Mettersi nella condizione di poter migliorare

Continua la discussione iniziata in Libero arbitrio assoluto e relativo [IF14].
D – Io volevo chiedere una cosa relativa alla possibilità di scegliere nell’Assoluto (l’unico libero arbitrio che esiste, ndr). Volevo sapere: per le persone incarnate, quante vite sono necessarie per arrivare a questa scelta nell’Assoluto?

Guarda, cara, un numero preciso non è possibile darlo in quanto il numero di incarnazioni che l’individualità compie nel suo cammino varia sempre dalla comprensione, dall’accettazione, da tutti i punti che dicevamo prima, per cui vi è maggiore o minore necessità di incarnarsi nuovamente.

Possiamo dare (come già dicevo in passato) una media, uno spettro del numero di incarnazioni, e diciamo che si va dalle 80 alle 120 incarnazioni. Diciamo che l’individualità, per compiere il suo ciclo all’interno del piano fisico, ha necessità di incarnarsi dalle 80 alle 120 volte; dipende insomma da quanto “testone” è, e da quanto riesce ad andare contro gli impulsi del proprio Io.

D – E, dopo questo, praticamente la persona non ha più bisogno di incarnarsi?

Non ha più bisogno di incarnarsi.

D – Vive come uno spirito puro?

Non è così semplice, purtroppo. Diciamo che abbandona il ciclo delle nascite e delle morti, non ha più bisogno di fare esperienze dirette nella materia fisica, nel piano fisico, tuttavia la sua evoluzione continuerà ancora perché, prima di arrivare a fondersi con l’Assoluto, vi saranno altre tappe ancora da percorrere. E i 50.000 anni (che avevamo detto tempo fa) di evoluzione dell’individuo riguardano soltanto gli anni, il tempo che l’individuo impiega per compiere le sue incarnazioni umane sul piano fisico. 

D – Scifo, tu hai detto prima il fatto che siano 80 o 120 dipende da quanto lui è testone, capisce o meno le cose, ma il nostro libero arbitrio relativo, che fa sì che uno viva l’esperienza in un modo piuttosto che in altro, quindi l’accolga o si opponga, può aiutare? Cioè il fatto di accettare, l’accettazione di quello che succede, può far sì che uno magari capisca prima?

Senza dubbio quello è uno strumento, un mediatore fornito apposta all’individuo affinché egli, se vuole, possa accorciare il suo tempo di permanenza sul piano fisico e possa, quindi, diminuire la sua sofferenza; perché voi sapete che ogni incomprensione è sempre, in realtà, accompagnata dalla sofferenza, prima, finché non si comprende, e dalla gioia, dopo, quando si è compreso.

D – Perciò il numero di vite per quel determinato individuo è variabile?

E’ variabile, più che altro, da un orologio interno dell’individuo stesso, non sono cause esterne che in qualche modo impongono… al di là del discorso dell’Assoluto in cui tutto è scritto, naturalmente. Questo, a prescindere da questo concetto.
Però, certamente, vi è questa libertà relativa dell’individuo che può condizionare il suo (e qui ancora vi è un condizionamento, fateci caso) maggiore o minor numero di incarnazioni. Quindi, in certo qual modo, si arriva all’assurdo che il libero arbitrio relativo è un condizionamento per l’individuo. 

D – Quindi può arrivare a non vivere alcune nascite e alcune morti?

Certamente.

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D – Ma allora, anche questo viverne di più o di meno è già scritto, si sa già?

Ma certamente, è già tutto scritto. L’individuo ha l’illusione di viverne di più o di meno. E’ un’illusione anche questa, senza alcun dubbio. D’altra parte, come dicevamo una volta, il disegno è già tutto dipinto. Come si potrebbe pensare che ogni pennellata ad un certo punto decida di andare per i fatti suoi?  Sarebbe uno scarabocchio e non più un disegno bellissimo così com’è.

D – Permetti, Scifo. Allora come si concilia questo duplice aspetto, che non riesco ad unificare: “Io sono testone, però non ci posso far niente perché è già scritto che io sia testone?

Eh no, cara. Tu “non sai” se è già scritto che sei testone o se è scritto che tu in quel momento capirai! Tu devi metterti nella posizione migliore per te stessa, ma non tanto al fine di evolvere o di migliorare ma semplicemente perché sai che in quel modo, mettendoti in quella condizione, hai la possibilità di annullare una sofferenza, che potresti evitare. 

D – Ecco, questa è la chiave: io non posso sapere se questo è il momento di essere testone o invece se posso sforzarmi e metterci la famosa “buona volontà” per andare contro il mio Io.

Ti serve, prima di tutto, provare a sforzarti; poi tu magari capiresti anche senza sforzarti!
Lo so che questo fa rabbia però per la tua evoluzione è necessario arrivare al punto da comprendere che devi metterti sempre nella condizione ideale per poter migliorare, al di là del risultato che otterrai.

Ed è questo, forse, un punto importante e difficile da comprendere: voi, quando vi accostate – che so io – ai nostri insegnamenti, all’esoterismo, alle religioni, e via dicendo, lo fate per migliorare voi stessi, in vista a volte del paradiso, a volte della consapevolezza sul piano akasico, a volte per ottenere un allargamento del sentire e via e via e via; in realtà voi dovreste arrivare a farlo semplicemente perché sentite che è giusto, non allo scopo di ottenere qualcosa; perché tutte queste piccole dottrine che provengono da paesi lontani finiscono per creare più problemi che altro, in quanto anche se una certa teoria di base può essere giusta sono le mete che propongono che poi portano ad errare, poiché propongono di fare qualcosa per “ottenere” qualcosa e diventano a quel punto delle dottrine che servono l’Io. 

Noi non vi diciamo di essere buoni perché meriterete il paradiso, vi diciamo di essere buoni perché dovete sentire di esserlo, per voi stessi; perché nel momento in cui sentirete di essere stati buoni, in cui vi accorgerete di essere stati buoni, sarete in pace con voi stessi e il paradiso ve lo darete da soli! Scifo


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10 commenti su “Mettersi nella condizione di poter migliorare”

  1. Senza fine e senza scopo dovrebbe essere il nostro agire: semplicemente manifestare il Quel che E’. Esercitare il libero arbitrio relativo per modificare i moti identitari e accogliere con il minor attrito possibile il nostro disegno esistenziale. Volontà e disciplina sento che mi sono indispensabili.

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  2. La differenza tra “sentire” un cambiamento e “volere” un cambiamento sembra sottile ma in verità apre a un modo molto diverso di vivere una via spirituale. Da una parte la gratuità, dall’altra il tornaconto dell’Io. Ma occorre attraversare tutti i bisogni dell’Io per approdare alla gratuità. Le due strade non sono disgiunte.
    Grazie.

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  3. L’agire senza “volere” qualcosa in cambio è un punto di arrivo, o meglio ancora di passaggio, dell’evoluzione dell’individuo. Si può prenderne coscienza una volta raggiunta quella maturità ma non è possibile evitare le fasi che lì portano. Non so quanto si possa far conto sulla volontà finché non si diventa consapevoli del processo evolutivo.

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  4. Anche se la nostra vita è già tutta scritta mi sembra che il nocciolo della questione sta in quello che dice Scifo :noi non lo sappiamo perciò dobbiamo valutare, di volta in volta quale è la scelta più opportuna.

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  5. L’agire senza scopo!
    Quante volte ho sentito dire: ma chi te lo fa fare?
    L’essere in pace con se stessi è quello stato che fa assaporare l’unione con l’Assoluto….o forse lo è già.

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  6. Questo dover andare “contro gli impulsi del proprio io”, dal momento che l’io è illusorio e riflette la comprensione della coscienza, non mi convince affatto.
    Capisco il concetto ma cercherei parole più adeguate, più consone per esprimerlo.
    Quello che esprimo è un moto istintivo o forse intuitivo. Non riesco ad argomentare diffusamente ora.
    Grazie

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  7. Riconosco che l’io trova forme via via, sempre piu’ raffinate per soddisfare il proprio bisogno di stare al centro.
    Ma stanarlo e’ sempre piu’ facile e l’attitudine ad operare nella gratuita’ piu’ fluida.

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  8. In certi ambienti spirituali ci si preoccupa di sapere quante vite ancora si dovrà vivere. C’è come un’ansia di arrivare a concludere una faccenda scomoda.
    L’impostazione del discorso data da Scifo sposta l’attenzione dal numero delle vite da vivere alla necessità di mettersi nella condizione di poter migliorare, non tanto per rafforzare una buona immagine di sé, ma per fare quello che si sente essere giusto.
    E’ come se dicesse: Dobbiamo metterci nella condizione di migliorare, non per il fine di migliorare, ma perché diamo ascolto a una voce interiore che ci spinge ad andare oltre noi stessi, senza curarci troppo del risultato. Il risultato, ovvero il raggiungimento di una stato di pace, avverrà come conseguenza della nostra dedizione.
    E’ interessante sapere che, comunque, il numero di vite, sebbene esso dipenda dalla nostra disponibilità a comprendere, è già prefissato. E’ una sorta di paradosso. Mi sforzo per fare meglio e quello sforzo è già previsto. Proprio come in un film in cui il personaggio recita la parte assegnata, con le sue resistenze oppure con la sua cedevolezza.
    E la cedevolezza, l’accogliere quello che la vita porta fa scivolare via dall’ingombro dell’incarnazione con più facilità, proprio perché l’incarnazione non è più sentita come un ingombro, ma come il dono necessario per poter tornare a Dio, pur essendo già in Dio.

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