Perseguire degli obbiettivi non incolpando l’altro dei fallimenti

L’uomo, nella sua vita, avanza faticosamente tra gli ostacoli disseminati sul suo percorso e per aiutarsi, per darsi incentivo, una spinta ad andare avanti (ché molto spesso, altrimenti, la voglia di fermarsi farebbe soccombere la buona volontà di proseguire) si pone una meta da raggiungere, delle tappe sulle quali modellare il tessuto della propria esistenza.
Accade a volte, però, che le mete vengano perse per strada, che sembrino allontanarsi o sfocarsi per la distanza, invece di farsi più chiare e più vicine ad ogni azione che passa; ed allora l’uomo come reagisce?
C’è chi si ferma amareggiato senza trovare la forza di continuare, rinunciando a quella meta, ponendosene ancora un’altra che la sostituisca.
C’è chi continua ad arrancare faticosamente lungo quella specie di Calvario che gli sembra porti alla conquista della sua meta.
C’è chi si mette a correre, senza badare a dove mette i piedi, nella speranza di accorciare la strada.
C’è chi impreca, rivolto a chi o a che cosa ha messo la sua tanto agognata meta fuori della sua portata più immediata.
Chi di tutti costoro agisce nel giusto?

Colui che rinuncia alla meta e la sostituisce, può anche essere nel giusto, poiché vuol dire che la meta che si era prefisso non era quella che, in realtà, gli interessava. Ma, attenzione: spesso la rinuncia non è ragionata, non è sentita dalla coscienza del rinunciatario, il quale si rende conto che l’errore è stato proprio suo, in quanto sua è stata la scelta errata di quella meta. Accade semplicemente che egli l’abbandoni per impazienza, perché non sa non pretendere tutto e al più presto possibile, perché non sa gustare la dolcezza dell’attesa, perché non sa trarre vantaggio dalla conquista faticosa, dall’ingegno stuzzicato, dalla volontà stimolata a migliorare i propri sforzi.

Colui che continua ad arrancare faticosamente può anche essere nel giusto, perché vuol dire che la scelta della sua meta era, per lui stesso, più che giusta. Ma, attenzione: forse varrebbe la pena che egli si fermasse un attimo a meditare sul perché la meta è diventata più difficile da conquistare, si fermasse un attimo a valutare se non è stata proprio una sua azione a farlo deviare lungo un viottolo apparentemente simile a una scorciatoia, ma che in realtà era tale da allontanarlo – invece di avvicinarlo – alla meta prefissata. Sarebbe meglio, cioè, che egli si fermasse a capire se è veramente la meta ad essersi allontanata da lui, o se invece è più vero il contrario.

Colui che si mette a correre solo nella speranza di conseguire prima la meta che ambisce, può essere nel giusto se i suoi passi sono guidati in modo saldo dalla sua piena coscienza di agire nel modo migliore. Ma, attenzione: molto spesso l’affanno della corsa, della velocità, porta all’offuscamento della coscienza cosicché può bastare il più piccolo sassolino per causare una rovinosa caduta che costerà una perdita di tempo ben più grave e pericolosa, che se il procedere fosse stato più cauto e accorto.

Colui che impreca contro la persona o il fatto che l’hanno frenato potrebbe essere nel giusto? No, in questo caso non vi è neppure un’infinitesima possibilità che egli sia nel giusto. Infatti – anche se è comodo e appagante per se stessi, attribuire solo agli altri la causa di un insuccesso – la responsabilità del mancato conseguimento di una meta prefissata non è mai solo esterna; e da una valutazione serena e imparziale delle proprie azioni ciò appare sempre evidente.
Se un vostro fratello causa un allontanamento dalle vostre mete chiedetevi prima di tutto: cosa ho fatto io per aiutarlo a non fare questo? E ciò malgrado sapessi che, senza il mio aiuto, c’erano buone possibilità che egli facesse ciò che ha fatto?
E ancora: io stesso sono stato esente da errori oppure ho fatto anch’io degli errori che hanno contribuito a provocare ciò che è successo? E ancora: ero così vicino alla meta come sembrava a me o la mia era solo un’illusione, una speranza, un’apparenza più che una realtà?

Tutto questo vi dovrebbe far meditare, vi dovrebbe mettere almeno un minimo dubbio su voi stessi: sono io stato giusto nel mio cammino verso la meta o, per fare prima, ho buttato via lungo la strada il bastone che così tanto mi aiutava nel mio procedere e sul quale avevo inciso, per non correre il rischio di dimenticarlo mai: Altruismo, Amore, Carità? Moti


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5 commenti su “Perseguire degli obbiettivi non incolpando l’altro dei fallimenti”

  1. Grazie. Ci fa capire quanto sia fondamentale l’incessante lavoro di autoanalisi e l’abbandono della logica del lamento, del complesso della vittima

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  2. Molto bello. Ci aiuta a vedere le cose sempre da più punti di vista e a capire che la unilateralità è sempre sbagliata. Anche quando la risposta sembra essere una, e magari è veramente quella, può esserci qualcosa di vero anche nella risposta opposta, magari qualcosa di infinitesimale, un residuo. Ma anche quello va lavorato.
    Grazie

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  3. Concordo anch’io con Paolo! Non sempre la risoluzione dell’ostacolo è immediata, li la fatica si fa sentire, fatica che produce i suoi frutti.

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Rispondi a Marco Dellisanti Annulla risposta