Osservare l’Io con la propria coscienza [sf31]

Quello che voi non avete ancora capito in tutti questi anni, lunghi, d’insegnamento, è il rapporto che dovete avere con il vostro Io. In realtà, voi finite tutti quanti per osservare il vostro Io in che modo? Attraverso il vostro Io.

Diventa un Io che osserva se stesso; e questo potete immaginare che non sia poi molto utile, alla fin fine; questo aiuta l’Io a nascondere ciò che vuole nascondere, a non vedere ciò che non vuol vedere!

[…] Già non molto tempo fa avevamo detto che voi tendete a combattere l’Io e avevamo anche detto che combattere l’Io è una cosa sbagliata. Questo, naturalmente – detto così semplicemente come è stato detto – può essere mal compreso e mal sfruttato dall’Io stesso; il quale, con la scusa che è meglio non combattere l’Io, a quel punto dice: “Faccio quello che voglio, tanto nessuno mi combatte”.

Il fatto è che voi avete la responsabilità – avreste, dovreste avere la responsabilità – non di combattere il vostro Io, perché il vostro Io non va combattuto, ma di stare attenti, di porre attenzione a quello che voi fate – quindi a ciò che il vostro Io compie – nel corso dell’incarnazione. Non avete il compito di contrastare l’Io, ma avete il compito di assumere elementi affinché la vostra comprensione aumenti e, quindi, aumentando la vostra comprensione, il vostro Io si modifichi.

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Questo significa “osservare l’Io con la propria coscienza”; non osservarlo per giudicare “ho fatto giusto, ho fatto sbagliato”, questo è sempre l’Io che lo fa. Quello che osserva è qualche cosa che va oltre al pensiero, oltre la dualità; è qualche cosa, appunto, che è collegata al sentire, alla comprensione più intima dell’individuo. 

Quando siete stati esortati, all’inizio dell’incontro, a trovare un attimo per voi stessi, per vedere quello che è stato della vostra interiorità, del vostro cammino, del vostro percorso nel corso dell’anno, si intendeva fare un lavoro di questo tipo; cioè rendervi conto se e quanto avete messo in contatto l’osservazione del vostro sentire, della vostra coscienza, con quello che il vostro Io ha vissuto; perché, se siete riusciti a farlo, senza dubbio, a quel modo avete provocato dei cambiamenti e, quindi, vi potrete per esempio accorgere se e quanto siete cambiati nel corso di un anno.

Se non fate questo lavoro, voi non ve ne accorgerete mai; questo, in realtà – lo sapete, lo abbiamo sempre detto – non ha importanza, perché, che voi ve ne accorgiate o meno, se il cambiamento c’è stato, c’è stato! Il fatto che voi diciate “Ma io non mi accorgo di essere cambiato” non è altro, ovviamente ed evidentemente, che una reazione dell’Io, il quale si sente sfuggire le cose di mano e ha paura di essere cambiato contro la sua volontà.

Quanti di voi, per esempio, iniziano un rapporto con una persona e poi incominciano a sentirsi oppressi, soffocati? Questo non è un desiderio di libertà, come viene contrabbandato molto spesso; ma è la paura da parte dell’Io di essere modificato dall’altro e, quindi, cerca di prendere le distanze, in maniera tale che questo rapporto non lo modifichi; ma quando si instaura un rapporto cosiddetto “d’amore”, questo rapporto d’amore deve sempre e comunque modificare le persone coinvolte, altrimenti non è un vero rapporto d’amore, è un rapporto d’amore egoistico. Ma qua stiamo sconfinando.

Quello che voi continuate, comunque sia, a non capire, è che “se volete cambiare la vostra vita, cambiatela” non è riferito a quello che voi fate o dite. Voi continuate a desiderare un cambiamento utile all’Io, voi volete che cambi la vostra vita nel modo che il vostro Io vorrebbe che cambiasse.

L’unico modo vero per cambiare la vostra vita è cambiare la vostra interiorità; non è cambiare l’atteggiamento, l’esperienza o il tipo di vita che fate. Se voi vi trovate male sul lavoro (per fare un esempio qualunque) non è cambiando lavoro che cambierà la situazione perché, se il problema è al vostro interno, cambiare l’ambiente esterno può risultare un motivo di cambiamento per un attimo, ma il problema che avete all’interno, che vi faceva sentire a disagio sul lavoro, rinascerà anche cambiando lavoro; non cambierà niente.

È soltanto risolvendo la causa interiore, la non comprensione interiore che cambierà la vostra vita. Come tutti gli insegnamenti che vi abbiamo dato, ricordate sempre che vanno letti e visti a più livelli. Certamente, se si resta in superficie e si guarda dal punto di vista dell’Io, dell’individuo incarnato che non sa niente dell’insegnamento, è giusto e necessario dire che bisogna che facciate lo sforzo di volontà per cambiare il vostro modo di comportarvi, il vostro modo di agire, il vostro modo di vivere le esperienze, però imporsi di cambiarle non significa aver cambiato il motivo per cui si vuol cambiarle.

Allora, per voi che sapete l’insegnamento, la risposta non può essere così semplice e superficiale; la risposta deve andare più in profondità e farvi arrivare a comprendere che, per cambiare la vostra vita, dovete cambiare la vostra interiorità. Non è un cambiamento che nasce o si deposita all’esterno, è un cambiamento che deve nascere dall’interno.

L’ironia della cosa è che, in realtà, non è necessario fare niente! In realtà, la cosa migliore, ottimale, che l’individuo potrebbe fare per cambiare la propria vita, è semplicemente porre attenzione a quello che sta vivendo, in modo tale che al corpo akasico arrivi la maggior massa di dati possibile sull’esperienza che vive.

Un errore che fate è quello di personalizzare il corpo akasico, ma il corpo akasico non pensa in termini di Io; il corpo akasico pensa in termini di comprensione: osserva quello che è stato fatto, osserva le reazioni che tutto questo ha suscitato e, probabilmente, riesce a mettere a posto alcuni tasselli.

Prendiamo un esempio che avete fatto: avete rubato tre penne, le avete portate a casa e le avete messe via o magari le avete regalate, per fare, che so, “i signori”; bisogna vedere come avete fatto queste cose, bisogna vedere se questo comportamento vi ha fatto nascere dei sensi di colpa, bisogna vedere se invece l’avete fatto e non ci avete più pensato. Tutti questi sono elementi che al corpo akasico servono per comprendere cos’è che non avete compreso.

Molto probabilmente, quando ha compreso del tutto, veramente, il “non rubare” le tre penne non le ruberà più. E non c’è bisogno di autocondannarsi, di dire: “Ma guarda che brutta cosa”?

Ma dirò di più: se ognuno di voi – o di noi – incarnati vivesse in una bolla, dove non ci sono altre persone, il comportamento ideale sarebbe lasciar fare all’Io tutto quello che vuole: essere egoista, fetente, prepotente, maleducato, prevaricatore; questo sarebbe il modo più veloce, più importante, per arrivare a comprendere veramente se stessi. Purtroppo, la realtà non è questa; siete qua perché gli altri vi servono, perché dovete dare agli altri e ricevere dagli altri e perché dovete imparare assieme a tutti gli altri. Scifo

Dal ciclo Sfumature di sentire 2002-2007

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1 commento su “Osservare l’Io con la propria coscienza [sf31]”

  1. “Quello che voi non avete ancora capito in tutti questi anni, lunghi, d’insegnamento, è il rapporto che dovete avere con il vostro Io”.
    Con chi parlano la Guida Scifo?
    A chi si rivolge?
    Non certo ad una pluralità di “io”, altrimenti non avrebbe senso parlare di “rapporto” col vostro io.
    Credo che parli a degli individui.

    Fatti di corpi inferiori, coscienza e nel mezzo un pochino di io (che non esiste in sé e per sé e che non è altro che la relazione tra corpi e coscienza).

    Se “individuo” e “io”, sono più o meno la stessa cosa, per non dire la stessa cosa (forse mi sbaglio?) ecco che non ha senso parlare di rapporto col proprio io in quanto non c’è alterità tra destinatari del messaggio ed il proprio io.

    Forse che allora non parla a degli individui ma alle coscienze degli stessi? La vedo dura…

    Non è facile capire per me.
    Mi sembra che faccia o ingeneri una gran confusione.
    Qualche passaggio del post apre a delle sensazioni di benessere, quando evoca ad es il non giudizio, ma il tutto, ahimè, per quel che mi riguarda e per quel che riesco a capire, mi sembra avvolto da una nebbia, neanche rada.

    Ma si sa: sono uno dalla dura cervice io.
    Come io chi? Io individuo dal nome di Samuele.

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