I rapporti familiari, la capacità di ascoltare

D – Volevo chiederti una cosa: quando all’interno di un nucleo familiare un affetto – che logicamente esiste – viene vissuto come un condizionamento e quindi l’individuo fa di tutto per scrollarselo di dosso…

I rapporti sono per forza affettuosi, ho ragione nel pensare che sia sbagliato cercare questo distacco dalla famiglia di origine?

Distaccarsi dalla famiglia di origine significa mantenere intatto il proprio affetto pur facendo le proprie scelte, la propria vita.

D – Ecco, se mi puoi chiarire un po’ il concetto, tanto lo sai il problema che ho.

Guarda, il discorso del distacco è un discorso diciamo “naturale” proprio perché, nel corso dell’evoluzione dell’individuo incarnato, vi è sempre il momento di passaggio dell’affettività da se stesso ai genitori, dai genitori ai fratelli, dai fratelli agli amici, dagli amici ai compagni, cercando di allargare sempre di più questo cerchio e vi è quindi l’impressione di dover vivere un distacco dalla famiglia.

In realtà, il distacco – ripeto – può essere fisico, può essere di situazioni, può essere d’interessi, ma l’affetto – se l’affetto vi era in partenza – non può venire annullato completamente.
Certamente vi è il compito, il desiderio, proprio per l’evoluzione dell’individuo, di cercare nuovi stimoli che magari la famiglia non dà più o non permette di cercare, e allora viene spontaneo che il figlio, in qualche modo, un po’ alla volta si allontani dalla famiglia per crearsi quello che è poi il proprio ambiente familiare, senza rendersi conto che molte volte poi ricrea la famiglia che ha avuto nella famiglia che creerà.

Quindi questo legame, questa continuità esiste sempre.
Poi vi è questo sbagliato concetto di condizionamento; il condizionamento effettivamente esiste in tutte le cose, lo sapete benissimo; voi siete sempre condizionati da qualche cosa, come minimo siete condizionati già in partenza dalla vostra coscienza, dal vostro sentire; questo già in qualche modo limita e dirige le vostre scelte perché voi scegliete in base a quello che avete compreso o quello che non avete compreso, quindi sentire il condizionamento come una catena, alla fine, molte volte diventa un modo per scaricare la responsabilità sugli altri.

Certamente ci sono, nei rapporti, le persone che si influenzano reciprocamente: molte volte si cerca – anche senza rendersene conto – di ottenere dall’altra qualcosa, di desiderare che l’altro si comporti in un certo modo, si cerca insomma anche inconsapevolmente di condizionare l’altro secondo quelli che sono i propri desideri, però il problema è riuscire a capire quello che si desidera fare, ciò che si desidera essere, senza pretendere che l’altro cambi, a quel punto.

D – Quello che mi disturbava era proprio il senso di colpa per ciò che si vorrebbe fare ma non si è più in grado di fare verso la famiglia di origine. Rimane questo senso di colpa per non fare, però d’altronde non si vuole fare.

Ma, vedi, anche il senso di colpa è il tipico argomento che viene usato dall’individuo per buttare all’esterno qualcosa che è interno. Se nel tuo agire sei sincero, se la tua intenzione è sincera, se tu sei convinto di quello che stai facendo non ti verrà mai il senso di colpa, qualsiasi cosa le altre persone ti dicano o facciano.
Se tu senti un senso di colpa è perché, in realtà, quanto stai facendo o hai fatto era motivato da qualche cosa che non vuoi riconoscere neppure a te stesso.

D – Riagganciandomi alle domande precedenti, compresa la mia, pensavo che la cosa più difficile – ritengo, per tutti o quasi tutti – è quella di potersi esprimere liberamente, quindi ci si auto esclude già dall’inizio da un momento di possibile confronto di chiarezza, di dialogo. Ecco, come si può superare questo? Secondo me, io sono convinto che sia molto meglio esprimersi comunque e cercare di fare chiarezza piuttosto che vivere di storture e di recriminazioni, eventualmente, e poi anche di sensi di colpa per non aver voluto avviare questo tipo di dialogo.

E io invece ho un’idea leggermente diversa dalla tua.

D – Come sempre!

Tu hai detto che sei dell’idea che sia bene esprimersi e parlare, in modo da eliminare questi problemi; io invece dico che il punto principale – questa è la mia opinione, naturalmente – non è questo, perché se uno vuole esprimersi, in un modo o nell’altro, con le parole o con le azioni, riesce sempre ad esprimersi.

La difficoltà è che nessuno di voi, invece, riesce ad ascoltare; questo è il punto importante. Siete tutti portati – tu, per esempio, sei molto portato! – più a esprimere con le parole che ad ascoltare te stesso e ascoltare veramente gli altri.

Se voi poneste più attenzione a quello che dite e a quello che gli altri dicono, a quello che fate e a quello che gli altri fanno, allora riuscireste senza dubbio a instaurare un rapporto diverso perché riuscireste a comprendere meglio quali sono le vostre intenzioni e qualche volta di più, magari, quelle che sono le intenzioni degli altri.

Invece quel meraviglioso dono – come ha detto una volta Scifo – che vi è stato dato, che è la parola, lo usate quasi sempre per creare delle barriere con gli altri, o rifiutandovi di parlare oppure erigendo dei muri altissimi di parole messe una sopra l’altra che diventano alla fine impenetrabili, quando addirittura non crollano poi addosso a voi, addosso agli altri, provocando problemi per tutti.

Quindi il mio consiglio sarebbe – invece di creare nuove sovrastrutture tra voi e gli altri e anche con voi stessi – di cercare di avere degli attimi di silenzio in cui ascoltare, invece, attentamente sia voi stessi sia le altre persone.

Questo sarebbe un modo migliore per poter comunicare, ma il silenzio tra due persone voi spesso lo vivete come un momento di disagio (perché io vi osservo, a volte, quando parlate): se, di punto in bianco, due di voi che parlano tacciono contemporaneamente per più di mezzo minuto, ecco che uno incomincia a dire: “Adesso cosa dico? Cosa sarebbe meglio fare? Cosa sarebbe meglio dire?” e via dicendo, e l’altro si preoccupa allo stesso modo, fino a quando poi magari dicono la prima cosa che viene in mente ed è, magari, qualche sciocchezza o qualcosa che non volevano dire.

Il modo migliore, invece, sarebbe di usare quei momenti di silenzio per ascoltare le vibrazioni che sono in voi e negli altri e, in base a queste vibrazioni, poi cercare di far sgorgare quello che è il vostro sentire.

D – Io ho un problema che ha attinenza con l’argomento che stiamo trattando, però è l’opposto, il contrario. Non riesco a staccarmi dai due figlioli che ho e a fare in modo che loro si realizzino, si allontanino da me divenendo indipendenti. Secondo te è perché io non faccio abbastanza oppure…

Forse perché fai troppo.

D -… o perché faccio troppo, oppure può esserci un’influenza esterna che impedisce affinché la volontà mia o di questi figlioli vada in porto?

Guarda, io più che di influenza esterna parlerei proprio di rapporti all’interno dell’ambito familiare. Purtroppo bisogna anche considerare una cosa: la situazione attuale dei giovani non è molto facile perché le vie di sbocco per costruire una propria vita sono difficili da trovare, e il più delle volte quando si trovano non sono appaganti e gratificanti come uno desidererebbe.

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Quindi c’è il tentativo, a quel punto, di lasciar perdere, il tentativo di spostare l’attenzione, e il problema – come dicevamo prima – all’esterno della famiglia, finendo per rinchiudersi in quel bozzolo che, bene o male, dà una certa sicurezza e quindi fa sentire illusoriamente tranquilli all’interno di quel tran-tran quotidiano che si va a stabilire col passare del tempo.

Forse il problema tra di voi è che non riuscite a stimolarvi nel modo giusto e, vedi, quando sono situazioni così personali, noi non possiamo dire poi tantissimo, dobbiamo cercare di darvi degli stimoli per farvi comprendere e qua è un po’ difficile darvi uno stimolo senza…

D – Conoscere certi particolari.

No, anche conoscendo i particolari, senza essere troppo espliciti in maniera tale da non dare la soluzione noi, perché dare la soluzione noi significa togliervi la possibilità di comprendere personalmente – quindi con un’aggiunta di comprensione interiore – quello che è il giusto comportamento.

Io direi che, comunque, questi ragazzi vanno spinti; vanno spinti il più possibile, questo sì, senz’altro vanno spinti il più possibile ma non in modo “aggressivo”, ma cercando di capire quali sono i veri interessi, quali sono le vere direzioni che essi possono ambire a trovare nel futuro.

Certamente questo comporta, magari, aprirsi in modo diverso da come è stato fatto fino adesso… quante volte accade che i propri figli si conoscano ma soltanto sotto l’impressione che si aveva di loro quando erano ancora bambini.
Nel frattempo essi hanno vissuto esperienze, hanno immagazzinato determinati tipi di rapporti di cui voi non sapete nulla, e sarebbe molto meglio che riusciste a far aprire di più questi ragazzi.


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6 commenti su “I rapporti familiari, la capacità di ascoltare”

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