Rabbia e violenza personale e di gruppo [A49]

D – Noi siamo praticamente «condannati», in questo momento di crisi, ad andare verso un escalation di violenza? (Anno 2010, ndr)

Io non direi questo. Direi che certe parti della società che magari non hanno ancora compreso determinati elementi sono tendenti ad andare verso la violenza, di conseguenza la violenza si farà sentire più forte. Ricordiamo, inoltre, che la violenza ha più ribalta, ha più eco di quello che può avere solitamente un atto di amore, anche attraverso ai vostri mezzi di comunicazione. Nei vostri telegiornali non c’è mai una notizia in prima pagina che dice «la tal persona ha baciato con trasporto un’altra persona». La notizia di prima pagina è «la tal persona ha accoltellato un’altra persona».

D – Noi, presi singolarmente, dal momento che sappiamo che le cose stanno così, cosa possiamo fare per spostare l’equilibrio a poco a poco, affinché ciascuno di noi, nel suo piccolo, dia il suo contributo? Qual è la giusta attitudine nella quale porsi?

C’è una sola possibilità per farlo ed è quella che predichiamo da trent’anni: la possibilità che ogni individuo ha per cambiare le cose, la realtà, la società, il mondo è quella di cambiare se stesso. Se tu non sei violento, non porterai mai la tua violenza all’esterno perché non hai violenza, e più persone riusciranno a non avere violenza all’interno, meno la società diventerà violenta.

L’assenza di violenza non può essere un’imposizione; certo si può limitarne l’espressione con le leggi, si possono usare mezzi coercitivi, ma fino a quando l’individuo, prima uno, poi due, poi cento, poi mille, poi un milione non riusciranno a escludere o a limitare la violenza dentro di loro, la società sarà sempre violenta, qualsiasi mezzo si possa usare per frenarla o per inibirla. D’altra parte voi stessi assistete con che difficoltà si riesce, oggi come oggi, a tenere a freno questi episodi di violenza improvvisi.

D – La violenza non è altro che un distruggere, non è un costruire, mentre più avanti che si va con l’evoluzione il costruire è, tutto sommato, un atto d’amore, il distruggere è una cosa semplice che riescono a fare tutti.

Diciamo che sono due facce della stessa medaglia, come sempre l’una non esisterebbe, non sarebbe comprensibile senza l’altra. Sono due fasi necessarie da attraversare per l’individuo, e quindi per la società che, non dimentichiamolo mai, è composta comunque da individui, ed entrambe portano, alla fine, da una direzione o dall’altra, alla comprensione: anche la persona più violenta prima o poi arriverà a comprendere che con la violenza non ottiene nulla.

D – Giustamente dal punto di vista della comprensione individuale non cambia niente, ma io dicevo che nel tessuto sociale distruggere è la cosa che ti viene più facile perché non c’è bisogno che ti impegni poi molto, costruire è molto diverso.

Sì, teoricamente posso essere d’accordo con te, effettivamente, in apparenza distruggere è più facile che costruire. Però mettiti un attimo nei panni di chi distrugge: in realtà, rivolge la violenza prima di tutto verso se stesso, non passa mai indenne dall’esercizio della violenza, perché comunque sia, qualche parte della sua coscienza ha capito e qualcosa gli ritornerà indietro come segnale che le sue azioni sono sbagliate, e poi – inevitabilmente – la sua violenza provoca la reazione da parte degli altri.

E l’individuo ha bisogno degli altri; per quanto possa far finta di non averne bisogno, o di snobbarli o di non interessarsi di loro, in realtà, nel momento in cui fosse veramente solo si renderebbe conto che gli altri gli mancano, che degli altri ha bisogno.

Difatti, se ci pensate, queste persone poi alla fin fine difficilmente sono sole, lavorano quasi sempre in gruppo perché hanno bisogno di sentirsi amati e importanti all’interno di un gruppo anche se, magari, si rendono conto che è un gruppo sbagliato. Ma il loro bisogno di considerazione e importanza è talmente forte da sovrastare qualsiasi altra valutazione.

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D – Anche la reazione rabbiosa dal punto di vista sociale è soggetta a picchi come quella individuale?
Certo.
D – Che cosa fa sì che si manifesti un picco in una determinata situazione individuale o sociale (per restare in questo contesto), e perché non si verifica in tante altre situazioni?

Direi che le condizioni affinché il picco si verifichi sono essenzialmente le stesse per l’individuo e per il gruppo. Il picco risulta da un accumulo di vibrazioni che a un certo punto sfugge al controllo e deve in qualche modo essere espresso perché altrimenti l’individuo si trova a stare troppo male in quanto troppo disequilibrato con se stesso.

Questo accade esattamente allo stesso modo anche per il gruppo: il gruppo continua a sottostare alle tensioni, quindi a ricevere e accumulare vibrazioni, vibrazioni ovviamente di rabbia, e quando arrivano a un certo punto queste vibrazioni devono essere rilasciate altrimenti tutto il gruppo soffre.

La differenza sta nel fatto che quando è un individuo solo si ha una sofferenza limitata in quanto personale; quando si tratta di un gruppo, invece, la sofferenza per l’individuo diventa più grande, perché vi sono tutte le interazioni tra individuo e individuo che rendono questo tipo di vibrazioni ancora più dolorose per chi le sta vivendo, dal momento che si alimentano l’una con l’altra.

D – Come si fa a far sì che non ci sia questo accumulo di vibrazioni? Perché è come se non ci fosse una valvola di sfogo, una cosa si riempie, si riempie fino a quando non si riesce più a contenerla.

Qua forse la situazione è diversa da gruppo a individuo. Per riuscire a tenere sotto controllo e, un po’ alla volta, a sciogliere la vibrazione di rabbia e il relativo picco, è necessario che l’individuo sia capace di deviare una parte delle vibrazioni che alimentano il picco verso altre cose, verso altre situazioni, diminuendo gradualmente la forza vibrazionale del picco; in questo modo la rabbia resta (perché non vi è stata comprensione), però non corre più il rischio di diventare esplosiva, si manifesta con una reazione del momento accettabile senza diventare dannosa per e per gli altri.

Sotto un certo punto di vista, è un po’ lo stesso collegamento che si può fare con la sessualità: nel secolo scorso, spesso si diceva ai giovani che manifestavano una sessualità particolarmente accentuata, particolarmente forte, che dovevano fare dello sport per riuscire a tenerla maggiormente sotto controllo.

Ecco, questo è un modo per distogliere energie, in questo caso energie fisiche, dall’accumulo di energie sessuali (quindi principalmente fisiche, in età adolescenziale) che, altrimenti, potrebbero accumularsi e provocare dei problemi nella manifestazione di queste energie all’individuo stesso.

Ora, se voi riusciste, quando cominciate a sentire crescere la vostra tensione (perché vi accorgete, se state attenti, che il vostro picco sta un po’ alla volta salendo e che si corre il rischio che diventi poi troppo forte ed esploda all’esterno), a togliere vibrazioni ed energie alla crescita di questo picco, ecco che il picco non sarà mai esplosivo.

La cosa migliore per far diminuire l’ondata vibrazionale che può portare a un picco è quella di affrontare direttamente la situazione collegata alla crescita del picco, cercando di far scemare attraverso considerazioni mentali e considerazioni emotive, quelle vibrazioni che stanno nascendo sempre più forti al proprio interno; in questa maniera la reazione emotiva non verrà alimentata in continuazione e a sua volta anche il picco non arriverà al punto critico. Così sarà più facile, per il sentire, riuscire a fare da moderatore in queste tensioni che avete all’interno. Scifo

Annali 2008-2017

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