, naturalmente, in funzione anche di tutti gli altri corpi che si vanno formando, che si vanno strutturando.
È un discorso quindi quello della sensibilità strettamente legato e concatenato all’evoluzione. Boris

Mi sembrerebbe forse più giusto poter parlare dei vari tipi di sensibilità, perché penso che la sensibilità non possa essere unica ma, secondo me, deve essere fatta di tanti fattori. Che ne so: c’è chi è sensibile alla musica, c’è chi è sensibile a un buon pasto, c’è chi è sensibile… insomma: è una sensibilità unica o ci son tanti tipi di sensibilità diversi? Zifed

Effettivamente la sensibilità, così come noi la intendiamo, non è limitata solamente ad un aspetto di questa facoltà, ma è necessariamente costituita da una serie di fattori che confluiscono poi in qualche cosa di più grande della semplice somma dei fattori.
Diciamo quindi che la reale sensibilità è un po’ come un diamante dalle molte sfaccettature.
Tenendo però presente quanto ha detto prima l’amico Boris, bisogna anche sottolineare che le varie sfaccettature di questo diamante diventano più o meno importanti a seconda del momento evolutivo dell’individuo: ogni faccia del diamante – per tutto il corso dell’evoluzione dell’individuo – non brilla con la stessa luce degli altri, ma vi è una certa gradualità nell’assumere importanza.

Il primo fattore, quello che per primo assume importanza verso la ricerca, il ritrovamento della vera sensibilità, quella sensibilità che abbraccia tutto, è senza dubbio la sensibilità fisica.
Basta, d’altra parte, che voi osserviate un bambino per rendervi conto come il suo cammino da bambino ad adulto è tale per cui la sensibilità del suo corpo fisico muta grandemente e quasi sempre – tranne casi particolari dovuti a circostanze fisiologiche ben precise – il corpo di un bambino ha una sensibilità fisica che va affinandosi col passare del tempo.
Tuttavia questa sensibilità fisica non è soltanto correlata a quelli che sono gli stimoli sensori, fisiologici dell’individuo, ma vi è anche una grossa parte dovuta a quella che è l’esperienza e a quello che è la mente. Infatti qualsiasi stimolo fisico può essere percepito più profondamente e in maniera più vasta allorché vi è già stata una precedente esperienza di questo stimolo e allorché la mente è riuscita a catalogare e a comprendere lo stimolo stesso.
Vi è quindi un complesso interagire fra stimoli fisiologici, stimoli mentali e stimoli dovuti all’esperienza. Andrea

Un altro aspetto della sensibilità è quella sensazione particolare che l’uomo si trova a vivere allorché è in particolari momenti di unione, di fusione con la natura.
Certo è capitato ad ognuno di voi di vivere un’esperienza a contatto con la natura così immediata e vivida da farvi commuovere internamente, da farvi sentire per un attimo interni e parte della natura stessa. Anche se questo viene solitamente interpretato come un sintomo di fusione col Tutto, in realtà, nella maggioranza dei casi, questo è dovuto al retaggio che ogni individuo porta con , dovuto alle incarnazioni non umane.
Infatti ogni essere umano – dopo aver attraversato il mondo vegetale e il mondo animale – trattiene nel proprio intimo la conoscenza e la coscienza di essere stato parte di quei mondi, esperienze che si sono segnate profondamente nel suo corpo akasico e che come tali, quindi, sono alla base della sensibilità dell’individuo.
Non vi può essere alcun individuo incarnato in un essere umano che prima o poi nel corso della sua vita, di fronte al silenzio di una foresta, di fronte a un orizzonte sconfinato, come quello che si può vedere dalla cima di una montagna, di fronte a un mare ribollente o anche di fronte a un piccolo fiore o a un’ape, non si senta improvvisamente coinvolto e non senta riecheggiare in sé la reminiscenza del tempo in cui anch’egli è stato parte attiva, viva e diretta di quel tipo di ambiente, di quel tipo di vita.
Questo, dunque, è un altro fattore della sensibilità dell’individuo, un altro fattore che ha aiutato l’individuo ad ampliare – nel corso della sua evoluzione – i rudimenti della sua vera sensibilità. Hiawatha

Se questo discorso è valido per quanto è appena stato accennato, un discorso leggermente diverso può essere fatto, invece, per quanto riguarda la sensibilità individuale verso le forme d’arte, verso la musica, la pittura, la scultura e via dicendo.
Senza dubbio ogni individuo si trova nella sua esistenza a vibrare di emozioni improvvise, a scoprirsi sensibile nell’ascoltare ad esempio una particolare successione di suoni musicali, oppure nell’osservare un dipinto o una statua.
È opinione comune che questo sia indice di una particolare sensibilità dell’individuo che si viene a trovare in quelle condizioni.
In realtà la situazione è leggermente diversa, come si può comprendere pensando a quanto è stato detto nello scorso incontro: infatti ciò che vibra nell’ascoltare una musica, ciò che riecheggia nell’intimo dell’individuo nell’osservare un quadro o una statua non è tanto la sensibilità dell’individuo intesa come capacità totale di essere parte del Tutto, di partecipare, di essere in comunione, di essere perciò, veramente sensibile verso ciò che osserva, ma è l’Io dell’individuo stesso che in quella particolare successione di vibrazioni o in quella particolare scena rappresentata, o in quella particolare espressione scolpita, ritrova qualche cosa di se stesso esteriorizzato, qualche cosa che colpisce la sua sensibilità e che, per un attimo, la acuisce.
Non è quindi, in questi casi, un discorso di vera e propria sensibilità da parte dell’individuo ma è soltanto un trasparire nell’individuo stesso – sotto uno stimolo proveniente dall’esterno – di ciò che egli non conosceva di se stesso o teneva, magari, accuratamente nascosto ai suoi stessi occhi.
D’altra parte, se così non fosse, dovrebbe necessariamente essere che una musica particolare faccia vibrare allo stesso modo tutti gli esseri umani incarnati, cosa che così non è. Moti

Tra tutte le sfaccettature della sensibilità, la sensibilità verso le cose religiose è quella più difficile da definire e da generalizzare.
È indubbio che in qualsiasi epoca e a qualsiasi stadio della sua evoluzione, l’uomo possieda al suo interno – anche se non se ne rende conto – un certo senso mistico, una certa tendenza a cercare di raggiungere l’Assoluto, il Tutto, una certa tendenza a cercare, a scoprire, a volere persino, un Dio.
Come dicevo questo è dunque un fattore comune a tutti gli uomini, non soltanto a quelli evoluti ma anche a quelli di ogni grado della scala dell’evoluzione.
Vi è poi l’uomo veramente evoluto, colui che sente questo senso mistico, sente la presenza non soltanto all’esterno, ma anche al proprio interno di un Dio e, improvvisamente, si sente come sommerso da questa presenza diventando così, in qualche modo, unito ad essa e ricevendo da questo connubio un “aumento”, se così si può dire, dalla propria sensibilità.
Vi sono poi coloro che sono figli ed eredi di una tradizione religiosa, il più delle volte trovata e non raggiunta, il più delle volte imposta e additata come cosa sublime e usata come spinta, come freno inibitore e via e via e via.
Ecco allora che allorché l’Io si trova di fronte a delle situazioni insostenibili, allorché si sente frustrato, allorché si rende conto di non riuscire ad essere in realtà quello che per la sua volontà di potenza vorrebbe essere, cerca la scappatoia più facile, quella di diventare improvvisamente (e per una sorta di miracolo interiore) un servo di Dio o – addirittura – un suo profeta o – addirittura – colui o colei che da questo Dio ha ricevuto e riceve non soltanto parole, non soltanto messaggi, non soltanto amore, ma persino segni tangibili (vedi stigmate e cose del genere).
Io vi garantisco, creature, che in questo caso più che di sensibilità si può parlare di ambizione dell’Io nel cercare di mostrare quanto esso sia importante, così importante che persino l’Assoluto si degna di usarlo in modo eclatante per fargli fare da portavoce, o per mostrare ciò che desidera mostrare agli uomini, come se l’Assoluto avesse davvero bisogno di cose del genere per mostrare la sua grandezza, quando basta guardarsi attorno ed osservare una montagna, un cielo stellato, un fiume o, persino, le acque di scarico di una fabbrica, per rendersi conto di quanto Dio manifesta davvero, sempre e ovunque, la sua immensità.
In questi casi ripeto, creature, non si può parlare di vera sensibilità, ma si può parlare di suggestione, di volontà di potenza, di voglia di potenza, di desiderio di apparire diversi da ciò che si è, il tutto unito ad una religiosità male interpretata e peggio introiettata.

Certo, nel corso della storia dell’uomo vi sono state anche persone che effettivamente hanno trovato, hanno raggiunto questo contatto con Dio ed in alcuni casi anche hanno avuto proprio ciò che prima stigmatizzavo, ovvero ferite al costato o ai piedi o alle mani, però questi segni così esteriori erano ancora strascichi di ciò che l’Io tendeva a desiderare.
Perché non dovete credere che appena l’individuo riesce a mettersi in contatto in qualche modo con l’Assoluto, improvvisamente – come per un miracolo – l’Io si sciolga definitivamente: non è così facile, perché se così fosse ogni volta che l’individuo si sente pervaso da quel senso quasi mistico di unione con la natura, o in qualsiasi altra situazione di cui prima vi è stato parlato, l’Io non dovrebbe più risorgere ma dovrebbe sciogliersi definitivamente e sparire per sempre.
Così non è, perché l’Io è duro a morire, e non solo è duro a morire, ma è anche pronto a reagire immediatamente cercando di far diventare un elemento a proprio favore ciò che un attimo prima sembrava qualche cosa che potesse distruggerlo.
È un po’ lo stesso discorso che parecchio tempo fa vi è stato fatto riguardo l’insegnamento del “conosci te stesso”: certo, il conosci te stesso è, resta e resterà uno degli insegnamenti principali, una tappa che deve per forza essere attraversata dall’individuo per poter poi accedere a tappe successive, però attenzione perché anche quest’insegnamento può finire con l’essere strumentalizzato dall’Io; infatti l’Io può approfittare di quest’insegnamento per far fermare la mente dell’individuo che cerca di analizzarsi su ciò che fa più comodo, sulla prima risposta magari, facendo sì che la mente soddisfatta si fermi e la vera risposta, quella più profonda, quella del proprio intimo, continui a restare sepolta là, dove egli vuole che sia. Scifo

Beata sia l’umiltà, beata sia la semplicità.
Ringraziamo il divino di averci dato la capacità di riuscire ad assaporare e godere delle cose semplici, delle piccole cose.
Beato sia il bicchiere di acqua fresca di sorgente, beato sia l’umile cibo che ci offre la terra, beato sia tutto quello che è intorno a noi e che in qualche modo ci appartiene.
Ma voi, proprio voi che avete questa capacità, che riuscite a godere soltanto di queste piccole cose, perché stupirvi di fronte a coloro che ancora hanno bisogno dell’esteriorità?
Tutt’al più sarebbe comprensibile, da parte vostra, il rammarico, il rimpianto nel vedere vostri fratelli ancora legati a qualcosa che a loro non appartiene.
Ma se il loro mondo è fatto di queste cose, se la loro via è segnata dal desiderio di possedere queste cose, di far mostra di queste cose, perché non riuscire ancora da parte vostra (proprio voi che riuscite a sorridere nell’osservare la semplicità del fiore) a trovare uno sguardo pulito, un sorriso per questi fratelli che, in qualche modo, mostrano a voi di avere bisogno di aiuto per comprendere che il loro essere di questo mondo non è fatto per avere successo tra gli uomini, non è fatto per avere potenza, non è fatto per far mostra di oggetti che oggi hanno un valore ma che domani lo perderanno?
Cercate quindi – voi che siete intimamente così semplici e così umili – di essere così semplici e così umili anche nei momenti in cui l’ansia di un vostro fratello in qualche modo riesce a sopraffarvi; non lasciatevi coinvolgere totalmente, non scappate di fronte a situazioni come quelle che potete aver vissuto di recente, ma affrontatele direttamente non perdendo mai di vista come voi realmente siete, mostrando tutta la vostra semplicità, tutta la vostra umiltà, perché soltanto in questo modo potrete aiutare anche quelle persone che – non dimenticatelo – sono qua assieme a voi nel mondo fisico perché hanno bisogno di esperienze e, in qualche modo, hanno bisogno di voi così come voi ne avete di loro. Fabius

Sensibilità è quella che viene rivolta non soltanto verso le persone che pure si sentono simili, non soltanto verso le persone che sanno amare, godere e gioire delle stesse cose che voi stessi amate, godete e gioite, ma sensibilità è anche quella che si manifesta allorché si riesce ad essere a proprio agio anche con colui che è completamente diverso per sua posizione, suoi bisogni evolutivi, suoi problemi personali, riuscendo a comprendere che se quella persona è così diversa e, magari, non riesce a comprendere e a raggiungere ciò che forse voi almeno in parte avete ormai compreso e raggiunto, questo non è per cattiveria o per altra dote negativa, ma è perché semplicemente essa ha problemi tali che riescono a sopraffare ciò che in essa c’è di migliore.
Verso queste persone, infatti, la vostra sensibilità – se davvero di sensibilità si tratta – deve riuscire a farvi essere più compiacenti, deve riuscire a farvi trovare il modo per tendere le vostre mani, anche se magari il primo impulso sarebbe quello di fuggire e allontanarvi per evitare una situazione di disagio.
Fa parte dunque della sensibilità, figli e fratelli, anche il saper sentire i problemi di coloro che sono molto diversi – come evoluzione e come sentire – da se stessi. Ananda


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7 commenti su “La sensibilità alla natura, all’arte, alla mistica, all’altro da sé (IF25)”

  1. Continuamente riesco a vedere il mio io emergere nelle situazioni e continuamente sorge un senso di compassione come allo stesso modo vedo il comportamento dell’altro quale espressione del suo compreso e non compreso.
    Ne prendo atto

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  2. Sottile, chiaro, definito, questo discorso sulla sensibilità.
    Quante implicazioni e quante sfumature.
    Una cosa che mi è piaciuta è contemplare la grandezza di Dio negli scarichi di una industria..
    Non che riesca a vederlo in quegli scarichi ma mi ha agganciato quella possibilità..
    L’equazione che faccio banalmente è che ciò che è intatto, originario come la natura, puro, non inquinato sia dio e la mente dell’uomo sia una devianza, una distorsione.
    Ma proprio quell’io che vuole riconoscimento, diventare potente e inventare mille forme, beh proprio quell’io così distruttivo è dio.

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  3. Grazie per questi insegnamenti. Diversi punti mi danno da riflettere perché mettono a fuoco alcuni aspetti su cui sto lavorando.

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  4. “Fa parte dunque della sensibilità, figli e fratelli, anche il saper sentire i problemi di coloro che sono molto diversi – come evoluzione e come sentire – da se stessi.”
    Ora per me molto difficile attuarlo nella faticosa officina familiare. Mi è di aiuto.
    Grazie Ananda

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