Psicoanalisti, ipnosi e psicosomatismo [IF7]

A seconda della gravità del sintomo psichico che l’individuo manifesta, vi è la possibilità da parte sua (naturalmente se restano intatte le possibilità di ragionamento, di raziocinio e di logica) di risalire al perché, alla causa che provoca questa disfunzione fisica. E’ un po’ quello che teoricamente dovrebbero fare gli psicologi, gli psicanalisti.

D –  Quindi, noi possiamo dare delle indicazioni, poi è l’individuo che deve…

Diciamo che un buon psicanalista non risolve “mai” nessun caso – tanto per incominciare – perché qualsiasi caso è risolto dal paziente e non può essere risolto da nessun altro.
Il compito dell’analista dovrebbe essere principalmente quello di riuscire a fornire gli strumenti affinché l’individuo arrivi alla comprensione. E per “strumenti” non intendo soltanto tecniche ma, al limite, anche il fornire al paziente (che molte volte è in quelle condizioni proprio perché non riesce ad ottenere questo) quell’ora di rilassamento, di contatto con se stesso che, altrimenti, nel corso della giornata non riesce magari mai ad ottenere.

Ecco perché così spesso il discorso psicanalitico fallisce: un po’ perché molte volte l’avere un altro in balia delle proprie capacità finisce per spingere lo psicanalista a sentirsi troppo importante e ad influenzare il paziente in quelle direzioni che “lui” crede giuste, finendo col confonderlo ancora di più.
Altre volte, invece, le spinte dello psicanalista (ad esempio, che so: una poca tranquillità nel corso della terapia, dei problemi personali, magari il conteggio di quanto sta guadagnando in quell’ora che sta passando col cliente) arrivano al paziente come vibrazioni e, in alcuni, stimola reazioni negative nei suoi confronti.
Insomma, vi è sempre questa corrispondenza tra paziente e psicanalista che, se non è gestita nel modo migliore, nel modo più rilassante e sereno possibile, difficilmente riesce a portare ad una situazione, ad una condizione di interazione ottimale affinché l’individuo (e non lo psicanalista, lo ripeto) arrivi alla comprensione e, quindi, allo scioglimento del nodo che lo assilla.

D –  Può essere utile l’ipnosi a sciogliere questi nodi?

Non può essere utile perché non è una cosa raggiunta ma è una cosa imposta. Ed essendo imposta dall’esterno può magari sciogliere un certo tipo di sintomo, ma allora il sintomo si sposterà immediatamente complicando ancora di più le cose perché, spostandosi, certamente fornirà meno elementi possibili per comprendere quello che sta succedendo, in quanto si allontanerà ancora di più dal punto focale in cui avrebbe dovuto manifestarsi, e che resta quello più chiaro e diretto per poter arrivare a comprendere. Non sarà più lo stimolo originale, quello diretto a far comprendere, ma sarà qualcosa a lato, quindi più simbolico, più nascosto, più condensato e via e via e via.

D –  Se per ipotesi questo impulso riuscisse a passare tutte le censure ed arrivasse direttamente al corpo fisico, cosa succederebbe?

A parte il fatto che non può succedere, perché altrimenti non avrebbe senso la presenza delle censure, le censure sono personalizzate praticamente per ogni individuo, e sono personalizzate proprio perché derivano da “come egli è”.
Quindi, questo può succedere soltanto allorché sul piano fisico l’individuo deve veder arrivare un impulso che possa riconoscere immediatamente.
Più puro è l’impulso, più è facile comprenderlo, riconoscerlo, che poi è lo stesso discorso del “conosci te stesso”: più ti conosci e più riconosci l’impulso, più riconosci il tuo egoismo e più lo superi.

D –  Ma la motivazione vera, reale, non la motivazione “punto di passaggio”, non è al di fuori della conoscenza mentale?

Non è detto: noi abbiamo sempre affermato che la comprensione non passa necessariamente attraverso la mente, la comprensione mentale, e che può darsi benissimo che il corpo akasico comprenda senza che voi ne siate consapevoli, quindi senza che la vostra mente ne venga a conoscenza; però abbiamo detto che non è necessario che avvenga, mentre è possibile.
Può essere vero che il corpo akasico comprenda e voi (come Io incarnati) non ve ne rendiate conto, ma non è mai possibile il contrario, cioè che voi, come Io incarnati, comprendiate qualcosa e il corpo akasico non ne venga a conoscenza.

D –  L’insoddisfazione dell’individuo quanto può essere determinante nel male di una persona?

L’insoddisfazione direi che è uno degli elementi di base necessari di queste situazioni, in quanto è proprio il classico perché generico che è di difficile soluzione e che lascia insoddisfatti. E proprio perché lascia insoddisfatti crea interiormente dei contrasti.

D –  Tutto questo deriva da un karma che influisce sui dolori che il corpo subisce come malattia psicosomatica?

Diciamo che senza dubbio la causa è karmica, perché un karma lo si subisce per qualche cosa che non si è compreso, no? Però altrettanto senza dubbio è che si tratta di qualche cosa di necessario affinché l’individuo trovi la spinta in se stesso per modificare ciò che il suo Io vorrebbe che egli fosse.
L’insoddisfazione dell’individuo incarnato – della consapevolezza dell’individuo incarnato, quanto meno – nasce proprio dal fatto che egli, il suo Io, vorrebbe essere in un certo modo e si accorge di non esserlo. Questa insoddisfazione cesserebbe nel momento in cui si rendesse conto che egli è ciò che è e non può essere altrimenti, non può voler essere ciò che non è capace di essere!

D –  Per continuare il discorso sullo psicanalista e il paziente, siamo arrivati al punto in cui, nella maggior parte dei casi, lo psicanalista non può far nulla. Ma quest’esperienza che vive il paziente può dare giovamento o, comunque, lascia il tempo che trova?

Supponendo che lo psicanalista sia una persona tranquilla, interiormente equilibrata, amante di ciò che fa, con le intenzioni più altruistiche possibili, con una buona conoscenza di ciò che è giusto e ciò che non è giusto, allora possiamo considerare che egli è, in qualche modo, assimilabile a noi. In che senso?
Nel senso che, in maniera ridotta e con una persona alla volta o, al più, con un piccolo gruppo di persone alla volta, cerca di fare quello che noi facciamo con tutti voi, ovvero di far applicare il “conosci te stesso”. Giusto?

Con la differenza che lui viene pagato per quello che fa e noi no! Dov’è il punto dolente? E’ lo stesso punto che si può trovare all’interno del Cerchio, ovvero lo psicanalista – così come noi – “può fare soltanto ciò che il paziente permette e vuole che venga fatto”.
Quindi, come dicevo, in realtà è il paziente colui che cura, non lo psicanalista, il quale fornisce soltanto un appoggio, una specie di fantoccio su cui il paziente proietta se stesso per osservare se stesso con occhi diversi, cosa che – come potete ben immaginare – potreste fare, ognuno di voi, tranquillamente nelle vostre case, nelle vostre stanze e… gratis!

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D –  Solo che, a uno psicanalista, uno “osa confessare”… è una valvola.

Certo, “osa confessare” ma, molte volte, le confessioni vanno oltre a ciò che uno veramente pensa, o crede, o sente perché intervengono altri fattori… ma di questo parleremo poi tutti assieme. Ricordate che poi, in realtà, si tratta sempre di uno scontro tra Io.
Direi che su quest’argomento – visto anche il caldo – si possa, per questa sera soprassedere. Però volevo raccontarvi una storiella.

Una volta, nel corso di una vita che avevo tanto tempo fa, possedevo un’oca, una bella oca bianca. A quell’epoca gli animali – come anche adesso, d’altra parte – parlavano. Assieme a quest’oca c’era anche un cavallo il quale, a sua volte parlava. E c’era anche un maiale.

Ora, l’oca andava a scuola dal maiale, il quale le insegnava tutto quello che sapeva (non so quanto sapesse, non mi sono mai curato di stare a sentire i loro discorsi!).
Dopo un po’ di tempo l’oca ritenne di aver assimilato buona parte di quello che il maiale le diceva, e allora disse: “Adesso vado da un’altra parte.
Vediamo un po’: ci sarà ben qualche cosa di diverso, qualche cosa di nuovo offrirà il convento, qua in giro!”.

Allora andò dal cavallo e questi, stimolato, pregato dall’oca, incominciò ad insegnarle quello che sapeva. L’oca, forte di quello che aveva imparato dal maiale, pose molta attenzione, cercò di seguire quello che diceva il cavallo; poi, ad un certo punto, un bel giorno si girò, andò verso il laghetto, si immerse (anzi: “scivolò”, è più poetico!) sulla superficie del laghetto, agitò le sue zampe palmate, vide passare sotto di innumerevoli piccoli esserini di cui, solitamente si cibava e pensò a quanto era successo fino a quel momento, poi allungò il collo e infilò la testa velocemente nell’acqua lasciandocela fino a quando affogò.

Perché questa povera oca si era suicidata? Perché era in stato di confusione, in quanto aveva cercato di comprendere ciò che le diceva il cavallo mediandolo con ciò che le aveva detto il maiale, e siccome maiale e cavallo avevano fatto lo stesso tipo di scuola però in epoche e posti molto diversi, l’oca alla fine non capì più nulla ed arrivò a un tale dramma esistenziale da preferire il suicidio.

In parole povere, creature, siete come delle oche che cercano di spiegare ciò che noi stiamo dicendo in questi anni con ciò che è stato detto da altre parti.
Grossa sciocchezza, in quanto se è vero che vi sono delle comunanze, che l’insegnamento è più o meno lo stesso, che i termini sono in buona parte gli stessi, tuttavia il modo di esaminare e gli intenti sono diversi.
Non solo, ma commettete l’errore di spiegare qualcosa che qua non è ancora stato spiegato con ciò che da altre parti è stato spiegato, senza sapere noi dove, in che modo e in che ottica vogliamo spiegare un certo tipo di argomenti.

E questo, creature, denota, intanto, un certo grado di presunzione di aver capito tutto (e forse, chissà, anche troppo!), in secondo luogo dimostra che non vi rendete conto di correre davvero il rischio di non capire più niente né su quello che ha detto il maiale, né su quello che ha detto il cavallo. E poi denota anche un’altra cosa: che vi piace tanto discutere sulle “varianti”, mentre non discutete dei presupposti per arrivare a parlarne.

Noi abbiamo sempre detto che confrontare gli insegnamenti può e deve essere utile per allargare la comprensione. Ma confrontare due insegnamenti significa confrontare uno stesso argomento allorché è stato trattato in entrambe le dottrine, non applicare il concetto di un insegnamento supponendo a priori che si colleghi a quanto nell’altro insegnamento viene detto, perché è possibile che, magari, non sia così. E questo a prescindere dalla validità dei due insegnamenti.

Comunque, l’ultima volta avevate per forza voluto inserire il discorso delle varianti in quello che stavamo spiegando a proposito dello psicosomatismo e vi avevo chiesto come mai avevo affermato che non il cento per cento delle malattie poteva essere considerato psicosomatico, specificando che l’ottica di questa affermazione era relativa al punto di vista da cui si osservava la malattia.

Ora, secondo la teoria delle varianti che così tanto vi affascina (forse perché così potete sognare di vivere una variante non vissuta) è possibile che la persona accanto a voi che voi vedete malata, in realtà stia vivendo un’altra variante in cui non è in quelle condizioni fisiche.
Il che significa che, in questo caso, voi vedete una persona malata che, evidentemente, è presente nella vostra variante in quanto vi serve da stimolo per qualche esigenza di vostra crescita interiore.
Il che significa ancora che l’altra persona, in questo caso, non è che un’immagine a vostro uso e consumo e, perciò non si può trattare di psicosomatismo, ma soltanto di realtà illusoria a vostro beneficio.
Il che significa ancora che introdurre le varianti in quest’ambito non fa che farvi perdere energie in labirinti senza via d’uscita.
Il che significa, infine, che così come non potete giudicare gli altri in quanto non potete essere in grado di comprendere le loro vere intenzioni, altrettanto non potete esaminare fattivamente altro che i vostri psicosomatismi, in quanto il perché degli psicosomatismi altrui non potranno mai esservi veramente svelati fino in fondo.
E che se voi, indirettamente, li vivete presenziando ad essi, è semplicemente perché possono aiutarvi, riflettendo su di essi la vostra realtà interiore, a comprendere qualche cosa di più di voi stessi. E con questo, creature, serenità a voi. Scifo


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6 commenti su “Psicoanalisti, ipnosi e psicosomatismo [IF7]”

  1. Chiaro che la figura dello psicanalista è puramente funzionale affinché si giunga da soli alle comprensioni.
    Esplicativa anche la storia dell’oca.
    Sulla questione delle varianti non sento il bisogno di approfondire. Va bene sapere che esistono ma, ai fini esistenziali, non credo sia un dato rilevante. Forse un limite, o al contrario una comprensione… oggi è così…

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  2. Utile a ricordare che il dito indice va puntato verso noi stessi unica realtà indagabile. Alcuni punti li ho trovati ostici e non immediatamente comprensibili.

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  3. Lo psicanalista aiuta, chi ne ha bisogno a trovare la strada per conoscere alcune dinamiche dell’io che portano al conosci te stesso. Questo è un primo passo verso la conoscenza di sè. L’insegnamento delle Guide è di una portata più vasta e non vedo come si possano paragonare i due insegnamenti e fare confusione. ma se Scifo dice che cosi è, evidentemente ne ha avuto esperienza.

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  4. Ancora una volta di più si ribadisce la soggettività della realtà sia per quanto riguarda la verità, che rimane sempre un’appropriazione dell’individuo, sia per quanto riguardo la generazione della realtà stessa funzionale al camino di evoluzione. Grazie.

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  5. Allargherei il ruolo dello psicoanalista a tutte quelle attività basate sull’aiuto all’altro, al prendersi cura.
    Come viene riportato, chiunque può svolgere la funzione descritta dallo psicoanalista fermo restando che il suo ruolo è quello di supporto al paziente che è attore unico della propria guarigione.
    Non posso evitare di fare una riflessione sull’organizzazione attuale della sanità pubblica in cui non viene più tenuto in considerazione, o comunque minimizzato, il “tempo di cura” cioè la possibilità di avere quel tempo relazionale che ruota attorno alla prestazione e che veramente diventa incisivo nel rapporto di cura.

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