Un esempio di archetipo transitorio, quello degli alpini [IF77.2]

[…] D – Scifo, quale archetipo transitorio potremmo aver sviluppato noi, qua, in Italia?
Eh, l’archetipo degli alpini, ad esempio. Era una battuta per alleggerire ma, forse, questa manifestazione che si sta tenendo in questa città in qualche maniera può essere usata per i nostri scopi, per cercare di comprendere cosa sta dietro – a livello spirituale – a una manifestazione del genere.

È troppo facile dire, che so io: “Queste 100.000 persone, o 200.000 persone si sono radunate soltanto perché così hanno la scusa per far baldoria, magari, per alzare un po’ il gomito, farsi vedere” e via e via e via. In realtà è chiaro che sono tutti spinti da qualche cosa che li accomuna; giusto? Se non vi fosse questo qualche cosa che li accomuna, non sarebbero così tanti nello stesso luogo, con lo stesso desiderio di stare insieme.

Questo significa che, oggi (18-20 maggio 2001, ndr), tutti quelli che sono presenti in questa città, sono spinti dalla creazione di un archetipo comune. Questo archetipo comune è un archetipo che si è formato nel tempo, nei decenni, attraverso l’idea di un gruppo, di certi valori di un gruppo, e mano a mano che le persone si aggiungevano al gruppo iniziavano a credere, a comprendere, ad assimilare questa idea di gruppo.

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Quindi si avvicinavano a un’idea di fratellanza, pur parziale, pur limitata, pur settoriale quanto volete, tuttavia già un allargamento rispetto a quella che è l’idea che sembra normale nella vostra società. Ecco, quindi, che la presenza di tutte queste persone in questa città può essere indicata come l’influenza o l’azione di un archetipo creato da queste persone sulla base di una comprensione che li accomuna.

[…] Io volevo parlare ancora un attimo all’amico M. visto che aveva fatto una domanda che ha suscitato interesse anche in altri; ovvero il discorso delle razze successive, delle ondate successive d’incarnazione sul pianeta in relazione alla costituzione di questi benedetti archetipi transitori. Ora, ricordiamoci che non è “fuori una razza, sotto l’altra”; non vi è un succedersi l’una all’altra delle varie razze, ma vi è un sovrapporsi dell’esistenza delle razze.

Questo cosa significa? Significa che quando, supponiamo, la seconda razza viene a incarnarsi all’interno del piano fisico, quando una parte della prima razza esiste ancora, questa parte della prima razza nel frattempo ha già creato degli archetipi transitori, giusto? La nuova razza si viene a trovare a contatto con la vecchia razza, nella società creata dalla vecchia razza, si adatta a questa società, fa suoi certi ideali ed ecco, quindi, che può arrivare a credere, a partecipare agli archetipi transitori della vecchia razza; si trova quindi un substrato tale dal quale può partire per creare poi archetipi personali allorché la vecchia razza non sarà più incarnata sul pianeta.

D – Quindi, da un certo punto di vista, parte da un punto più elevato, o no?

Diciamo che forse, all’inizio, ha un cammino più veloce, perché si trova degli schemi già preordinati, una certa parte di lavoro già fatto, diciamo così, e del quale può usufruire come strumento che le può servire per accelerare il suo percorso lungo il cammino evolutivo; però questo non significa che poi il tempo della razza – visto l’enormità dei bisogni evolutivi, del percorso evolutivo – non finisca con l’essere pareggiato; non è che una razza ci metta 10 anni e l’altra 100.000 o viceversa.

D – Scusa, ci sarà quindi la complicazione di sciogliere questi archetipi che esistono da un sacco di tempo.

Ad esempio questo sarà un motivo per cui quel ‘vantaggio’ acquisito dall’entrare nel gioco evolutivo come seconda razza verrà perso, in buona parte, nel tentativo appunto di sciogliere quegli archetipi transitori per formarne degli altri, perché avranno una certa loro stabilità ormai. Scifo

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2 commenti su “Un esempio di archetipo transitorio, quello degli alpini [IF77.2]”

  1. È come insegnare a sciare ad uno che già qualcosa sa fare.
    All’inizio parte avvantaggiato perché non cade subito per terra come il neofita totale, poi però fatica di più rispetto a quest’ultimo, nel momento in cui deve correggere alcune impostazioni acquisite in precedenza ma errate.

    Penso che gli archetipi transitori siano un po’ come quelli che noi chiamiamo “miti”, molti dei quali da sfatare.

    Penso all’atteggiamento verso il lavoro, sviluppato nelle civiltà industriali (lavorismo efficientista produttivistico), ai “miti eterni della patria e dell’eroe” di cui cantava Guccini, che eterni mi auguro non siano, ma anche al mito del matrimonio, della fedeltà coniugale ridotta alla sfera sessuale, al mito forse anche dell’amicizia.

    Tutti aspetti che dapprima aiutano l’uomo ad uscire dallo spazio angusto del proprio ombelico ma che poi, se non superati, diventano dei recinti che imprigionano.

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  2. Molto interessante. Le considerazioni qui riportate mi fanno pensare ai flussi migratori che dall’Africa e dal Medio Oriente confluiscono in Europa. Checché se dica nel nostro continente lo “stato di diritto” è un archetipo transitorio (o permanete?) acquisito, che storicamente non si è ancora del tutto sviluppato in alcune aree del pianeta.

    I migranti, in fondo, sono attratti da questi archetipi di libertà, di rispetto dell’altro, di tolleranza, ecc. In questo vedo il grande servizio che l’Europa può fare all’umanità: trasmettere questa eredità immateriale e spirituale a quei sentire che sono pronti per misurarsi con essa.

    Questo senza nessuna velleità “colonialistica”. Perché l’apprendimento, come ogni apprendimento, non è a senso unico. Quello che abbiamo da imparare da questo incontro è la pazienza, la compassione, l’esercizio dell’accoglienza, l’ampliarsi della comprensione che siamo tutti fratelli e che reciprocamente siamo in servizio.

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