Dare un senso alla vita cambiando, comprendendo [sf29]

Il senso d’insoddisfazione cammina al tuo fianco quasi costantemente: difficilmente ti senti felice e in pace con te stesso e, anche nei rari casi in cui questo accade, basta un niente per farti ritrovare quell’insoddisfazione che, principale caratteristica del tuo Io, è pronta a manifestarsi a ogni battito di ciglia.

Non perdere mai di vista, non dimenticare mai che il tuo compito principale è, e resta sempre, quello di comprendere, e che per poterci riuscire nella maniera più veloce, per poter rendere la sofferenza non una condizione perpetua ma uno stato transitorio è necessario che tu comprenda la tua interiorità.

E per poterci riuscire nel modo migliore devi osservare te stesso mentre vivi le esperienze che la vita ti propone, una dopo l’altra.
Ricorda sempre che darai un senso alla tua vita nel momento stesso in cui, osservandoti, permetterai alla tua coscienza di comprendere.

Lo so, osservarti significa anche vedere cose di te stesso che vorresti poter ignorare, e questo non ti lascia indifferente, perché significa soffrire per ciò che vorresti essere e che, invece, ti rendi conto di non riuscire a essere.

Eppure osservare queste cose rende la sofferenza della loro scoperta superabile, non le lascia a suppurare dentro di te come un bubbone infetto che, comunque, prima o poi scoppierà, inevitabilmente, con ben maggiore sofferenza non solo per te ma anche per chi più ti sta accanto.

Accetta e fai tuo, fino in fondo, l’idea che fuggire non serve a niente, se non a protrarre per un maggior numero di vite la tua permanenza sul piano fisico, non annulla la tua sofferenza ma allunga e rende costante il tuo dolore in un tempo molto più lungo di quello che trascorrerà dal momento della tua attuale nascita al momento del tuo abbandono di questo corpo fisico che per questa vita è una parte di te.

Convinciti di questo, fratello, cerca di farlo veramente tuo, sorella e allora persino il tuo Io dovrà arrivare a rendersi conto che distogliere lo sguardo da quelli che sono i tuoi problemi non significa annullarli. Viola

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Ma, ancora una volta, figli nostri, questo piccolo/immenso insegnamento che il fratello Scifo vi ha portato è caduto sotto il governo del vostro Io, rendendolo una cosa vuota e inutile nel dare un senso alla vostra vita.

Infatti l’ha preso e l’ha usato per cercare di modificare l’esterno di se stesso, nell’illusione che adeguare l’esteriorità della vostra vita ai dettami dei modelli che vi suggeriscono gli archetipi transitori (e che riassumono l’idea di felicità e di bene/male, o giusto/sbagliato tipiche della vostra società o del vostro gruppo sociale di appartenenza) possa davvero rendervi felici.

Triste disillusione: non è cambiando ciò che è esterno a voi stessi che potrete essere felici, che la vostra vita acquisirà valore, che la vostra esistenza avrà un senso.

Guardate gli occhi di persone che hanno molto meno di voi, che magari vivono in tanti in una capanna sgangherata, che a fatica possiedono quel poco che rende possibile la loro sopravvivenza fisica e sociale. Potreste scorgere, spesso, una capacità di amare e di godere delle piccole cose che voi avete così spesso trascurato di coltivare.

Se aveste quello che loro hanno e non quel “tanto” che avete, sareste più felici o meno felici? La vostra vita avrebbe più senso o meno senso?
Non vi è e non vi può essere una risposta a queste domande perché il problema si pone in ben altri termini, che, come dicevo, non passano all’esterno di voi ma al vostro interno. Moti

Prendere coscienza di ciò che si vuole veramente fa parte del dare un senso alla propria vita. Come si potrebbe, altrimenti, riuscire veramente a modificarla lenendo la sofferenza che sembra incombere minacciosa appena dietro all’angolo delle esperienze che ci si trova ad affrontare?

Se si crede che c’è bisogno di cambiare la propria vita ma il cambiamento resta soltanto un’ipotesi mai messa in atto, questo può voler dire che l’ipotesi fatta non è sentita, ma è solamente un mezzo dell’Io per apparire forti e attivi nei confronti delle difficoltà che ci fanno soffrire.

Cambiare significa modificare e modificare significa non essere mai passivi al cospetto di quello che si va attraversando.

Nel momento in cui il desiderio di cambiamento della propria vita non si traduce in uno stimolo all’azione questo non può che significare che, per qualche motivo che non osiamo affrontare a viso aperto, in definitiva ci sta bene vivere la vita così come la stiamo vivendo.

Sembra tutto completamente logico e, contemporaneamente, completamente privo di senso: com’è possibile desiderare di non soffrire più e, allo stesso tempo, non fare niente per annullare, modificare o, quanto meno, mitigare la sofferenza e il dolore che ci angustia? Rodolfo

Il problema principale, ancora una volta, va ricercato nell’Io dell’individuo. L’Io, per sua natura, non è lungimirante, non ha una grande propensione a elaborare piani complessi nel tempo.

Se voi osservaste con attenzione il bambino di pochi anni – ovvero l’individuo in cui l’Io è più libero di manifestarsi, non subendo ancora che solo relativamente le influenze della coscienza e quelle degli archetipi, sia permanenti che transitori – vi accorgereste subito che è sua prerogativa volere tutto e subito, adirarsi come una furia quando non ottiene immediatamente ciò che lo gratifica, reagire a una sofferenza in maniera diretta e senza mezzi termini o aggredendone la fonte o escogitando un comportamento che possa renderla meno pesante sul momento.

La base dell’Io dell’individuo adulto è, in fondo, la stessa di quella del bambino: esso ha la stessa tendenza a vivere il più possibile nel “qui e ora”, cosa in linea con l’insegnamento, se non fosse che il “qui e ora”, per quanto riguarda l’Io, è orientato non ad assaporare fino in fondo le sfumature dell’esperienza che si trova a dover affrontare, bensì a ottenere nel “qui e ora” quello che desidera e quello che lo gratifica.

Indubbiamente l’Io dell’individuo, pur costruitosi intorno a quello del bambino, non è più così semplice, diretto e immediato, in quanto altri elementi sono entrati in gioco, elementi che lo hanno strutturato in maniera, ovviamente, più complessa.
Quali sono questi elementi? 

Prima di tutto è entrata in gioco la coscienza, il corpo akasico, e questo ha spinto l’Io a cercare di adeguarsi alle nuove vibrazioni che lo pervadono.

L’ingresso sempre più massiccio delle vibrazioni provenienti dalla comprensione in espansione mette, inevitabilmente, dei paletti alle possibili azioni dell’Io che è costretto a fare lo slalom fra questi “punti fermi” in quanto sa che non è in grado di contrastarli veramente.

La tecnica più frequente che mette in atto è, allora, quella dello struzzo: opera cioè una censura per far finta di non vedere quale sarebbe il modo più giusto di agire, cercando mille motivi al suo non-agire che possano giustificargli, nel “qui e ora”, il suo comportamento.

Come conseguenza del completo allacciamento del corpo della coscienza si va via via affinando la capacità di avvertire le vibrazioni che provengono dagli archetipi permanenti e anche avvertire il rintocco degli archetipi permanenti pone dei paletti al tipo di azione messa (o non messa) in atto dall’Io, il quale reagisce spesso mascherandosi da agnello, ovvero facendo di tutto perché gli altri lo considerino buono, giusto, evoluto, direi persino “illuminato”.

Fino a questo punto sembrerebbe proprio che la partita non possa che essere vinta dall’Io.
Se così non è (e ringraziamo la fantasia di Chi ha creato questa complessa struttura che abbraccia l’intera Realtà) è perché l’Io si trova sbalestrato di fronte alle istanze messe a sua disposizione dagli archetipi transitori.

Questi, infatti, come certamente ricorderete, gli propongono dei modelli più semplici da accettare per lui, perché sembrano indicargli i modi più diretti e veloci per integrarsi nella società che sta sperimentando e non solo: gli suggeriscono i “modi” d’interagire con quella società.

Cercando di conformasi quanto più gli è possibile ai dettami degli archetipi transitori, l’Io ritiene di poter ottenere apprezzamento, attenzione, assenso, gratificazione, cioè tutta la gratificazione e tutto l’appagamento che desidera ottenere dal suo rapporto con gli altri.

In questa maniera, si costringe da solo a operare in un circolo chiuso che lo porta ad altalenare tra il sentire e l’egoismo, sperimentando suo malgrado le proprie reazioni e cercando di sfuggire ciò che gli provoca disagio o sofferenza.

Quando l’Io riesce a mantenere un controllo ferreo e protratto nel tempo ecco che si innescano nell’individuo quelle sintomatologie conosciute come nevrosi o psicosi, difficili da superare.

Quando il controllo è solo parziale l’Io si trova, invece, a dover in continuazione riaggiornare la propria immagine e i propri schemi nel tentativo di correre ai ripari, operazione che rende l’individuo incostante, alternativamente in balia delle emozioni e della razionalità ma che è, in realtà, qualificabile come sintomo di quei necessari sommovimenti interiori che, sempre e comunque, accompagnano il cambiamento evolutivo dell’individuo.

Quando l’Io perde il controllo l’individuo sfugge a tutti gli schemi, diventa poco comprensibile all’osservatore esterno, le sue reazioni e azioni sono poco classificabili sulla scorta dei modelli degli archetipi transitori, ci si trova, cioè, di fronte a un individuo evoluto. Ombra

Dal ciclo Sfumature di sentire 2002-2007

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4 commenti su “Dare un senso alla vita cambiando, comprendendo [sf29]”

  1. È facile confondersi, illudersi di essere cambiati. Il ripetersi di certe eventi e reazioni non sempre è sufficiente a innescare il cambiamento

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  2. Brano molto denso e interessante ma alcuni passaggi sembrano mettere in luce un impianto dottrinale poco chiaro e a tratti contraddittorio.

    – “l’insoddisfazione caratteristica del tuo io”. Se l’io non esiste come fa ad essere insoddisfatto? Siam sicuri che l’insoddisfazione attenga all’io e non alla coscienza? Certo, l’io non esiste e allora tutto torna ma allora perché continuare a tirare in ballo questo io quasi fosse sempre un problema ed un “altro” rispetto alla coscienza?

    – “osservandoti, permetterai alla tua coscienza di comprendere”. La comprensione viene dall’esperienza e può persino non essere consapevole, mi pare dica l’insegnamento. 
    È vero che l’insegnamento era anche quello che si procede con “conoscenza, consapevolezza, comprensione (CCC)”, ma poi è stato smentito quando è stato affermato dalle Guide che la comprensione può essere anche inconsapevole.
    Forse il sottinteso è che CCC è la norma ma poi esistono le eccezioni.

    Ordunque l’affermazione virgolettata è un pochino forte e abbastanza discutibile. Quasi a dire che solo chi si osserva è in grado di comprendere ma se così fosse molti umani sarebbero nei guai seri e ancor peggio starebbero tutte le altre forme di vita non dotate di capacità riflessiva.

    Poi nel brano c’è veramente un profluvio di “io”, trattato come entità veramente importante, ingombrante, problematica, dotata di caratteristiche sue proprie… come se non solo esistesse, ma fosse addirittura qualcosa di gigantesco.

    Quanta difficoltà che incontro a comprendere…

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    • Attenzione! È mio errore dire che l’io non esiste. Non esiste come corpo a sé stante o come entità in senso stretto.

      Tuttavia esiste eccome ed è la risultante della dialettica bidirezionale tra corpi inferiori e coscienza.

      Questa consapevolezza dipana alcune ombre ma non ne scalfisce altre.

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