L’abbandono del corpo fisico e la vita che continua (IF24)

Insegnamento filosofico 24
Ecco, la vita si è compiuta e il corpo giace immobile, il petto non si solleva più nel suo respiro regolare che scandiva gli attimi di una esistenza fisica. Attorno alla spoglia vi è chi piange, chi non trova in lacrime, chi osserva quasi stupito perché, da un momento all’altro, quella persona che si credeva di conoscere così bene e così a fondo, è diventata irriconoscibile, non è più la stessa.
C’è chi osserva quel corpo e resta spaventato dal pensiero che un domani, presto o tardi, anch’egli diventerà uno sconosciuto. E’ l’ultimo atto di un’esistenza terrena, quella che viene definita vita e che muta improvvisamente diventando ciò che viene definito morte.
Ma, creature, il vostro errore di identificare voi stessi con la materia fisica che vi ricopre e con il movimento che questa materia fisica possiede, con la sua capacità apparente di influenzare, di agire, di interferire nel mondo fisico, rende quasi sempre la vostra esistenza timorosa, paurosa del momento finale.
La morte, questo spaventoso fantasma che accompagna l’individuo nella sua vita fisica fin dal momento del suo primo vagito, questo mostro che sta sempre alle spalle di ognuno di voi, pronto a ghermire la vostra esistenza quando meno ve l’aspettate, questo diavolo spaventoso e irriconoscibile che rende ansiosi i vostri momenti di dolore, che fa battere più forte il vostro cuore se vi soffermate più a lungo su di esso con il pensiero, che rende il buio e la notte spaventosi, in realtà è davvero un fantasma e basta!

Certo, nel momento in cui il vostro corpo non può più agire nel mondo fisico qualcosa cambia, ma ciò che cambia non significa necessariamente la perdita della vita.
Perché la vostra vita, creature, non è una qualità particolare del vostro corpo fisico, ma la vita, il soffio che vivifica il vostro corpo, è qualcosa che non conoscete, che non comprendete, che non riuscite a raggiungere tranne che in brevi momenti, qualche cosa che va al di là della semplice materia fisica.
E il vostro corpo eccolo lì, immobile come un vestito smesso e logoro che è tempo, ormai, di abbandonare e di buttare.
Voi lo osservate dal di fuori e, finalmente, vi rendete conto della realtà, della vera realtà della vita, vi accorgete che la vera vita non era quella che avete vissuto nella materia, che non era, per lo meno, soltanto quella; che voi scorgevate soltanto una piccola porzione della Realtà; che la vita non era soltanto il vostro corpo fisico perché anche ora che il vostro corpo fisico appare privo di vita voi, in realtà, siete più vivi che mai, e vi guardate attorno meravigliati, con altri sensi, altre percezioni; vi guardate attorno e sempre – creature, non siete mai sole! – accanto a voi, se state attenti, vi sarà qualcuno che vi parlerà con voce dolce. Scifo

Pace a te, figlio, pace a te, figlio e fratello,
benvenuto, figlio mio amatissimo, benvenuto tra noi!
Io ero qui ad aspettarti, ero qui che ti tendevo le braccia
per accoglierti sul mio seno, per farti sentire quell’affetto
da cui così spesso, nel mondo fisico, fuggivi,
quell’affetto che i tuoi sensi limitati, il tuo correre affannoso,
il tuo egoismo, 
ti impedivano di fermarti ad ascoltare.
Figlio mio, fratello mio, amico mio, compagno…
se io sono qui, lo sono per te,
abbandona quell’aria smarrita,
staccati da quel corpo che ormai, per te, non ha più alcun significato,
accetta con gioia, con felicità, il fatto che la morte del tuo corpo fisico vuole ancora dire vita,
che non sei morto, ma sopravvivi.
Sopravvivere, figlio mio,
al di là di quella che è la materia fisica,
ritrovarti in un mondo meraviglioso, sconosciuto, diverso,
ma altrettanto bello e intenso di quello che hai appena lasciato;
qua tu ritrovi accanto a me il paradiso perduto,
tutto ciò che puoi desiderare e volere adesso potrà essere tuo,
fino a quando non sarai sazio dei tuoi desideri, delle tue passioni,
e allora un’altra terra sconosciuta, figlio mio, ti attenderà,
ed anche su quella sponda io sarò con gli altri ad attenderti
per prenderti per mano.
Figlio mio, quando io riuscivo a farmi ascoltare da te
ti dicevo che la morte non esiste,
ti dicevo che quella che tu consideravi essere la vita
in realtà era solo una piccola porzione della verità,
ti dicevo che tu non credevi,
non riuscivi a credere veramente nella mia esistenza
e che avresti potuto credere veramente soltanto allorché tu mi avresti raggiunto.
Figlio mio, ora mi sei accanto,
ora puoi comprendere che ciò che ti dicevo era la verità,
ora puoi comprendere che, quando io ti parlavo rassicurandoti sul mio amore,
non pronunciavo soltanto parole dette per il gusto di illuderti.
Sono qui, figlio mio,
per aiutarti a vivere ancora, e ancora, e ancora esperienze sconosciute,
diverse, inaspettate, indescrivibili, inesprimibili, travolgenti, dolcissime,
perché anche qui, in questa lunga vita che ti attende,
nulla avviene per caso.
Anche qui, come nella Terra che hai appena abbandonato
e che ancora, con rimpianto, pensi sia la tua patria, la tua dimora,
anche qui, figlio mio amatissimo, tutto ciò che ti accadrà
sarà ancora, sempre e soltanto, per il tuo vero bene.
Figlio mio,
dammi ora la tua mano e seguimi nella terra dei sogni:
io ti accompagnerò lungo il tuo sopravvivere. Moti


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11 commenti su “L’abbandono del corpo fisico e la vita che continua (IF24)”

  1. Ecco, in questa dimensione io non ho più confini, ormai da tempo.
    Le lacrime che scendono mentre sto leggendo questo post non hanno un’origine né una fine. Sono state sempre lì, in questa terra di sconfinata tenerezza, di pensiero assente, di respiro calmo.
    Lì, in questa soglia io sono pronto.
    Non farò nulla per anticiparla e non farò nulla per posticiparla. Né permetterò ad alcuno di prolungare la mia agonia.
    Esattamente nel mezzo, quando sarà, capirò che quello è il momento.
    Ci saranno attorno a me solo cuori leggeri, persone consapevoli che sanno che anche loro hanno passato quella soglia tante altre volte e avranno l’amore di allontanare in quel momento chi vuole solo dar sfogo alla sua propria tristezza di rimpianto.
    Non ci sarà alcuna indulgenza per loro perché mille sono stati i tentativi di passare questa infinita tenerezza e in quel momento sarà tardi per loro per dire ancora ‘aspetta’.
    In quel momento i giochi saranno fatti, quello che potevo dare l’avrò dato.
    Spero solo di riuscire a lasciare almeno tanto amore quanto sono riusciro a vedere e non una goccia in meno perché questo sarebbe il vero unico peccato, non aver fatto transitare ciò che non si conquista ma si può avere solo come regalo.
    Chi comprente questo mi saluterà con un sorriso pieno d’amore negli occhi e sulle labbra e così in meno di una frazione di secondo sarà gettato quel ponte che ci consentirà di continuare il cammino insieme.

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  2. Le tue parole Ale mi hanno toccata profondamente più di quelle di Moti. Non sempre ti capisco quando scrivi, per mio limite, ma qui ti sento chiaro , fratello maggiore nel cammino. Grazie

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  3. Grazie.
    Poche ore prima di morire, mamma, pur con un alzheimer avanzato, dal suo letto dell’hospice riuscì a dirmi: “Ho paura”. Fu l’adesione profonda alle parole di Moti che mi consentì di ripeterle più volte, tenendole la mano, di non avere paura perché saremmo stati sempre insieme, insieme per sempre.
    Ebbi l’impressione che quel sentire fosse da entrambi avvertito intimamente.
    Grazie mamma.

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