Il sorgere dei concetti di bene e di male e la loro evoluzione 1 [sf24]

Fin dai primordi, l’uomo, con i suoi primi, goffi tentativi di rappresentarsi la realtà che si trovava a dover affrontare nel corso della sua esistenza, si è trovato di fronte alla necessità di distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male, quindi al dover fare una distinzione filosofica all’interno di ciò che stava vivendo.

Il semplice uomo delle caverne risolveva in maniera immediata e, per la sua semplice evoluzione, soddisfacente, la questione, forte della poca esperienza che ancora possedeva, derivante per la massima parte da quell’eredità di imprinting e di istinto che proveniva dal suo recente passaggio incarnativo attraverso il regno animale: era qualificabile come bene tutto ciò che aiutava la sua sopravvivenza (dal cibo, alle pelli per coprirsi dal freddo, al fuoco per rischiarare le sue notti buie e spaventose) e, invece, come male tutto ciò che poteva rendere il decorso della sua vita estremamente doloroso e difficile (dalla fame al freddo, alle malattie), finendo spesso con l’abbreviare in maniera drammatica i suoi giorni.

Poi nacque l’idea di qualcosa di immanente, di invisibile, di imprecisabile che governasse la vita dell’essere umano, una larvata sensazione dell’esistenza di entità superiori che, con la loro benevolenza o con la loro accidia, condizionavano e indirizzavano la vita dell’uomo in maniera positiva o in maniera negativa. 

Dapprima questa forza, al di sopra delle potenzialità umane, venne personificata negli elementi della natura, facendo immaginare ogni forza della natura come entità superiori di fronte alle quali l’uomo si trovava in balia della natura stessa: le piogge lo sferzavano, il sole illuminava i suoi giorni riscaldandoli, il vento asciugava le sue misere vesti, il mare flagellava le coste proclamando la sua forza irresistibile. 

L’osservatore più attento di quelle epoche si accorgeva che la delimitazione tra i due termini contrapposti bene/male non era così precisa anzi, spesso sfumava oppure era presente, in ogni elemento della natura, una tale ambiguità e ambivalenza che diventava difficile, all’uomo dell’epoca, dare a ognuno di essi una connotazione precisa: se la pioggia scrosciante allagava la sua caverna e rendeva piene di terrore le sue notti illuminate a tratti dai lampi e squassate dal rombo dei tuoni, contemporaneamente dava rigoglio alle piante di cui si cibava.

Se il sole dava sicurezza ai suoi giorni e calore al suo corpo poteva anche far bruciare la sua pelle e far seccare quelle stesse piante che erano una preziosa fonte di sussistenza; il vento che rendeva piacevoli le giornate estive rendeva spesso insopportabili quelle invernali; il mare che travolgeva le fragili imbarcazioni che l’uomo cercava di costruire per solcare le onde ospitava una fonte di delizioso cibo.

Finalmente Urzuk (personaggio di fantasia, ndr), il primo filosofo nella storia dell’uomo, arrivò a comprendere che le cose non stavano proprio come tutti avevano pensato fino a quel momento e che le forze della natura non erano vive – nel senso umano del termine, almeno – ma corrispondevano a leggi naturali, spontanee e non avevano caratteristiche tali da poter loro attribuire caratteristiche di benevolenza o di malevolenza.

Per voi, uomini raffinati del terzo millennio dell’era moderna, tutto questo sembra ovvio e persino banale. Ma riuscite a immaginare il nostro Urzuk che sforzo di creatività dovette compiere per abbandonare le antiche e fortemente vittimistiche concezioni del passato e concepirne di nuove?

Non vi sembra che un tale epico sforzo avrebbe dovuto far sì che il suo nome venisse tramandato con gloria fino ai giorni vostri? Di fronte allo scorrere dei millenni, ahimè, la gloria, gli onori e la propria personale esistenza, per importante che sul momento possano essere sembrati, finiscono con l’offuscarsi e cadere inevitabilmente nell’oblio, e del “grande uomo” del passato, alla lunga, non resta traccia, se non nella catena di eventi che ha messo in moto permettendo al Grande Disegno di svilupparsi lungo le sue complesse vie.

Sono certo che una curiosità è nata dentro di voi: come ha fatto Urzuk, così limitato nelle conoscenze e nelle capacità intellettive a rendersi conto che le forze della natura non erano divinità benevole o malevole, a seconda delle occasioni, bensì semplici azioni meccaniche messe in moto dalla natura?

Possibile mai che voi, raffinati e sensibili pensatori del terzo millennio, figli della tecnologia e della conoscenza, piccoli sapienti a contatto con le grandi filosofie  del passato e con gli insegnamenti attuali, non abbiate già sulla punta della lingua l’ovvia risposta?

Urzuk, nella sua semplicità, siccome non aveva la televisione o il videoregistratore o i libri per riempire le sue giornate, nel tempo libero osservava il grandioso spettacolo che la natura instancabilmente gli metteva in scena e fu così che un pensiero sfavillò nella sua coscienza: 

“La tempesta infuria anche quando io sono bene al riparo nella mia grotta sopraelevata all’interno della montagna, il sole cocente non mi scotta se mi siedo al riparo di un albero frondoso, il vento non mi sferza più se solo giro l’angolo di una roccia, il mare percuote lo stesso le spiagge con le sue onde anche nei giorni in cui io non mi avventuro sulle sue acque. Non posso che arrivare a concludere che nessuno di questi avvenimenti è veramente rivolto contro di me, ma pioggia, vento, sole e mare continuano semplicemente a fare ciò che hanno il compito di fare, indipendentemente dal fatto di potermi nuocere o aiutare.”

Ora che ne ho parlato vi sembra una cosa così semplice da sembrare quasi ridicola, e, nella vostra altezzosità, magari pensate anche che, in fondo, il nostro Urzuk non ha conquistato una concezione poi così notevole.

Ah, creature mie, se ricordaste più spesso il ragionamento di Urzuk  e lo faceste vostro ogni volta che vi lamentate di quello che vi accade, ogni volta che vi sentite come se il mondo intero fosse lì soltanto per crearvi delle difficoltà!

Ritornando al nostro Urzuk c’è poco altro da dire su di lui: non era certo un Leonardo da Vinci e per nobilitare la sua esistenza ha avuto soltanto quell’unico pensiero, abbozzo informe di un ragionamento filosofico, tentativo persino sorprendente – viste le possibilità di pensiero dell’uomo dell’epoca – di applicazione di quel processo logico che ultimamente abbiamo cercato d’insegnarvi.

Dopo non lungo tempo, ché la vita dell’uomo all’epoca era decisamente più corta di quella dell’uomo attuale, Urzuk morì, come sempre accade all’uomo incarnato, anonimo e inconsapevole esempio dell’omerica* frase: “Nati non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”.

E, come sempre accade a ogni individualità finché non ha portato a termine il suo programma di comprensione all’interno del piano fisico, Urzuk si reincarnò.

Il suo nuovo nome non ha importanza (per comodità continueremo a chiamarlo Urzuk, così come, per comodità, creeremo una improbabile linea incarnativa di Urzuk come simbolo dello sviluppo dell’idea di bene-male nell’uomo) ma nel tempo la sua minuscola idea era stata accettata dai suoi discendenti che le avevano apportato piccole correzioni e piccoli ampliamenti, cosicché essa era diventata ormai un elemento fisso delle concezioni dell’uomo, anche se non aveva avuto per molto tempo degli sviluppi significativi.

Ma il nuovo Urzuk era uno di quegli uomini la cui esistenza era necessaria al Grande Disegno per aggiungere nuovi colori e nuove forme alla sua complessità, ed egli non tradì il suo compito, ponendosi ancora di fronte al tentativo di comprendere meglio cos’era il bene e cos’era il male.

“Se – egli si disse – il bene e il male che mi accadono sono indipendenti dalla mia presenza sul pianeta (probabilmente non usò questo termine ma semplicemente l’equivalente del termine “mondo”) è ovvio che non dipendono da me. Tuttavia io sento che esistono. Quindi deve esserci un qualche essere che ha in mano le redini delle vicende umane.”

E nacque così il concetto di Dio: un essere immanente, al di sopra della realtà umana, che presiedeva a distribuire, più o meno capricciosamente o giustamente, benefici o disgrazie a ogni essere umano incarnato.

Un Urzuk successivo, antesignano dell’ipotesi dell’esistenza del libero arbitrio nell’uomo e un po’ stufo di sentirsi in completa balia degli avvenimenti, si domandò come influenzare in qualche modo le decisioni divine in favore dell’umanità.

E così nacque il concetto di religione: magari, dimostrandosi servile, ossequente, adorandolo e facendogli offerte, l’uomo avrebbe potuto indurre la divinità a essere più spesso benevola che malevola, magari avendo un occhio di riguardo verso i suoi adoratori a scapito di chi non lo aveva riconosciuto come Dio e che quindi, con ottima probabilità, avrebbe attratto più facilmente su di il male, facendo beneficiare, conseguentemente, di una maggior quantità di bene, tutti coloro che amavano, servivano e riverivano il Dio.

L’Urzuk seguente – incarnatosi non molto dopo (e infatti l’idea che questi escogitò è quasi contemporanea a quella precedente) – perfezionò furbescamente quanto ideato dal suo predecessore: 

“Siccome il Dio ha un caratterino niente male, potrebbe anche sentirsi infastidito dalle preghiere di tutti gli uomini che lo adorano: tutte quelle lamentele e quei piagnistei alla lunga possono risultare irritanti. Però se un solo uomo si prendesse il compito di far da portavoce per tutti gli altri, oltre ad aiutare gli altri fedeli e a sollevare un po’ il Dio dalle mille e mille voci imploranti, diverrebbe anche il primo beneficiario del bene divino”.

E così nacque il concetto di sacerdote, necessario e insostituibile intermediario con la divinità.

Probabilmente, in qualche punto della catena reincarnativa il pensiero filosofico di Urzuk aveva incominciato a incrinarsi, a mostrare qualche pecca, anche se dal punto di vista logico la successione delle idee che mise alla luce sembrarono ineccepibili nelle varie epoche in cui nacquero.

Infatti nacque il concetto di Chiesa al fine di radunare in un unico corpo fedeli e sacerdoti. E poi il concetto di Papa, intermediario degli intermediari, uomo infallibile (da notare la contraddizione in termini dei due concetti), vicario in Terra di un Dio sfuggente.

E il concetto di bene e male?  Gli Urzuk lo risolsero, infine, o no?
Ahimè se ne disinteressarono, attratti da altre esigenze e da più immediate questioni. Non che la cosa venisse ignorata, semplicemente un Urzuk, forse il meno creativo di tutti gli altri, arrivò a immaginare che la volontà di Dio è imperscrutabile e quindi il bene e il male sono imperscrutabili anch’essi in quanto espressione dell’intervento divino nella vita dell’uomo.

Ma ormai il primo Urzuk aveva dato il via – come sempre accade – a una catena d’imitatori che, nei secoli, diedero vita alla filosofia, interessandosi a tutto ciò che riguardava l’uomo.

Il concetto stesso di bene/male venne esaminato nelle sue varie prospettive, creò linee di pensiero, tendenze di ragionamento, dal materialismo al pessimismo, dal materialismo storico di Marx alla psicoanalisi, mentre il concetto altalenava tra la ricerca all’esterno dell’uomo e la ricerca, invece, al suo interno, spesso contraddicendo se stessa e dando luogo a miriadi di concezioni.

Anche noi non siamo da meno e abbiamo proprio intenzione di parlarvi del bene e del male alla luce di quanto vi abbiamo detto nel corso di questi anni. Alcuni di voi si annoieranno, altri ne saranno felici e se sarà un bene o un male per voi solo il tempo potrà dimostrarlo.
Resta il fatto che nel grande Disegno così sta scritto e, perciò, così faremo. Scifo

*Scifo preciserà l’uso dell’aggettivo ‘omerica’ nella comunicazione successiva. Ndr.

Dal ciclo Sfumature di sentire 2002-2007

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